di Carlo Troilo
Quando Enrico Manca, di cui ero stato capo ufficio stampa al Ministero del Commercio Estero, non fu chiamato a far parte del nuovo governo, mi trovai in un momento difficile perché all’IRI non gradivano il mio ritorno (ero stato capo ufficio stampa dell’Istituto ma ero uno dei giovani dirigenti invisi al ministro Bisaglia ed al presidente Sette). Grazie alla segnalazione di Manca (ma anche al buon nome che mi ero fatto al MINCOMES) fui richiesto come capo ufficio stampa da due ministri socialisti, Balzamo e Signorile, e alle Partecipazioni Statali, dove Gianni De Michelis era stato confermato ma era rimasto privo del capo della Segreteria Tecnica, Gianfranco Mossetto.
Dopo un breve periodo anche il capo ufficio stampa, Guglielmo Trillo, lasciò il ministero per passare ad altro incarico, e così Gianni, con il quale avevo trovato subito una piena sintonia, mi chiese di assumere l’interim dell’ufficio stampa, che poi tenni per tutti i due gli anni di collaborazione con De Michelis.
Alcune caratteristiche mi colpirono subito in De Michelis e resteranno sempre nel mio ricordo.
De Michelis, secondo me, raggiunse il culmine della sua capacità di governo e della sua visione del mondo come ministro degli Esteri, ma di questo ha già parlato Giuliano Amato, e tanto basti.
Io ebbi ancora una importante occasione di collaborare con De Michelis quando lanciò, come ministro del Lavoro, il progetto dei “Giacimenti culturali”: una idea che certo avrebbe potuto essere migliorata nel corso degli anni ma che non esito a definire “geniale”, soprattutto se penso al nulla che è venuto – dal 1986 ad oggi – dai vari ministri che si sono succeduti nell’incarico. I “Giacimenti” consentivano di mettere insieme due obiettivi: la valorizzazione dello sterminato patrimonio culturale del Paese e la creazione di migliaia di giovani esperti nei vari campi della ricerca di siti, della organizzazione dei musei, della catalogazione, del restauro e così via. Visti i miei precedenti rapporti con De Michelis mi riuscì abbastanza facile convincere l’IRI a dar vita ad un Consorzio di aziende del Gruppo interessate. Ne facevano parte aziende della STET e della ITALSTAT, l’ITALSIEL e la RAI; lo chiamammo IRIS e sono sempre grato a Romano Prodi, all’epoca presidente dell’IRI, per aver accolto la mia candidatura a dirigere la nuova creatura. Il progetto più importante fra quelli approvati e finanziati dal governo fu quello di IRIS mirante alla informatizzazione del Sistema Bibliotecario Nazionale, che si è realizzato con successo e che, fra l’altro, ha consentito di formare qualche centinaio di qualificati bibliotecari.
Il progetto dei “Giacimenti culturali” non fu mai rifinanziato, a dimostrazione del fatto che purtroppo i nostri politici – salvo eccezioni – lasciano cadere tutto ciò che non è di loro “invenzione e proprietà”. Una vicenda simile la vissi con Enrico Manca quando fui il suo portavoce alla Presidenza della Commissione Industria della Camera. Manca ed io mettemmo insieme gli “Stati Generali della Innovazione Tecnologica” (da Agnelli a Pirelli, nella Sala della Lupa non mancava un solo “capitano di industria”) da cui derivò la legge 46 su questa materia, che stanziava 600 miliardi (per il primo anno) per il finanziamento di progetti di innovazione di prodotto o di processo. Era ed è una esigenza primaria per lo sviluppo della ricerca applicata all’industria, ma ciò malgrado la legge non fu rifinanziata l’anno successivo.
Ho ricordato i due dirigenti socialisti di cui ho avuto l’onore di essere collaboratore ed amico, ma mi sembra giusto ricordarli assieme a Craxi, Amato e Martelli: un gruppo dirigente quale l’Italia non ha mai avuto, che a Rimini trovò, nello slogan de “I meriti e i bisogni”, il suo punto più alto di pensiero politico.
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