Matteo Salvini sa che, alla lunga, l’abbraccio con Luigi Di Maio può risultare per lui asfittico.
Va bene, infatti, che con le sue panzane politiche il leader del Movimento Cinque Stelle gli fa “da spalla” per le sue battute fulminanti, come non avveniva, in altro contesto scenico, dal tempo dei fratelli De Rege, e che ciò gli consente di centrare obiettivi di larga popolarità, ma sta di fatto che non sempre tutte le ciambelle riescono con il buco. E a esprimere opinioni, anche sensate, su temi, costantemente confusi e spesso cervellottici proposti dagli alleati di governo, si può mancare il bersaglio; soprattutto se si vogliono salvare a tutti i costi le sorti dell’Esecutivo.
Di recente, per un incomprensibile e inatteso scambio delle parti, il capo leghista ha sposato, non si è capito bene il perché (sotto il profilo, naturalmente, strettamente tattico), la tesi tradizionalmente grillina dei no vax e, a stare ai sondaggi (certamente taroccati di Sky,ma letti, altresì, da molte persone), si è beccato, su quella rete satellitare, l’ottantuno per cento di pareri contrari (percentuale negativa che solitamente accompagnava tutte le iniziative del Movimento Cinque Stelle).
Le vicende della TAV, inoltre, stanno trasformando il gioco delle tre carte, da tempo praticato dai due Dioscuri del governo italiano, nel gioco del cerino acceso. La lotta sotterranea tra i due leader è quella di scaricare, l’uno sull’altro, la responsabilità dell’eventuale caduta dell’Esecutivo: un po’ perché la tradizione vuole che chi provoca le dimissioni del governo perde le elezioni, se si va al voto. E non ritornare alle urne, nella situazione data, sarebbe veramente difficile. Per entrambi i Dioscuri, infatti, non si prospettano ipotesi di alleanze alternative che non presentino aspetti esiziali per le loro fortune politiche.
I “dem”, in ripresa grazie alle gaffee alle intemperanze di Di Maio, Toninelli, Fico e Dibba (a tacere delle uscite di Beppe Grillo e dei sospetti che suscita la piattaforma Rousseau), che sino considerate inaccettabili persino a sinistra, potrebbero riprendersi la scena dopo le performance disastrose di Matteo Renzi, grazie al volto rassicurante di Nicola Zingaretti.
Un governo di Salvini con il sostegno di Forza Italia, d’altra parte, vista la vocazione andreottiana e vetero-democristiana che caratterizza quel partito e la sua conclamata vicinanza al PPE, minerebbe ogni chance della Lega di porsi, a livello europeo, come leader della protesta contro il capitalismo meramente “monetario”, praticato dall’Unione dei bancari al servizio dei banchieri.
Andare, in pratica, alle elezioni europee con un alleato che possa considerarsi, per l’attività politica svolta, corresponsabile dei misfatti dallo stesso Salvini ripetutamente denunciati, sarebbe per lui, sostanzialmente, un vero e proprio suicidio politico.
E’ chiaro, quindi, che l’interesse del capo della Lega è di attendere ancora che Forza Italia si sfaldi ulteriormente: magari con la nascita (che non disdegnasse un possibile aiuto degli anglosassoni) di una forza che interpreti il liberalismo non nella maniera della tradizione liberale italiana ed europea (servente, in buona sostanza, rispetto all’intesa cristiano-socialista), ma nella versione indipendente, nuova e autonoma di Teresa May e di Donald Trump; posizione, peraltro, che ha più di un addentellato in alcune forze della protesta antisistema che serpeggia nel Vecchio Continente; in maniera, per la verità, ancora indistinta, ma già chiaramente del tutto autonoma rispetto ai movimenti in qualche modo collegati con la destra nostalgica fascista o ritenuta tale.
Nel gioco del cerino acceso tuttora in atto, s’è inserito con un lungo intervento davanti alle telecamere il Presidente del Consiglio dei Ministri Giuseppe Conte, che rompendo la prassi, sin qui seguita, dell’equidistanza tra i due poli governativi, ha dichiarato esplicitamente la sua contrarietà alla realizzazione della TAV Torino-Lione, pur tentando, con argomenti che sono apparsi a molti come arzigogoli legulei, di dimostrare la necessità di tirare ancora per le lunghe la decisione del problema. L’intento della rinuncia a ogni ulteriore mediazione, a seguito della scelta di campo dal Premier fatta coram populo, è sembrato subito molto chiaro. Se Salvini dovesse ancora insistere, all’inizio della prossima settimana, nel ritenere improcrastinabili i bandi in scadenza, sarebbe il leader leghista a porsi contro l’avviso del Presidente del Consiglio e a farsi carico, per tale contrasto dell’eventuale caduta del governo. Non sembra probabile che Salvini ceda al tentativo di Conte di cacciarlo in un cul de sac, per paura di un ravvicinato scontro elettorale.
Se la strada dell’intesa con Forza Italia per la formazione di un nuovo governo appare irta di insidie e di pericoli per salvaguardare la coerenza della sua azione politica nell’Unione Europea, quella delle elezioni anticipate potrebbe riservargli delle sorprese positive; soprattutto se prendesse corpo e sostanza la nascita di una nuova forza liberale, del tutto distinta da Forza Italia, completamente svincolata dai vecchi schemi del liberalismo italiano ed euro-continentale e orientata a muoversi nel solco del revisionismo liberale già sperimentato negli Stati Uniti d’America e in attesa di applicazione anche in Gran Bretagna, dopo la difficile fase del (pur necessario) distacco dai burocrati di Bruxelles.
Donald Trump (soprattutto) e Teresa May (di conseguenza), che sono stati capaci di sottrarre alla soggezione, presso che totale, delle centrali finanziarie dell’Occidente, gli establishment governativi, statunitensi e britannici, non potrebbero che vedere di buon occhio la nascita di movimenti tendenti a dare una direzione politica (e non tecno-bancaria) a nuovi e inediti Stati Uniti d’Europa.
Il cammino, quindi, per i movimenti eurocontinentali che puntano al riscatto degli Stati-membri dell’Unione Europea dai lacci e lacciuoli di un’austerity (voluta nel loro interesse dalla banche) è impervio, ma come tutti i disegni ispirati da un pensiero libero e non condizionato sembra destinato, nel lungo termine, a prevalere.
Certo. C’è l’inerzia mentale e intellettuale che impedisce costantemente di pensare al “nuovo”, allontanandosi dai tranquilli porti del “vecchio”. Sed nihil difficile volenti. Come, di solito, i brocardi latini alimentano sempre la speranza.
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