Di Diletta Fioretti
In un susseguirsi di giorni tutti uguali, grigi e monotoni, il tempo sembra essersi sfibrato; se penso all’ultima volta che sono uscita, che ho visto i mei amici, sembra ieri e contemporaneamente un’eternità. In tutti questi giorni infinitamente lunghi e profondamente opprimenti, ce ne sono alcuni che sembrano più pesanti di alti. Sono in questi giorni che sento la necessità di aggrapparmi ai ricordi e ai buoni propositi. Di buoni propositi ne ho pochi, so che alla fine non li manterrei, in più pensare alle cose che vorrei fare mi fa sentire più forte che mai la claustrofobia e lo sconforto. Per questo cerco di aggrapparmi ai ricordi e ancora di più alle emozioni che quei ricordi mi suscitano; è proprio l’apatia di questa nostra condizione che mi angoscia di più. Se Panta rei e se tutto scorre per davvero, le cose, prima o poi, andranno meglio, i problemi verranno risolti e torneremo alla vita di prima.
La vita di prima è una cosa a cui sto ripensando spesso: al conforto che mi dava quella routine da cui cercavo in tutti i modi di fuggire.
I contorni del dramma che stiamo vivendo mi portano quindi a rivalutare le cose a cui prima davo poca importanza, come prendere un caffè al bar con un amico oppure prendere tutti i giorni l’autobus per tornare a casa dopo scuola. Sono cose che prima trovavo a malapena sopportabili e che ora mi mancano insopportabilmente.
Nei momenti di sconforto, mi impongo di pensare a cosa farò una volta annullati tutti questi divieti così gravosi eppure così necessari. Ma mi vengono in mente solo le cose che avrei voluto fare e che non ho fatto, tutte le esperienze mancate, le occasioni che ho sprecato, e giuro a me stessa che quando usciremo sarà diverso, che sarò capace di cogliere l’attimo, di non lasciare nulla al caso, di non perdermi nulla.
Mi sono scoperta a desiderare cose che prima evitavo. Non sono mai stata una persona molto espansiva, ma nonostante questo, durante questi giorni lunghi e tutti uguali, mi ritrovo a desiderare quei gesti d’affetto che trovavo tanto fastidiosi.
Ripenso con rammarico agli abbracci che non ho dato, alle mani che non ho stretto, ai sorrisi che ho finto, alle volte in cui avrei voluto urlare il mio disappunto e sono stata zitta, a quando avrei voluto fare qualcosa ma la paura mi bloccava. Se potessi esprimere un desiderio per quando usciremo -anche se più che un desiderio quello che mi faccio è un augurio- vorrei che quella paura che spesso mi attanaglia scomparisse, vorrei scoprirmi libera ,che non ho più paura di nulla e sentirmi finalmente sciolta da quelle catene che spesso mi impediscono di vivere come vorrei.
Se è vero che ogni esperienza ci forma e ci fa crescere, è in questo senso che voglio maturare: vorrei, una volta andata avanti, non avere la tentazione di tornare indietro, non lasciare che la vertigine che la novità comporta mi spaventi più.
Ma sarà davvero così? Sarò davvero una persona nuova una volta uscita da quella porta? Sarò capace di vedere le cose nella giusta prospettiva?
È di questo che si tratta infondo, è questo che la quarantena ci sta regalando: tempo per riflettere su come abbiamo dato valore a cose futili trascurando le cose che avrebbero meritato il nostro tempo. Davanti a questa consapevolezza mi tremano le mani: è dovuta servire una pandemia globale per farci capire che quello che abbiamo non lo abbiamo mai voluto e che in verità delle cose che abbiamo fatto ne volevamo fare solo la metà.
Non so ancora cosa farò appena uscita di casa, so solo che è questo che porterò con me una volta uscita : la consapevolezza che tutti noi siamo tempo, e che decidendo a chi e cosa donare quel tempo definiamo chi siamo.
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