E’ stata mandata in giro per il mondo (e per molto tempo) “povera e nuda” e alla fine la “filosofia” non ce l’ha fatta proprio a sopravvivere ed è morta.
In realtà, l’amore incondizionato per il sapere scevro di orpelli irrazionali e fantasiosi ha avuto vita difficile sin dal momento della nascita: ad attenderlo c’era già la religione che fugava nell’uomo, con la visione rassicurante della presenza di un Dio, la paura dell’ignoto.
La necessità del dualismo (non esiste soltanto il nostro mondo, ciò che vediamo e tocchiamo: v’è qualcos’altro) fu avvertita anche dai filosofi, verosimilmente invidiosi dell’ascendente e del potere che sciamani e sacerdoti religiosi esercitavano sulla gente parlando di un “altro mondo”.
Platone e suoi seguaci inventarono, allora, la “metafisica” (il cosiddetto “mondo iperuranio”) e l’Idea che precede e presiede alla conoscenza; avvertirono anche il bisogno di contrapporre l’Accademia all’Ecclesia.
I filosofi presocratici, monisti, empiristi, razionalisti sperimentali, denigrati adeguatamente dagli allievi dell’autoritario filosofo ateniese (Diogene con la lanterna, Epicuro con le crapule, gli Stoici con le colonne fredde e via dicendo) cominciarono a vagare “poveri e nudi” fino a scomparire del tutto.
Per tanto tempo la loro scomparsa è rimasta “illacrimata”.
Chi aveva tentato di rispolverare l’antica filosofia monistica che faceva a meno di un Dio creatore e onniveggente era stato sommerso da epiteti oltraggiosi (pessimista cosmico, profeta di sventure, uccello di malaugurio, nichilista disgraziato) e condannato all’oblio.
Il “valore” e l’importanza della filosofia vera (chiaramente non quella dualistica e idealistica, salita agli “onori” del potere assoluto nel “secolo breve” con il nazi-fascismo e il social-comunismo), sono stati rispolverati di recente da due bellissimi film, uno francese di Nicolas Pariser (“Alice e il Sindaco”) e l’altro tedesco di Florian Henckel Von Donnersmarch (“Opera senza autore, in originale: Werk ohne autor).
La mancanza di un pensiero filosofico non alterato da visioni irrazionali, falsamente rassicuranti, è avvertita dai due autori citati non solo o non tanto sotto il profilo culturale (mancanza di una guida che ci faccia capire la vera essenza del mondo e della vita contro la tendenza della gente che crede di poterne fare a meno presa dall’attivismo frenetico e dal consumismo ossessivo) quanto e soprattutto per potere camminare “meno alla cieca” nella nostra vita pratica e, in particolare, nell’attività politica.
Difficile anche solo immaginare che un autore italiano possa oggi porsi accanto a Pariser e a Henckel.
L’Italia che pure ha avuto il suo ultimo (unico, immenso) filosofo dell’era moderna nel Giacomo Leopardi dello Zibaldone è rimasta indietro sul terreno della speculazione filosofica, dilettandosi, non solo con la scrittura ma anche con le immagini, in opere di fantasia, di narrativa fiction, di storia e di memorialistica.
Domanda: Sul piano filosofico che cosa insegnano queste pellicole?
Pur non cadendo mai nel tranello didascalico e nella saccenteria professorale, esse ci dicono che quanto più intensa è la vita, tanto più grande è l’amor proprio che s’identifica con il desiderio di felicità (ovvero del proprio piacere: anche secondo il britannico Oscar Wilde, l’amore per se stesso è l’unico sentimento che dura per tutta la vita). E che, quindi, l’ecumenismo religioso (sostenuto in maggior misura dalla Chiesa cristiana) l’universalismo egualitario filosofico (proprio dell’ideologia comunista, figlia dell’idealismo tedesco post-platonico o hegeliano di sinistra), la “globalizzazione” umana ed economica (voluta, nel loro esclusivo e insaziabile interesse, dai tycoon della Finanza), imponendo, per effetto dei rispettivi messaggi, che l’amor proprio, innato nell’uomo e nascente dal sentimento della vita (senza amor proprio non c’è vita), debba ampliarsi oltre i suoi confini naturali hanno trasformato e svisato il senso vero dell’esistenza umana e della politica (etimologicamente: interesse per la polis).
Con la pretesa di “cambiare” l’amor proprio, dilatandolo sino al punto di farlo diventare amore universale, questi flussi di pensiero (religioso e pseudo-filosofico) hanno avuto l’effetto nefasto di trasformare l’amore di sé in odio per gli altri, anch’esso naturale nell’individuo. Quell’odio che, secondo Leopardi (e non solo per lui: si pensi a Hobbes) ognuno avverte per il suo simile che non sia da lui conosciuto ha fatto sì che gli esseri umani (i più antisociali degli esseri viventi, secondo il Vate di Recanati) con la giustificazione fasulla dei falsi universalismi di cattivi e nocivi “maestri del pensiero” (laici), del tutto simili agli ecumenismi di sciamani e uomini religiosi (ammalati di ansia di proselitismo) distruggessero, eliminandoli fisicamente, gli avversari della loro fede o del loro fanatismo politico.
In altre parole, l’Uomo anziché collegarsi, solo per fini bellici difensivi o per altri motivi di necessità, con i membri della sua polis (alias della comunità in cui vive) nell’intento (chiaramente fake) di oltrepassare (circoscritti a sé e ai suoi concittadini) i sentimenti per così dire “amorosi” ha creato un caos planetario di rancori che i sociologi delle varie parti del mondo fanno fatica a descrivere (per l’Italia, vedasi il rapporto del Censis) nei loro terribili effetti.
Il magnifico film del regista tedesco ci mostra con immagini dense ed efficaci che l’idealismo tedesco hegeliano è stato padre (e rimane tale per i tardivi o nuovi adepti) sia del nazismo, sia del comunismo, fratelli gemelli monozigotici di un’idea folle, grande almeno quanto quella delle tre imposture dell’Umanità (Mosé, Cristo e Maometto), di cui a Baruch Spinoza.
Dagli esempi del nazi-fascismo e del social-comunismo si può dedurre che se gli individui non avessero perso il contatto con le visioni filosofiche monistiche, empiristiche, realistiche, razionali, pragmatiche della vita nella polis non sarebbero caduti nel tranello di visioni fantasiose di Idee Universali salvifiche che hanno disseminato morti, stragi, massacri, genocidi, guerre disastrose, avversioni feroci tra i popoli e all’interno di essi (la storia dell’umanità ne è piena).
Il film francese ci dice invece che la politica altro non è che un aspetto della “filosofia pratica”.
Ritornare alla speculazione di pensiero “pura e non condizionata” significa avvedersi che il raziocinio, la logica non tollerano visione dualistiche, frutto di sbizzarrite fantasie.
Risolvere i problemi pratici della gente, concentrarsi sui suoi problemi e fare delle scelte razionali e corrette deve divenire, per i governanti, un must non più eludibile.
Per le malefatte politiche, non devono esservi scappatoie religiose (pentimento, perdono, redenzione) o giustificazioni false (con asserzioni fasulle di amore universale).
Se la gente, lucidamente e senza fuorvianti aberrazioni, giudica l’operato degli uomini politici per ciò che dovrebbero rappresentare: uomini, cioè, che fanno gli interessi della polis (estensione massima dell’amor proprio), tutto può andare nuovamente per un accettabile verso giusto.
Conclusione: grazie, quindi, a questi due autori che (anziché tirarci tiri mancini come tanti altri loro connazionali) ci hanno offerto due opere di pensiero limpido e cristallino!
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