Come nasce la tua passione per il mondo del vino?
Sono cresciuta in campagna, nelle vigne del nonno paterno, sulle colline bergamasche. Nonno Ettore era un contadino mezzadro, faceva il vino naturale ante litteram (come tutti i contadini italiani), io giocavo con gli animali della cascina, correvo tra i filari, aspettavo la vendemmia con gioia, era una festa che radunava tutta la famiglia e gli amici.
Poi nella vita ho fatto la giornalista, ma quell’odore di mosto mi è rimasto tatuato nel dna e appena la vita mi ha messo di fronte alla necessità di dover ricominciare da zero, non ho avuto dubbi: il vino! Era il mio ricordo felice, volevo raccontarlo, abbandonate le cattive notizie della cronaca nera e avete sempre a che fare con persone contente e connesse alla natura.
Come hai scelto le zone vinicole in Italia che volevi visitare e raccontare? Ogni capitolo tratti una regione, ma tratti una specifica zona in quella regione. Come hai scelto quella specifica zona per ogni regione?
L’idea era quella di scrivere un libro reportage che fosse però di ispirazione. Volevo raccontare alcune zone vinicole le une alle altre, perché potessero “copiare” a vicenda le strategie virtuose. Avevo in mente una mappa d’Italia fatta di case histories, di storie stimolanti che potessero dare a chi legge un’idea, un metodo, una via da seguire.
Così ci sono territori che hanno puntato sulla cooperazione (come racconto per l’Alto Adige), altri sulle associazioni private di aziende per provare a ottenere un riconoscimento statale ufficiale (come Mamoiada, o la Costa degli Dei), territori che il successo l’hanno raggiunto in pochi anni con l’aiuto anche degli stranieri come l’Etna e la lista continua perché l’Italia è una continua sorpresa, un forziere ricco di persone eccezionali, ma spesso affossate da un sistema sociale ed economico che non le supporta.
Come vedi il futuro dell’Italia del vino con i suoi numerosissimi vitigni autoctoni? Saremo capaci di valorizzarli a dovere e promuovere i rispettivi territori superando individualismi e invidie?
Ho molta fiducia nelle nuove generazioni che si sono aperte al mondo attraverso le nuove tecnologie: i giovani viticoltori viaggiano, si confrontano, vanno all’estero per vedere come si può crescere in modo sostenibile e sui mercati internazionali. Se questa generazione e la prossima si giocano bene la partita io credo che nel giro di vent’anni il vino italiano raggiungerà vette importanti per qualità e successo.
Da dove nasce il tuo stile di raccontare le storie? hai un modo che io personalmente trovo molto poetico da far commuovere e allo stesso tempo estremamente realistico da dare la sensazione a chi ti legge di essere lì con te mentre vivi quelle esperienze.
Hai colto davvero la mia missione: quando scrivo l’intento è quello di portare ogni lettore o lettrice con me in quel preciso istante, fargli vivere le mie emozioni, ciò che vedo e sento. Poi però anziché abbandonarlo nel luogo meraviglioso che abbiamo visitato lo porto con me anche nella mia mente, nei miei pensieri analitici, nella ricerca razionale di dare un senso a quanto ho assorbito durante il viaggio. Lì viene fuori il realismo.
Una cosa importante è scrivere con sincerità, non infiocchettare niente, penso al lettore o alla lettrice come fossero miei amici cari: voglio che si emozionino con me, ma che riflettano anche su ciò che può essere migliorato. Come si dice? In vino veritas. Che verità sia. Sempre.
Nel tuo libro racconti anche le storie di molte donne che sono entrate nel mondo del vino, vuoi aprendo proprie cantine, vuoi prendendo la gestione delle cantine di famiglia, a volte appoggiate, molto spesso dovendo “lottare” contro la famiglia ovvero contro una visione patriarcale. Che ruolo pensi possano svolgere le donne nel mondo del vino? nel tuo libro parli ad esempio con molte donne viticoltrici che fanno parte dell’associazione Le Donne del Vino. Pensi che in questo mondo ancora molto maschile si riuscirà ad avere una vera parità di genere?
È innegabile che il mondo del vino in Italia sia ancora dominato in certi contesti dal maschilismo. Oltre a quanto racconto nel libro, raccolgo commenti e segnalazioni attraverso i miei canali social di donne discriminate che ricevono paghe più basse per le stesse mansioni, che non vengono tenute in considerazione nelle scelte aziendali nemmeno se parte della famiglia, donne a cui vengono automaticamente assegnate mansioni amministrative e di accoglienza, tagliate fuori a priori da ruoli dirigenziali o tecnici.
Queste situazioni non finiscono nelle pagine dei blog o dei giornali di settore, dove invece leggiamo spesso di donne viticoltrici che sono in aumento, ma non sono comunque nemmeno lontanamente la metà dei corrispondenti uomini. Se guardiamo i dati delle professioni tecniche o scientifiche nel mondo del vino non arriviamo al 10 per cento di presenza femminile.
Quello che serve, secondo me, per dare una spinta al cambiamento, è formare le giovani generazioni con dosi di autostima e modelli di leadership femminile in diversi ambiti: enologhe, agrarie, esperte di sostenibilità, viticoltrici, manager, divulgatrici, le donne nel mondo del vino hanno bisogno di esempi concreti, di persone che hanno tracciato la strada e possono aiutare le altre donne a percorrerla. Spoiler: il mio prossimo libro ha proprio questa missione: raccontare le “Intrepide” (questo il titolo, dall’omonimo podcast che ho pubblicato a ottobre 2022 con Storytel) del mondo del vino.
Di Laura Donadoni ho scritto la recensione del libro “I custodi del vino“.
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