Se è vero che per capire quanto è successo in Europa, dal secondo dopoguerra ad oggi, bisogna risalire allo “spirito di Yalta” è altrettanto certo che il concetto di “spirito” (già di per sé ambiguo ed equivoco) a Jalta ha toccato il diapason della confusione.
A parte la volontà delle tre potenze mondiali (Unione Sovietica, Stati Uniti d’America e Regno Unito di Gran Bretagna) di vincere la guerra e di sconfiggere il nazi-fascismo, i tre protagonisti dell’incontro, Joseph Stalin, Franklin Delano Roosevelt, Winston Churchill non avevano nulla che veramente li accomunasse.
Il pensiero più nitido e preciso era, naturalmente, quello di Stalin: intendeva non solo mantenere il suo potere dittatoriale ma anche estenderlo fin dove gli era possibile.
Altrettanto chiaro ma in netta contrapposizione al comunismo bolscevico era l’orientamento politico di Churchill, per il quale l’unico merito del socialismo era quello di far condividere la miseria a tutti.
Nel mezzo, stava il pensiero di Roosevelt che riproduceva l’equivocità, l’ambivalenza e l’ambiguità di tutte le socialdemocrazie: esaltava le conquiste della libertà d’iniziativa economica ma aggiungeva che “la gente affamata e senza lavoro è la pasta di cui sono fatte le dittature” e che, in conseguenza, il compito dei politici era quello di “fornire abbastanza a coloro che hanno troppo poco”.
In altre parole “lo spirito di Yalta” era univocamente soltanto antifascista. Si frantumava, invece, per il resto, in tre posizioni ben distinte e distanti, “l’un contro l’altra armate”. Da uno “spirito” così poco chiaro nei suoi termini fondamentali, discendevano, per quanto riguarda l’Italia, sia le ambiguità iniziali sia quelle successive dei partiti che si contendevano, alle votazioni elettorali, il favore degli Italiani e conseguentemente della vita politica nazionale.
Il partito comunista italiano, all’inizio con il partito socialista italiano di Nenni e poi da solo, si assestava sulle posizioni del bolscevismo sovietico, ricevendo dai Paesi d’oltre cortina sostegni e aiuti per contrastare nel Bel Paese l’egemonia democristiana. Durante il periodo della guerra fredda e della tirannide staliniana, il partito guidato da Palmiro Togliatti aveva un legame forte e diretto con l’Unione Sovietica e persino i suoi rappresentanti, che negli anni successivi faranno in seguito un clamoroso dietro-front, mettendosi al servizio degli Stati Uniti per una sua socialdemocratizzazione, plaudivano alle repressioni dell’Armata Rossa in Ungheria e Cecoslovacchia.
ll partito, invece, che era succeduto a quello popolare di Don Sturzo, fortemente appoggiato dalle gerarchie Vaticane che in nome della dottrina sociale della Chiesa contro la ricchezza si sentivano molto vicine al marxismo, pur non condividendone i postulati laici, occupava, insieme al partito di Saragat e a quello di La Malfa (con i residui del partito d’Azione), l’area della socialdemocrazia europea. Pur consapevole di avere nel suo seno presenze nostalgiche del regime fascista, il suo leader Alcide De Gasperi esprimeva chiaramente il progetto di azione politica socialdemocratica, affermando che la DC era un partito di centro che marciava verso i Sinistra. La democrazia cristiana condivideva i feeling “buonisti” del Partito Democratico Statunitense e nella scelta dell’opzione socialdemocratica si alienava le simpatie soltanto della Gran Bretagna, in cui lo spirito liberale e conservatore (entrambi in senso anglosassone, ben diverso dall’idea che se ne aveva in Italia) prevaleva su quello “laburista” (anch’esso diverso dal socialismo eurocontinentale). In conseguenza restavano, nel Bel Paese, a mani vuote o, come anche suol dirsi “a bocca asciutta” soltanto i liberali inglesi. Quella parte dello “spirito di Jalta” impersonata da Winston Churchill era costretta a restare underground e dover lavorare sotto-traccia.
Gli Inglesi che nel Risorgimento avevano fatto il loro gioco, insieme ai Francesi per contrastare l’egemonia austriaca, puntando sul partito di Camillo Benso di Cavour avevano trovato una realtà mutata. I liberali italiani, che avevano nel frattempo ricevuto, attraverso Benedetto Croce, gli insegnamenti dell’idealismo tedesco post-hegeliano si erano ulteriormente allontanati dall’empirismo e del pragmatismo britannico e, cedendo all’italica furbizia, si erano trasformati in un partito servente degli interessi confindustriali. In conseguenza, come era avvenuto, nel resto dell’Europa continentale, erano divenuti caudatari dell’abbinata democristiana-socialdemocratica.
Naturalmente, la situazione, nel tempo dopo Jalta, era cambiata, evolvendosi notevolmente dopo la morte di Stalin. Negli Stati Uniti i servizi di intelligence erano venuti a sapere che nell’Unione Sovietica gli esponenti della Nomenklatura non vedevano l’ora di riversare nel Mercato Occidentale le enormi ricchezze da essi accumulate negli anni del regime e che occorreva dare una semplice, modesta spallata per far crollare il muro che costringeva all’asfissia i paesi dell’Est Europeo e impediva ai ricchi di quelle zone di tuffarsi nel desiderato mondo dei consumi.
Il lavorio sotterraneo cominciava in Vaticano, regnante il pontefice polacco Woytila, pervenuto al soglio di Pietro dopo la scomparsa improvvisa di papa Luciani. Proseguiva in Italia, dove la socialdemocratizzazione del partito comunista d’impronta stalinista era condotta dai cosiddetti “miglioristi” e passava attraverso l’annientamento del partito socialista di Bettino Craxi che pur ripromettendosi di raggiungere il medesimo risultato aveva dato prova di un’autonomia d’azione che non era piaciuta agli Stati Uniti. Continuava a “brillare” per la sua assenza nel panorama italiano la Gran Bretagna che, contro il parere dei suoi figli più illuminati, aveva commesso l’errore di cadere nella morsa dell’Unione Europea, controllata da tecnocrati ossequienti sono alle direttive delle centrali finanziarie.
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