Negli anni ’30 e ’40 del secolo scorso conquistò una certa notorietà a Roma Gustavo Cacini, un comico dell’avan spettacolo che entrava in scena minacciando un ragazzo con le parole “A ragazzì, si vengo lì, te piò pe quà e te sbatto là”, per precipitarsi poi fuori dalla scena alla prima reazione del suo interlocutore. La frase di Cacini, che divenne molto popolare nella Roma del tempo, tanto che era d’uso rivolgersi agli smargiassi con l’espressione “ma che sei Cacini?”, viene alla mente a proposito della vicenda dei vitalizi agli ex parlamentari, oggetto di vivacissime polemiche da parte del Movimento 5 Stelle ed il cui taglio fu il suo cavallo di battaglia al momento del massimo fulgore.
Ora le cose sono un po’ cambiate ed occorre fare i conti con quella cosa semplicissima ma in realtà un po’ ostica talora a digerirsi da parte di tutti i populisti: l’ordinamento giuridico.
I vitalizi, attribuiti a torto o a ragione agli ex parlamentari, erano e sono comunque oggetto di diritti che non si possono cancellare con un colpo di spugna, così come ogni altro diritto, senza per ciò ritornare alla società degli uomini primitivi. I pentastellati fecero invece dell’abolizione di quei diritti una propria bandiera e riuscirono ad imporre la loro scelta alle altre forze politiche: la deliberazione dell’Ufficio di Presidenza della Camera numero 14 del 2018 disposero infatti un taglio radicale delle somme fino a quel momento percepite da ex deputati e senatori. Agli ex parlamentari restò solo la possibilità di proporre contro quella decisione ricorso ad un organo interno della Camera dei Deputati composto da 3 deputati che cambiano ogni legislatura (per questa legislatura si tratta di un Presidente PD e di due membri targati uno Lega Nord e l’altro 5Stelle): l’autonomia amministrativa di cui per consuetudine continuano a godere gli organi costituzionali (le Camere del parlamento, la Presidenza della Repubblica, la Corte Costituzionale) impone di seguire questa via invece del ricorso al giudice ordinario od amministrativo, una regola che vale in ogni caso in cui l’organo costituzionale sia parte.
Il 14 marzo scorso il Consiglio di Giurisdizione (così si chiama l’organo cui si propone ricorso) della Camera dei Deputati ha deciso in merito ai ricorsi presentati: in sintesi la commissione ha emesso una sentenza parziale (senza decidere cioè la questione nel merito) invitando gli interessati a dar conto delle loro condizioni economiche e di salute per ottenere, se del caso, una integrazione della somma attualmente percepita. Chiaro l’intento di tentare una transazione e di guadagnare tempo, magari per rinviare la decisione finale alla prossima legislatura ed addossare così gli errori compiuti a “quelli che c’erano prima” così come è tradizione avvenga nel nostro Paese.
Sulla questione la redazione di Moondo ha chiesto il parere dell’On. Antonello Falomi, ex parlamentare e Presidente dell’Associazione degli ex membri del parlamento. Segue l’intervista.
Il mio è un giudizio nettamente negativo perché rinvia ogni decisione sulle questioni di costituzionalità sollevate contro la delibera che ha ricalcolato retroattivamente i vitalizi degli ex-parlamentari e si limita a cancellare aspetti particolarmente scandalosi di quella delibera, rinviando, però, ogni decisione ogni all’Ufficio di Presidenza della Camera, cioè allo stesso organo che ha deciso illegittimamente il taglio dei, con buona pace della “terzietà” dei giudici interni.
Le argomentazioni addotte non hanno fondamento giuridico e rispondono soltanto alla volontà del Consiglio di giurisdizione di prendere tempo, evitando ogni decisione e rimandando la palla nel campo dell’Ufficio di Presidenza che, presumibilmente non avrà una gran fretta di rispondere.
La sentenza tenta di giustificare l’ingiustificabile rinvio con il pretesto di acquisire dati sull’entità dei tagli effettuati e sull’età dei ricorrenti che sono già noti e disponibili da più di un anno e mezzo.
Ancor più grave e assurda è la decisione di subordinare, in termini temporali e logici, il pronunciamento sulle questioni di costituzionalità accantonate, alle decisioni che l’Ufficio di Presidenza prenderà, grazie all’amplissima discrezionalità che gli è stata concessa dai “giudici”,in rapporto alle istanze di mitigazione dei tagli che verranno presentate.
Peraltro, non vengono risolti nemmeno i casi dei 147 ricorrenti che, a causa delle drammatiche condizioni di salute e di reddito, avevano chiesto la sospensiva della delibera. Dovranno attendere non si sa per quanto tempo ancora le decisioni dell’Ufficio di Presidenza. I “giudici interni” non hanno avuto nemmeno il coraggio di applicare immediatamente le loro stesse decisioni e hanno scaricato la patata bollente sull’organo di governo della Camera.
Il rinvio delle decisioni sui vizi di legittimità sollevati dai ricorsi e l’accento posto su misure di mitigazione dell’entità del taglio per quanti abbiano serie difficoltà di reddito e di salute, allude all’idea di trasformare i diritti in elemosine, oltre che essere umiliante per quanti saranno costretti a pietire una decisione, mettere in piazza i propri problemi personali e familiari.
Non so se questa sia la volontà dei giudici, ma il tentativo di riduzione della vicenda a un problema assistenziale e la scelta di consentire a una delle parti in causa di procedere caso per caso, cerca di scoraggiare la battaglia in corso per il ripristino della legalità costituzionale e la difesa dei principi dello stato di diritto. Sono convinto che non ci riusciranno.
L’autodichia ha senso se i “giudici interni ” si comportano da giudici con i loro poteri e le loro responsabilità. Anche se sono espressione di gruppi parlamentari, devono spogliarsi della loro appartenenza politica. Hanno gli stessi poteri e gli stessi doveri dei giudici ordinari. L’autodichia non può trasformarsi in arbitrio politico. Le sentenze si devono basare sul diritto e non su valutazioni politiche. Se così non è meglio fare a meno dell’autodichia.
E’ difficile dirlo. Il meccanismo messo in moto dalla sentenza allunga in modo indefinito i tempi di una risposta. Noi ci batteremo perché questi tempi siano i più stretti possibili e perché la sentenza non sfugga alle questioni di legittimità costituzionale che sono state sollevate.
Le parole dell’On. Falomi sono molto chiare e si commentano da se. Non sarebbe il caso di eliminare quel privilegio dei privilegi che è l’autonomia amministrativa degli organi costituzionali, fondata solo sulla consuetudine, che è poi a ben guardare all’origine del problema? Nella ricostruzione economica, giuridica e sociale del post pandemia non sarebbe il caso di comprendere anche la fine di questa anomala situazione? Vedremo.
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