Lettera da

Ho lasciato il “New York Times” per sposare il “Wall Street Journal”

Ho lasciato il “New York Times” per il “Wall Street Journal”. Ora acquisto il “Times” solamente di domenica, principalmente per il suo “Book Review” e perché il “WSJ” esce dal lunedí al sabato. La separazione dal “Times” é stata consensuale, con la crisi che andava avanti da almeno sette anni. Per la veritá mi sono sentito tradito dalla “gray lady” (o signora in grigio, come il quotidiano viene chiamato).

Nonostante ció, abbiamo ripreso a frequentarci per il periodo della presidenza di Trump, ma poi con l’arrivo del presidente Biden, i dissensi sono ricominciati e quindi é giunto l’addio. Ho incominciato a frequentare il “WSJ” circa due anni fa, spinto puramente dall’allettante costo dell’abbonamento cartaceo. Poi leggendolo, ho scoperto le sue virtú nelle pagine delle notizie ed i suoi peccati nelle pagine dei commenti. Ma, considerando che il modo equilibrato in cui le notizie venivano date superava di gran lunga i vizi degli editorialisti, ho deciso di rinnovare l’abbonamento.

Ora del “WSJ” evito con massima cura le due pagine di opinioni e la pagina delle lettere (che ospita anche gli editoriali.) Ho smesso di leggerle quando mi sono reso conto che le informazioni erano manipolate in modo vergognoso. E questo vale anche per la pagina delle lettere, e lo spiego con un esempio. L’ex governatore dello stato di New York, Andrew Cuomo era stato sotto un intenso fuoco editoriale del “WSJ” per ben sei giorni e stranamente nessuna lettera era stata pubblicata: pro o contro. Fattolo notare, il responsabile della rubrica mi comunica che quattro lettere erano in procinto di uscire durante la settimana. Cosa che é avvenuta, ma la cosa strana era che i brevissimi contenuti non avevano nulla a che fare con le notizie (bilanciate) e gli editoriali (sbilanciati) riportati dal “WSJ” ed inoltre nessuna lettera proveniva dallo stato di New York. Infatti, la selezione delle lettere serviva a rafforzare la posizione degli editorialisti su Cuomo come uomo politico non ideale (in precedenza c’era stato il rischio che un democratico moderato come Cuomo potesse candidarsi alla presidenza degli Usa) e sull’indifferenza dei newyorkesi nei confronti di Cuomo.

Ho avuto un altro incontro ravvicinato con il “WSJ” per registrarmi al loro servizio digitale (parte dell’abbonamento cartaceo) quando ho dovuto interrompere la consegna del cartaceo per via di un viaggio. Mentre per ottenere la sospensione della consegna (che tra l’altro é di un’efficenza formidabile in qualsiasi condizione meteo) ci sono voluti tre minuti, per la registrazione digitale non sono bastati tre giorni per fronteggiare un sistema basato sul “catch 22”, cioé non puoi accedere se non sei registrato e non puoi registrarti se non hai accesso.

Questa esperienza é stata argomento di un articolo per “VideoAge”, che é stato letto anche da Rupert Murdoch (proprietario del “WSJ”), dopodiché il problema é stato immediatamente risolto e per scusarsi mi hanno anche esteso l’abbonamento di tre mesi.

La separazione dal “Times” non é una cosa isolata. Molti altri lettori hanno fatto la stessa cosa. Infatti la diffusione media durante la settimana del cartaceo é scesa da 649.000 copie nel 2014 alle 374.000 copie attuali (l’edizione domenicale cartacea é scesa da 913.000 copie a 854.000 copie in un solo anno). In confronto, la diffusione media settimanale del “WSJ” cartaceo é aumentata a 734.000 copie.

Ma con 5,3 milioni di soli abbonamenti digitali il “Times” ha molti piú abbonati del “WSJ”, che é fermo a 2,7 milioni di soli digitali. Bisogna dire che il “Times” é molto piú aggressivo del “WSJ” per quanto riguarda il digitale, con bombardamenti costanti di newsletter via e-mail, mentre il “WSJ” deve ancora gestire il suo “catch 22”.

Cos’é che non va piú al “Times”? Il giornale é diventato il portavoce della “cancel culture” e della sinistra radicale ‘stalinista’. Alcuni giornalisti sono stati addirittura licenziati per avere espresso punti di vista non conformi all’ortodossia radicale. Il giornale é quindi diventato monocorde, appiattito in modo esasperato sulle minoranze sociali ed etniche, a tal punto da danneggiarle, detraendo focus dai loro effettivi e numerosi meriti. 

L’unica sezione al di fuori degli schemi radicali é “Real Estate” (immobiliare), mentre la dura linea ideologica non risparmia altri dorsi come “Sunday Review” (commenti), “Sunday Business”, “Metropolitan”, “Sunday Style”, il “NYT Magazine, e “Arts & Leisure”. Il tutto in edicola per sei dollari. In passato aveva anche “Sports”, che leggevano in pochi perché trattava principalmente argomenti (come il baseball e football americano) fuori dagli interessi dei suoi lettori, che al massimo potevano essere interessati a calcio, polo e tiro con l’arco.

Da parte sua, il “WSJ” esce la maggior parte dei giorni con due sezioni (a volte quattro), mentre il sabato si arricchisce di dorsi come “Review” (che include anche recensioni di libri), “Exchange” (articoli non legati alle news) e “Off Duty” (su turismo, cucina e moda).

La cosa interessante é che lo scorso aprile il “Times” ha pubblicato un lungo articolo per incitare i 1.300 giornalisti del “WSJ” a farlo assomigliare allo stesso “Times”, pur affermando che il “WSJ”, a differenza di altri giornali, fa soldi.

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Dom Serafini

Domenico (Dom) Serafini, di Giulianova risiede a New York City ed è
il fondatore, editore e direttore del mensile “VideoAge” e del quotidiano fieristico VideoAge Daily", rivolti ai principali mercati televisivi e cinematografici internazionali. Dopo il diploma di perito industriale, a 18 anni va a continuare gli studi negli Usa e, per finanziarsi, dal 1968 al ’78 ha lavorato come freelance per una decina di riviste in Italia e negli Usa; ottenuta la licenza Fcc di operatore radio, lavora come dj per tre stazioni radio e produce programmi televisivi nel Long Island, NY. Nel 1979 viene nominato direttore della rivista “Television/Radio Age International” di New York City e nell’81 fonda il mensile “VideoAge”. Negli anni successivi crea altre riviste in Spagna, Francia e Italia. Dal ’94 e per 10 anni scrive di televisione su “Il Sole 24 Ore”, poi su “Il Corriere Adriatico” e riviste di settore come “Pubblicità Italia”, “Cinema &Video” e “Millecanali”. Attualmente collabora con “Il Messaggero” di Roma, con “L’Italo-Americano” di Los Angeles”, “Il Cittadino Canadese” di Montreal ed é opinionista del quotidiano “AmericaOggi” di New York. Ha pubblicato numerosi volumi principalmente sui temi dei media e delle comunicazioni, tra cui “La Televisione via Internet” nel 1999. Dal 2002 al 2005, è stato consulente del Ministro delle Comunicazioni italiano nel settore audiovisivo e televisivo internazionale.

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