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Il rinnovato ruolo della Religione nel mondo globalizzato, in tempo di crisi

A Firenze il 17 gennaio, nella settimana che da lunedì 18 gennaio è dedicata al dialogo ecumenico tra le chiese cristiane, la Chiesa Apostolica Italiana, Battista, Cattolica, Episcopale, d’Inghilterra, Luterana, Ortodossa, Greca Ortodossa, Rumena, Riformata Svizzera e Valdese, hanno costituito il Consiglio delle Chiese Cristiane.

Una esperienza ecumenica, come descrive il Comunicato, disponibile sul sito della Chiesa Valdese, già da tempo sviluppata all’estero e che a partire dal 1993 si è realizzata in Italia con il Consiglio a Milano, Modena, Verona, Perugia, Reggio Calabria, Padova e con i Consigli regionali della Chiese in Campania, Umbria e Marche.

Sempre domenica 17 gennaio è stata celebrata la XXXII edizione della Giornata di approfondimento e sviluppo del dialogo tra cattolici ed ebrei, questa volta a Roma presso il Museo ebraico piuttosto che, come consuetudinariamente, presso la Pontificia Università Lateranense. Alle 19 nella struttura di via Catalana – situata all’interno del Tempio Maggiore – il rabbino capo della comunità ebraica di Roma, Riccardo Di Segni, il card. José Tolentino de Mendonça, introdotti dal cardinale vicario Angelo De Donatis, hanno dialogato sul libro del Qohelet delle cinque Meghillot. Ambrogio Spreafico, presidente della Commissione episcopale ecumenismo e dialogo della Cei ha commentato che “è significativo che nell’anno liturgico ebraico questo libro venga letto durante la festa di Sukkot, vale a dire la festa delle capanne: richiamo della fragilità e della precarietà dell’esistenza, certo alleviata dalla presenza della Torah, che dà gioia a chi la accoglie e la pratica”.

Valdo Spini, l’economista fiorentino che ha lasciato una riconoscibile impronta in molte legislature parlamentari, al governo del paese sia nella prima che nella seconda Repubblica, ha partecipato nel Battistero di Firenze alla costituzione del Consiglio ed ha così salutato i partecipanti: “Vi salutiamo qui con le parole dell’apostolo Paolo: Tutti noi abbiamo lo stesso Dio e Padre, che è al di sopra di tutti, in tutti e agisce per mezzo di tutti (Efesini (4,6) «A voi, che siete di Dio Padre e del Signore Gesù Cristo, noi auguriamo grazia e pace» (1 Ts 1,1).L’unità non significa uniformità ma significa fraternità ed è quello che ci siamo promessi con l’atto Costitutivo di questo Consiglio.”

Nell’epoca moderna, quella delle rivoluzioni industriali, i grandi pensatori socio economici dell’Ottocento – da Durkheim a Weber, da Marx a Freud – ritennero che l’avvento della società industriale avrebbe gradualmente sottratto importanza e significato sociale alla religione.

Questa teoria della secolarizzazione, predominante nelle scienze sociali del Novecento, è stata oggi messa radicalmente in discussione anche se continua ad offrire spiegazioni convincenti a parte dei fenomeni cui stiamo assistendo. La religione non è scomparsa; appare improbabile che ciò accada in futuro. Traggo alcune informazioni e notizie sull’argomento da una complessa ricerca empirica globale compiuta da Pippa Norris, docente di Politica comparata nella John F. Kennedy School of Government dell’Università di Harvard e da Ronald Inglehart docente di Scienza politica nell’Università del Michigan, pubblicata in Italia dal Mulino: “Sacro e Secolare. Religione e politica nel mondo globalizzato”.

La verifica di dati provenienti da quasi 80 società di ogni parte del mondo propone una nuova teoria della secolarizzazione basata sulle trasformazioni in atto in diversi ambiti: religione, opinione pubblica, comportamento politico, sociologia, cultura.

Il fondamento empirico della ricerca ha impiegato valori forniti da banche dati mondiali che, per essere compresi, hanno avuto bisogno di complessi indici statistici per sottolineare la differenza tra i paesi oggetto di studio e quindi il processo multidimensionale della secolarizzazione. I due autori non prevedono “soluzioni” fantasmagoriche o innovative, inedite.

D’altronde Pippa Norris e Ronald Inglehart sintetizzano il loro saggio sull’importanza della religione nel mondo moderno con la citazione del Salmo 49,13: “L’uomo nella prosperità non comprende” e quindi appare difficile immaginare che studi sociologici sia pure complessi e seri possano far più, nella giusta prospettiva laica che è loro propria, per spiegare quello che il salmista già sapeva millenni or sono. Gli autori sfuggono alla insidiosa presunzione intellettuale di generalizzare opinioni che si basano su dati empirici, comunque limitati e fatalmente circoscritti, in buona parte, al mondo anglosassone.

Scienziati della politica, dell’economia hanno nel corso dei decenni traversato il Rubicone della filosofia e della teologia per spiegare gli sviluppi odierni della religione mondiale con formule complessive, generali, con tesi ardite che si sono rivelate tanto originali quanto fragili e, un pochino alla volta, dimenticate. Il concetto laico di “sicurezza” – sociale, economica, per quel che riguarda la “vita” dell’essere umano, specificatamente sanitaria, ha creato una commistione di valutazioni statistiche ed antropologiche che hanno modellato – come studiato dalla ricerca presa in considerazione- un indice di “sicurezza” in cui la popolazione vive la propria socializzazione che riassume il grado di stabilità economica, sociale e politica di un determinato ambiente: più è alto questo indice, minore sarebbe l’importanza della religione. Sempre la stessa ricerca dimostra, invece, che se l’importanza della religione viene presentato come il risultato della combinazione di un’altra larga serie di fattori (tratti da questionari sulla fede nelle dottrine, statistiche di pratica rituale, rilevanza pubblica delle istituzioni religiose) valutati e declinati tenendo conto delle differenze ambientali (si pone il quesito: fino a che punto il culto esteriore ha la stessa rilevanza nel manifestare il valore della religione nel cattolicesimo rispetto al confucianesimo?), questa gran messe di dati, organizzata in grafici e tabelle, produce un risultato inequivocabile e diverso dai presupposti della forzata secolarizzazione. Anzi: sicurezza e secolarizzazione producono, tra gli altri effetti rilevabili, un calo della curva demografica: i prosperi si secolarizzano ma figliano di meno; i precari credono e praticano, e crescono di numero.

Negli Stati Uniti, esempio riconosciuto della teoria del mercato religioso, secondo l’analisi presa in considerazione, il problema non sta nella domanda religiosa, in fondo costante sin dagli albori della sua storia, ma nell’offerta: più l’offerta è ampia e varia, meno lo Stato regolamenta la vita religiosa, e le comunità di fede si sviluppano prosperose ed efficacemente.

Norris e Inglehart interpretano i dati raccolti e sostengono che negli USA non l’offerta, ma la domanda è il nocciolo della questione, perché questa rileva la propria importanza dalle varie e diverse varie condizioni degli individui e dei gruppi; in parole povere la ricchezza globale del paese e la sicurezza sociale degli individui (tanti sono poi gli immigrati provenienti da contesti di socializzazione insicuri) non sono la stessa cosa e quindi la mancanza di misure sociali, l’allargamento della forbice economica tra ricchi e poveri, l’aumento dei conflitti sociali, abbassa l’indice di sicurezza americano, soprattutto rispetto alle altre democrazie occidentali.

È evidente che la dichiarata mancanza di un metodo analitico applicabile in modo planetario restituisce allo studio la sua funzione di raccoglitore di dati utili, ma non esaustivo di risposte antropologiche, filosofiche, teologiche.

La buona educazione, si fa per dire, ha quasi imposto che il metodo politicamente corretto relegasse fuori dal contesto sociale, addirittura la discussione della questione religiosa.

Senza affrontare qui, in questa sede, le ragioni filosofiche della evoluzione del pensiero nel rapporto dell’esistenza nel tempo e nella metafisica, limitandosi, come Norris e Inglehart, a ragionare sulla questione sociale, è impossibile ignorare che l’individualismo atomistico ed assoluto ha ridotto l’uomo ad un soggetto economico il cui legame sociale è stato profondamente leso dalla competitività sull’utile, più di quanto accadde con il totalitarismo ideologico nel ‘900. I precursori dell’ordo liberismo dichiararono già negli anni ’80 dello scorso secolo che “non esiste la società, esiste l’individuo” (Margaret Thatcher), ma l’uomo, nella sua complessità, vive all’interno del contesto sociale con una interazione naturale, anzi tanto naturale da essere necessaria. La valorizzazione dell’esistenza umana e della natura in “denaro” si è dimostrata mal gradita già a partire dall’inizio del nuovo millennio, e conclamata dalla pandemia come ossessiva ed innaturale.

Le caratteristiche sociali della attuale globalizzazione hanno portato a rivalutare come critico l’intrecciarsi di informatica, telecomunicazioni, sfruttamento a fini economici delle conoscenze sulle vite private acquisite dai gestori dell’informazione, mentre la socialità diretta e non mediata dagli strumenti (che esistono e che debbono essere regolati non distrutti) è stata invocata durante l’epidemia in corso. La distanza una volta considerata superabile oggi è insopportabile. I corpi hanno ripreso materia dopo essere divenuti parola ed immagine per i social. L’emozione ha ripreso la sua funzione di fronte alla tecnica, così l’indifferenza reale è tornata ad essere passione espressa da emozioni verso conviventi, disoccupati, malati, defunti; la mediocrità spirituale ha chiesto, chiede, diritto d’espressione. Il populismo, alimentato da post verità, è cresciuto con l’alienazione sociale perché l’uomo è stato condotto verso un grande canale irrorato da slogan sintetici, da immagini, ma lo stesso uomo, durante la crisi conclamata, ha riscoperto il suo valore autentico ed a costo dell’infezione ha deciso, come è accaduto negli Stati Uniti, di rivendicare i vari diversi diritti e/o opzioni che ha deciso valesse la pena difendere o chiedere.

Il che non significa ovviamente che l’individualismo opposto al populismo sia in sé il riaccorpamento della sana economia ai diritti dei singoli ed a quelli della società. Significa che la riscoperta dell’uomo in quanto singolarità che vive nella società ha reso evidente come le religioni abbiano ristabilito il loro ruolo.

L’unità, non l’assimilazione, dei cristiani e il rafforzamento del dialogo con l’ebraismo sono, evidentemente, un patrimonio straordinario che, a Roma come a Firenze, hanno trovato significativa espressione.


Per saperne di più:

Pippa Norris: “Digital Divide: Civic Engagement, Information Poverty, and the Internet Worldwide” (2001), “Democratic Phoenix: Reinventing Political Activism” (2002), “Rising Tide: Gender Equality and Cultural Change around the World” (con R. Inglehart, 2003) e “Electoral Engineering: Voting Rules and Political Behavior” (2004), tutti editi da Cambridge University Press. Ronald Inglehart è docente di Scienza politica nell’Università del Michigan. Tra i suoi libri tradotti in italiano: “La rivoluzione silenziosa” (Rizzoli, 1983), “Valori e cultura politica nella società industriale avanzata” (Utet Libreria, 1997) e “La società postmoderna: mutamento, valori e ideologie in 43 paesi” (Editori Riuniti, 1998).

Marco Revelli: Umano Inumano Postumano (Einaudi); Elena Loewenthal: Dieci (Einaudi)

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Giuseppe Scanni

Giornalista e saggista.

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