Riportiamo di seguito l’intervista a Dom Serafini, prestigiosa firma di Moondo.info, pubblicata su www.abruzzoweb.it.
di Filippo Tronca
“New York è una città dove si cammina e si è abituati alla folla. Ora è deserta ed è deprimente. Quello che fa rabbia è che la minaccia rappresentata dal coronavirus è stata sottovalutata. Gli interessi economici si sono posti prima della salute pubblica”.
A parlare è Dom Serafini, classe 1949, giornalista abruzzese nella grande Mela, assediata da un microscopico virus. Originario di Giulianova, in provincia di Teramo, da cui è emigrato appena 18enne, nel 1968, ma dove torna ogni anno per trascorrere le vacanze davanti al suo mare. E dove telefona in questi giorni per sincerarsi delle condizioni di salute di parenti e amici, con cui ha mantenuto un forte legame.
A New York dirige VideoAge, una rivista per il settore tv internazionale. Tra le tante collaborazioni quelle con AmericaOggi, Il Sole 24 ore e anche con Messaggero edizione Abruzzo, e con il bimestrale Abruzzo nel mondo. Sulla sua regione d’origine ha scritto anche libri di successo come “Ero gracile: la rivincita della B12”.
Anche Dom resta chiuso il più possibile nella sua casa di Manhattan, con la moglie e suoi figli. Nel cuore della megalopoli focolaio della pandemia, dove il numero dei morti ha superato quota 2mila, sulle 5mila totali negli Stati Uniti. I casi di contagio nella sola New York sono 83mila, su 216 mila totali. C’è chi pronostica oltre 250 mila morti.
“Osserviamo rigorose misure di cautela – spiega Dom – social distance, scarpe fuori la porta, lavarci le mani in continuazione, lavare tutto ciò che entra in casa, -incluso le bevande e cibo. E speriamo. Speriamo che finisca presto. New York è in ritardo di un mese rispetto all’Italia, quindi qui l’apice arriverà verso maggio”.
La sua preziosa testimonianza resa ad Abruzzoweb getta anche luce su come la superpotenza mondiale si è fatta trovare impreparata davanti a questa minaccia, e scopre, ma in fondo si sapeva, che il suo sistema sanitario quasi esclusivamente privato, è ora parte del problema, e non la salvifica soluzione. Fa impressione leggere che nel paese più potente e ricco del mondo, a Lancaster in California un ragazzo di 17 anni è morto di covid dopo essere stato rifiutato dall’ospedale perché non aveva l’assicurazione sanitaria, come altri 80 milioni di cittadini.
Dom Serafini, come è cambiata la sua città, assediata da un nemico invisibile?
Ogni zona è diversa. In periferia, come Long Island o nord NY si è meno preoccupati, perché ci si muove in automobile. A New York City, dove si cammina e si prendono i mezzi di trasporto pubblico, il rischio e la preoccupazione è maggiore. Comunque, anche in città noi vediamo solo una piccola fetta dell’emergenza: quella vicino a noi, visto che non andiamo fuori della nostra area. Per avere un quadro completo guardiamo la televisione. Questa città è nota perché si cammina molto, si è abituati alla folla. Ora è deserta. Ed è deprimente. Surreale.
Il pericolo è stato sottovalutato?
Certamente. Come in tutte le parti del mondo. Gli interessi economici si sono posti prima della salute pubblica. In Italia si è cercato di risolvere gli sprechi della sanità con i tagli al sistema sanitario. Gli Usa, dove non esiste un “sistema sanitario”, ma un “settore sanitario”, si sono trovati completamente impreparati ed ora combattono una guerra con un nemico invisibile.
C’è rischio instabilità politica, sommosse e assalti ai supermercati, come sta cominciando ad accadere in Italia, da parte di persone che non hanno soldi per mangiare?
No, almeno per ora. Negli Usa non si prende l’ordine pubblico alla leggera! In una città come New York dove ci sono più nazionalità che in quelle rappresentate dall’Onu, se l’ordine non fosse imposto e rispettato, non ci si potrebbe vivere. Il giorno in cui fu annunciato il lock-down volevo rifornirmi di frutta fresca dal solito carretto di strada vicino alla nostra redazione. Ebbene, l’ambulante, immigrato da un paese afgano, si è rifiutato di venderla perché ordinato dal sindaco.
Tornando alla sanità: fa impressione vedere i pochi ospedali pubblici con pazienti sistemati nei corridoi, perché non c’è posto, nel leggere di persone che muoiono perché non si possono permettere l’assicurazione, o che si indebitano a vita per curarsi…
La povera gente moriva per mancanze di cure anche prima del Covid-19. Oggi con questo coronavirus si muore indiscriminatamente. Penso che la sfida verrà superata e che alla fine il virus farà nascere un “sistema sanitario” adeguato. Credo che l’iniziativa del governatore dello stato di New York, Andrew Cuomo di collegare tra di loro gli ospedali pubblici e privati in modo da provvedere ad una copertura sanitaria universale, verrà copiato da altri stati. E questo è un primo passo importante. Ora bisogna aspettare le elezioni presidenziali ed il parziale rinnovo del Congresso federale. La maggior parte dei repubblicani, ed alcuni democratici, sono in mano alle lobby delle assicurazioni e case farmaceutiche. La cosa strana è che a votare i politici in mano a queste lobby sono i cittadini che hanno più bisogno di un sistema sanitario universale. Il problema è che i repubblicani sono stati bravi a presentarlo come una cosa “socialista”, che in America è una parolaccia, che però diventa una parola santa quando la si attribuisce al Social Security, la pensione federale, e Medicare, il servizio sanitario gratuito ai pensionati.
Come giudica l’operato del presidente Donald Trump davanti a questa emergenza?
Non aiuta il fatto che alla Casa Bianca non ci sia una forte leadership, a parte la voglia di Trump di giustamente responsabilizzare le autorità cinesi per farle smettere di diffondere così tanti virus polmonari, ben sei dal 1957.
Curiosamente, a prendere la situazione in mano sono ora due leader italo-americani: il citato governatore Cuomo, e Anthony Fauci, direttore dell’Istituto Nazionale per le Malattie Infettive. Quello di Cuomo è un ruolo di leadership. I suoi resoconti giornalieri, da una copertura prettamente locale, sono diventati telecronache a livello nazionale al punto da ecclissare quelli di Trump.
Come si vive quello che sta accadendo in Italia nella comunità abruzzese d’oltre oceano?
Veramente non saprei. Seguo solamente le vicende in Abruzzo chiamando mia zia a Giulianova, o amici a Pescara. A livello regionale mi tengo informato leggendo online Il Messaggero, il giornale dove curo la rubrica domenicale sugli abruzzesi all’estero.
Si calcola già che il ciclone coronavirus lascerà dietro di sé negli States oltre 10 milioni di disoccupati. Saranno efficaci le misure economiche messe in campo da Trump?
Si vuole soffocare la crisi con soldi in quantità illimitata, 2.200 miliardi per ora. Per un breve periodo funzionerà. Ma già si parla di ulteriori stimoli economici. Per fortuna gli Usa possono stampare tutti i dollari che vogliono.
Come trascorre la sua giornata, e come svolge la sua attività?
Come al solito, alle 5 del mattino controllo la posta elettronica dopo aver preparato una tazza di caffè. Dopo la barba e la doccia cammino per andare in redazione, che è dietro l’angolo di casa e anticipata alle 7:30 invece che alle 8:00 per incrociare meno passanti, anche per dare più spazio ai miei figli che devono lavorare da casa. Mia moglie mi porta il pranzo e torno a casa alle 18 per fare cena con la famiglia alle 19.30 del pomeriggio, poi un po’ di svago guardando la tv. Tutto questo con tanta cautela da parte di tutti: lavandoci le mani con sapone liquido ogni volta che si tocca qualcosa possibilmente infettata, come le maniglie delle porte, camminando tenendo una distanza di almeno tre metri dalle persone, lasciando le scarpe fuori della porta di casa, bevendo tante bevande calde, imbottirci di vitamine C e zinco e così via. Per minimizzare l’esposizione, mia moglie è l’unica che va ai negozi alimentari, quando non si possono avere le consegne a casa.
Il suo settore, quello editoriale e giornalistico, è stato colpito dagli effetti economici della pandemia?
Dopo un primo periodo di smarrimento, quando le fiere nel campo televisivo venivano cancellate una dopo l’altra, inclusa quella della Rai, Cartoons on the Bay a Pescara, ci siamo ripresi e cominciato a pensare come poter continuare a fornire il nostro tradizionale servizio di informazioni. Nel frattempo anche gli altri settori della nostra industria televisiva si sono adeguati ed hanno trasformato i loro eventi dal vivo in presentazioni via streaming, cioè via Internet. Siamo stati gli unici nel nostro settore a pubblicare un numero che doveva coprire quattro fiere TV importanti, in Francia, in Italia e negli Usa. Abbiamo dovuto eliminare la stampa del nostro quotidiano fieristico, ma abbiamo proseguito con il mensile di marzo e aprile aumentando la diffusione online e anche grazie all’appoggio pubblicitario di tante società televisive di nove nazioni. La parte più difficile, per un mensile cartaceo, è stata aggiornare le informazioni editoriali man mano che le fiere venivano cancellate. In una settimana abbiamo cambiato tre copertine e riscritto e rimpaginate quattro articoli. Ora stiamo preparando il numero di maggio legato ad Hollywood, nonostante che l’evento dal vivo della presentazione dei nuovi programmi televisivi e dei nuovi palinsesti delle Tv americane sia stato trasformato in un evento streaming dagli studio di Hollywood. Seppur viviamo in un periodo di terrore causato da un nemico invisibile e silenzioso, il settore televisivo internazionale sembra essersi ispirato ai discorsi radiofonici di speranza e determinazione di Churchill quando le bombe tedesche cadevano silenziosamente su Londra.
Il mondo cambierà dopo questa pandemia globale? E come dovrebbe cambiare?
É ora chiaro che le guerre non si combattono solamente con armi ed eserciti convenzionali, ma c’è bisogno di nuove procedure difensive coinvolgendo sia il sistema sanitario che quello della sicurezza nazionale.
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