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Il ritorno da Chios, l’Inferno dentro pensando ai rifugiati

Alfredo Nazzaro è tornato, tornato dall’Inferno, l’Inferno in terra, eppure viverci nei suoi racconti in alcuni momenti, nel descrivere l’umanità di quel campo, il Paradiso non era così lontano. E’ difficile raccontare il ritorno, raccontare che la tua vita alla fine è quella di una persona fortunata, perché quei volti, le loro voci, le lacrime le porti dentro e sono incubi di cui non vuoi liberarti, perché ti hanno regalato la consapevolezza della vita, della tua vita. Con Alfredo prima, durante e dopo abbiamo affrontato il mondo, il mondo diverso che vi raccontiamo E’ importante far sapere alla gente che dramma si vive in quei campi, abbiamo deciso di non girarci dall’altro lato, abbiamo deciso di portarvi con noi per poche righe, un viaggio infinito che non smetteremo di narrare.

Ritorno da Chios: il mare all’alba prima della partenza.

Si riparte di mattina presto da Chios, gli aerei che ti riportano indietro sono quasi tutti all’alba. L’aeroporto è separato da quel mare che ha scandito la tua vita ed il tuo tempo nei giorni passati, assecondando gli sbarchi di una umanità disperata, solo da una strada. Fai il check- in, imbarchi il bagaglio ed esci fuori a respirare quell’aria. Dai un’occhiata distratta, ti accorgi che albeggia, il cielo si sta tingendo di rosso, intorno il silenzio, assoluto e assordante, rotto solo dallo sciabordio delle onde e dalla risacca del mare. Attraversi la strada, scendi verso la spiaggia di ciottoli, stordito dalle emozioni e dalla situazione. Di fronte il mare ed oltre quel mare, le montagne della Turchia. Lo abbracci con lo sguardo, quel mare, quasi a volertelo portare con te, con il suo carico di profughi che sbarcheranno stremati ma felici di avercela fatta ad arrivare in Europa.

Francesco mi ha detto che una volta salito sull’aereo, Chios ‘resta’ a Chios. Francesco è stato il mio punto di riferimento costante in queste settimane di preparazione ed in questi giorni di grande intensità, lui conosce bene quest’isola e la sua realtà, ha sempre avuto ragione su tutto ed è stato straordinario nel guidarmi e nell’aiutarmi a tenere sotto controllo le mie emozioni. Perchè, in un posto così, non c’è spazio per le emozioni. Però questa volta ha torto. Chios sale su questo aereo con me, insieme a tutti quelli che sono stati il mio mondo in questi giorni e che lascio su quest’isola, in questo angolo di Egeo.

Ritorno da Chios, all’aeroporto per la partenza

Il distacco è solo fisico. E’ tempo di salire sul turboelica, c’è vento, ti aspetti un volo turbolento ma, come per magia, una volta che inizia a rullare va su dolce, puntando sul mare. Hai voluto un posto vicino al finestrino. Guardi giù scrutando tra le onde che schiumano al largo. Hai gli occhi gonfi, stanotte non hai dormito ma sono le lacrime che te li rendono così, non la stanchezza. Vai con la mente alle parole di Erri De Luca e ti ricordi che sono le lacrime che fanno vedere, senza le lacrime gli occhi si seccano, come quelli dei pesci, e non riesci più a distinguere nulla. Le lacrime, come quelle che sgorgano solo dai lentischi di Chios producendo il mastice. Una colla potente. La colla che ti legherà a quell’isola ed a quelle persone per il futuro. Sei appena partito e già lo sai che la tua vita sarà per sempre legata a quest’isola magica dove, durante una tempesta di neve, nacque Chio, figlio di Poseidone.

Quel volo di ritorno è poco meno di un arrivederci. Sei appena partito e sotto di te si dispiegano le isole dell’Egeo settentrionale, brulle, inospitali ed eppure bellissime e magiche. Sei appena partito e già ti manca quel mondo. Hai uno scalo lungo, ad Atene. Hai difficoltà a muoverti perché quell’isola ti ha lasciato due ernie lombari, ma non sono lacrime di dolore quelle che continuano a solcare le tue guance. Mangi svogliato un frozen yoghurt ed aspetti il volo che ti riporterà in Italia. Sono ore interminabili, perché tu sai che non dovresti essere lì, ma da dove sei partito. I giorni seguenti servono a provare a rimettere insieme i pezzi ed i frammenti della tua anima. Torni indietro con i ricordi e ti accorgi che sono passati solo poco più di due mesi da quando ti sei proposto come volontario per l’imbarco a bordo della Open Arms, perché avvertivi l’esigenza di testimoniare che l’Italia diversa, rispetto a quella che odiava e sbarrava i porti, esisteva. Un’Italia migliore che però, per esserlo doveva metterci la faccia ed il corpo. E tu decidesti di mettercelo, il corpo.

In questi due mesi hai fatto una serie interminabile di colloqui motivazionali per testare la tua tenuta emotiva. Ma di fronte all’orrore non c’è preparazione che tenga. Ti tornano alla mente i giorni precedenti la partenza, la paura di non farcela, l’angoscia per quello che avresti trovato. Se fosse stato diverso, saresti un avventuriero. Ed ora sei tornato, ma non sei più la stessa persona che era partita. Ha ragione chi ha scritto che i volontari, in quelle condizioni, subiscono una “metamorfosi umana”. Quando operi in quelle condizioni, quando vieni a contatto con quell’orrore e quella disperazione, non riesci più a tornare indietro alla tua vita “precedente”. E’ veramente un viaggio di sola andata. Una volta tornato alla tua vita, ai tuoi affetti, alle tue comodità, tu continuerai ad avere un solo pensiero ed un solo obiettivo: tornare in quel posto per continuare ad aiutare. Nel frattempo impieghi ogni attimo libero immaginando strategie per continuare a farlo da remoto. Ogni sapore, ogni odore, ogni cosa ti viene naturale compararla con quell’esperienza.

Hai visto il mondo scomporsi come attraverso un caleidoscopio e devi ricomporlo. Il tuo mondo, per non restare travolto. Sei un ginecologo, hai consuetudine con quel momento in cui la vita più si avvicina alla morte, che è il parto. Sei abituato a gestire il dolore e le emergenze. Anche quelle drammatiche. Ma non c’è preparazione di fronte all’annientamento ed alla sopraffazione dell’uomo sull’uomo. Ti rimane una ferita aperta: il velo di indifferenza che circonda il destino di quella povera gente. Ma questa è un’altra storia. Apri la finestra, guardi il melograno che hai in giardino e ti tornano in mente i frutti di Chios. Quelle melagrane che resistevano ostinatamente attaccate ai rami, seppur svuotate e ridotte a mezze lune. La melagrana, frutto della fortuna, della fertilità, un simbolo importante per molti paesi.

Marta, Isabel, Lube, Nerea, Pello, take care of yourselves and take care of Vial refugees. I’ll be back in a while.

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Tiziana Buccico

Tiziana Buccico, napoletana verace, classe 1969, da sempre appassionata di politica, cultura e Medio Oriente. Un passato di uffici stampa tra cui l’Istituto italiano per gli Studi filosofici. Poi giornalista di pagine di cultura e società, come “moscone” per i quotidiani “La Città” e "il Corriere del Mezzogiorno”. Ha lavorato per uffici stampa politici e istituzionali (Regione Lazio e Consiglio Regionale del Lazio), organizzando eventi e campagne elettorali. Pezzi di vita vissuti tra Gottingen, Vienna e Parigi, viaggi avventurosi e curiosi. Per otto anni, sino al 2017, è stata in Iran per seguire marito e famiglia ma occupandosi a tempo pieno della Scuola Italiana “Pietro della Valle” di Teheran, come Vice Presidente . Da allora la passione per i viaggi e le culture diverse è cresciuta e si è anche trasformata in una rubrica Treccani dal titolo “Via della Seta”. Rientrata in Italia si occupa di social, politica, giornalismo ed eventi culturali mantenendo così un filo diretto con quella parte del mondo che le ha cambiato la vita. Social media manager dell’Istituto Garuzzo per le Arti Visive.

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