Passano i giorni e così le settimane, con lentezza in una bolla surreale, ogni giorno sperando in un miracolo, in un miglioramento, attaccati alle news ed ahimè subissati di notizie false e complotti di alieni e sciacalli. Il silenzio assordante è la nostra costante, il tempo è scandito da un orologio incantato, ci organizziamo immaginando un futuro diverso, una vita nuova.. .ma i se, i però, i forse sono troppi , tanti, le domande infinite e le risposte poche. Speriamo di svegliarci da un incubo apocalittico e di ritrovarci al bar per un caffè, una pizza con amici, un abbraccio ai propri genitori e la libertà di uscire , di camminare, di andare in giro. Evidentemente non è così e forse passerà molto tempo prima che tutto questo riaccada. E allora leggo e rileggo la mia vita e nonostante la scarsa concentrazione ripenso agli anni passati e tornano prepotenti i ricordi belli, l’infanzia e i segni indelebili delle mie origini. Ritrovo sui social alcuni post che parlano del “ il panaro”, il cesto di vimini che le nostre nonne usavano per fare la spesa, il sorriso ritorna sul mio viso e sento come per magia il profumo di mia nonna.
Nonna Teresa,grande fascino più che bella, donna che tesseva rapporti e amicizie incredibili, una vera dama, piccola, con i capelli lunghissimi con alcune note turchine. Lei che aveva un sorriso per tutti, una parola gentile, una persona che sapeva stare al mondo e amava scrivere biglietti in bella grafia. Un esile donna che riusciva a tenere testa ad una famiglia con un carattere determinato a cui era difficile dire no, ma lei con il passo trascinato, di Pupella Maggio in Natale in Casa Cupiello, trovava sempre il modo di usare la sua innata diplomazia ed il suo garbo. In un palazzo del’800 con i soffitti altissimi mi accoglieva a braccia aperte e mi permetteva di “ calare il paniere”. Saltavo di gioia, correvo a prendere il grande cesto di vimini sul frigorifero e ascoltavo, attentissima, le sue indicazioni, sul fondo il panno bianco a quadroni verdi, la stoffa con cui era conservata la farina che arrivava dal paese lucano di origine, un foglietto con la lista della spesa scritto con cura e così di corsa verso il balcone con il grosso e lungo spago in mano. La regola voleva che alcuni negozianti riempissero il paniere nel cortile, dove si affacciava la cucina,solo frutta e verdura. Mi divertiva di meno, erano consegne con poco scambio culturale , giù il filo per prendere la merce e di nuovo giù per pagare, ma poca soddisfazione. Invece lo spasso era andare sul balcone principale che girava per tutta la casa e “calarlo” per la pescheria, odore di mare inebriante, il pescivendolo era l’unico che consegnava la spesa nel paniere sulla facciata del palazzo. Un omone simpatico, con cui potevo scambiare due chiacchiere, io in italiano e lui in un musicale napoletano, che tanto gli invidiavo. “Tizianella cumm’si cresciuta” e i miei occhi si illuminavano, alle spalle nonna Teresa che rideva con me perché per noi chiacchierare era la cosa più bella che ci fosse, pesce azzurro già pulito, alici da friggere e polipetti da fare con il sugo, per fortuna non le sogliole insapori che amava tanto mia madre. Frutti di mare e alghe , era come stare sul mare , mentre eravamo in collina. Il paniere diventava pesante ma, piccola e tenace riuscivo a farlo salire senza scossoni, la carta del pesce che formava “cuoppi” perfetti e niente plastica …ed era subito gioia. La nonna pronta con il borsellino , mi permetteva di contare i soldi e metterli sotto il panno, e così il paniere riscendeva e con un sorriso mi sentivo una perfetta donna di casa. Oggi i panieri ,i “panari” nella mia Napoli sono diventati simbolo della solidarietà. La solidarietà si fa anche dai balconi, vista la reclusione, l’ingegno per aiutare non si ferma di fronte all’emergenza sanitaria che ci costringe tutti nelle case. In pieno centro storico, di fronte allo straordinario complesso di Santa Chiara, in quella Spaccanapoli tanto celebrata, da un palazzo sono stati calati due ‘panari’ con la scritta “Chi può metta, chi non può prenda”.
E’ una famosa frase di San Giuseppe Moscati, del quale, nella vicina chiesa del Gesù Nuovo, nella piazza che ha lo stesso nome, sono conservate le spoglie mortali del medico santo, a cui moltissimi napoletani sono devoti. Quella stessa frase che oggi è sui panari , era stata scritta davanti a un cappello per raccogliere offerte e donare ai bisognosi.
E ora, quei due panari, sono un accorato appello a chi può dare, un invito alla generosità, al buon cuore per permettere a chi oggi non ha la possibilità di fare la spesa e di fare fronte alla povertà e all’emergenza, di ricevere aiuto e sostegno concreto. E così i miei ricordi si sono intrecciati, sicura che con la nonna avremmo seguito l’esempio del “panaro solidale”.
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