Dopo una lunghissima campagna elettorale si vota finalmente per eleggere i 73 deputati italiani al Parlamento Europeo, così come avviene in questi giorni in tutti gli altri 27 paesi della Comunità Europea, compresa la Gran Bretagna che ha già deciso di abbandonare la comunità: è una delle numerose anomalie di un sistema polito-istituzionale che nessuno può ragionevolmente negare abbia bisogno di qualche messa appunto, talora da parte dei singoli Stati.
E’ questo il caso della legge elettorale italiana (ogni paese decide autonomamente in proposito) emanata nel 1979, quando si passò all’elezione dei membri del Parlamento Europeo da parte degli elettori e non più dei Parlamenti Nazionali. La legge italiana era originariamente molto semplice: ripartizione del territorio nazionale in 5 grandi circoscrizioni elettorali ed elezione dei candidati compresi in ciascuna lista in base ai voti ottenuti dalla lista stessa (proporzionale pura) con una riserva di rappresentanza per le minoranze linguistiche.
Nel 2009 la legge modificata stabilendo il diritto di concorrere alle ripartizione dei seggi riservati all’Italia solo per le liste che abbiano ottenuto almeno il 4% dei voti validi: chiaro il tentativo dei partiti politici con più vasto elettorato di bloccare la strada del Parlamento Europeo ai partiti e movimenti con un elettorato più limitato. E’ quanto avvenne alle elezioni del 2014: su 27.448.000 voti espressi (poco più della metà dei potenziali elettori) restarono esclusi dalla ripartizione dei seggi 5 liste che avevano avuto complessivamente circa 1.900.000 voti, ma ciascuna meno del 4% dei voti validi.
Avvenne così che quasi 2.000.000 di elettori, circa il 7% complessivo dei votanti, pur esprimendo il loro voto non hanno potuto far sentire in questi cinque anni la loro voce al Parlamento Europeo. A loro si aggiungono coloro (circa il 48% dell’elettorato) che hanno partecipato nel 2014 al voto, forse ritenendo che comunque il loro voto non avrebbe avuto conseguenze in quanto a favore di liste che avrebbero avuto poco successo. Nessuno esclude anzi che quelli elettori non avessero nemmeno pensato alla presentazione di proprie liste, sicuri di non raggiungere il fatidico 4%.
E’ un fatto che deve indurre a riflettere: se il Parlamento Europeo, di cui si parla di ampliare le competenze per legare maggiormente gli organi della comunità ai cittadini europei, dev’essere il luogo dove tutti, maggioranza e minoranze, possano esprimere le loro idee, formulare le loro proposte, indicare soluzioni ai problemi, non si può limitare la rappresentanza ai gruppi politici maggiori. Una democrazia è tale quando è la casa di tutti, anche di chi ne contesta i valori. La limitazione introdotta con la legge del 2009 va ripensata: è giusto pensare di fare il tagliando all’Europa ma perché non iniziare da casa nostra per la parte che ci compete?
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