Ho riletto, casualmente, pochi giorni fa, questo racconto di Moravia e l’ho trovato, visto i tempi, straordinariamente attuale e capace di far riflettere. Appartiene alla raccolta dei “RACCONTI SURREALISTICI E SATIRICI”, scritta negli anni tra il 1935 e il 1945, anni di guerra e di totalitarismi, che si presenta come una sottile satira sociale con sfumature che cedono all’orrido quando non al burlesco tagliente. È la storia di un giovane uomo, il tacchino di Natale, che, presentandosi sotto belle forme, seduce una ragazza per soldi conquistando con i suoi bei modi la fiducia della suocera.
Questo l’incipit:
“Quando, il giorno di Natale, il commerciante Policarpi-Curcio si sente dire per telefono dalla moglie che rincasasse puntualmente perché c’era il tacchino, si rallegrò molto giacché con gli anni, all’infuori di quello della gola, non gli era rimasta altra passione.”
La meraviglia fu che a casa il nostro Policarpi-Curcio il tacchino non lo trovò sulla tavola imbandita , pronto per il palato, ma in salotto ,pronto per l’inganno premeditato, che conversava amabilmente con la figlia .
Il suo abbigliamento era impeccabile e di grande eleganza : una giacca nera dai risvolti di seta ,un paio di pantaloni a quadretti sale e pepe e un gilè di panno grigio con bottoni di osso.
A sentir dire la moglie ” il tacchino era nobile, ricco e influente…… aveva aria da gran Signore …… preziosità d’accento, un gran bel “partito”. Quando parlava tirava indietro il capo e gonfiava il petto sotto il gilè e affascinava con racconti mai uditi di feste, di svaghi, di viaggi , di successi …..era un esperto conoscitore del mondo “. Mamma e figlie ne erano incantate .Solo al Curcio il tacchino non convinceva e pensava che il suo posto era solo nella pentola.Non aveva torto .Il tacchino , difatti, seduce la figlia , fugge con lei all’estero e chiede un riscatto per restituirla alla famiglia . A sposarla non se ne parlava neppure . Il tacchino aveva già moglie e figlia ed era ridotto al lastrico.
Il racconto , si comprende bene , è tragicomico così come è facile riconoscere nel tacchino l’immagine tronfia dell’uomo che vuole apparire prestigioso, influente e di notevoli conoscenze ma interiormente indecente , così sgradevole da disgustare per la sua insidiosa perversità. Parla e vuole attrarre con il suo bel dire ma può incantare solo gli sciocchi creduloni che si fermano in superficie e che si lasciano ingannare dalle false apparenze . Il tacchino diventa ,invece, per chi sa andare oltre la “fotografia ” la metafora dell’uomo ridicolo, del “paraculo” ,come si dice in gergo studentesco, dell’accattone di “consensi” per farne un uso personale da usa e getta.
Quanti tacchini ai giorni nostri nel privato come in pubblico !!!!! Impettiti e altisonanti vanno solo alla ricerca di ammirazione per la soddisfazione del proprio ego ipertrofico e per i propri bisogni sfoggiando penne variopinte , destinate , però, a disperdersi al primo vento.
Quanti oggi sono in grado di riconoscerli? Quanti riescono a non farsi abbagliare dalle false apparenze e dal bel parlare di qualche altolocato tacchino o gallinaccio? Quanti tacchini finiscono in pentola ? Ne vedo molti in giro e anche a posti di comando . Il problema è frutto di un analfabetismo funzionale o cognitivo?
Intanto il tacchino di Moravia mi mette in guardia e mi porta a riflettere che delle apparenze non si ci può fidare. Cosa banale, qualcuno potrebbe obiettare ……ma non molto banale se consideriamo i numerosi e variopinti tacchini con cui quotidianamente ci confrontiamo e che passano per gran ” Signori “.
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