Gli Usa vanno all’attacco, l’Europa, invece, sceglie l’attendismo e, per il momento, ha deciso di giocare solo in difesa.
Si potrebbe riassumere cosi’ il confronto a distanza che si e’ tenuto in questi giorni tra la Banca centrale americana (Fed) e quella europea (Bce).
A dar fuoco alle polveri e’ stata la Fed che,,nella sua ultima riunione di fine agosto,, ha dato una svolta ufficiale ed inattesa alla propria strategia di politica monetaria,.annunciando che d’ora in poi il suo faro sarà il dato sulla disoccupazione e non più l’inflazione.
Insomma, le autorità monetarie americane, di fronte alla crisi economica portata dal Covid, abbandonano la linea ortodossa di una inflazione intorno al 2% in favore dell’obiettivo primario di stimolare l’occupazione e recuperare così i posti di lavoro perduti negli ultimi mesi.
L’annuncio americano ha scatenato subito la reazione dei mercati che hanno venduto il biglietto verde portando così ad un netto rafforzamento dell’euro. La moneta unica europea era gia’ in lento ma costante rialzo dal giugno scorso ma, dopo l’annuncio della Fed, è arrivata a superare anche il tetto del rapporto di 1,20 contro il dollaro.
Gli economisti hanno subito cominciato a parlare di una guerra dei cambi, dichiarata dagli Usa per agevolare le proprie esportazioni e stimolare l’ economia, anche in vista (secondo i maligni) delle elezioni presidenziali di novembre e per mettere in difficoltà la Germania già indebolita dagli effetti economici della pandemia e considerata una concorrente sleale dagli Usa perchè aiutata da una moneta sottovalutata rispetto alla propria forza.
La preoccupazione degli europei e’ emersa uffucialmente la scorsa settimana quando il membro del comitato esecutivo, della Bce Philip Lane, ha detto: “Il cambio euro-dollaro conta”. Sembra una dichiarazione ovvia ma per un esponente della Bce non lo e’, visto che la Banca centrale europea ufficialmente non fa politica dei cambi perche’ non e’ previsto dal suo statuto e, come sempre, i tedeschi sono molto rigorosi su questo.
Tuttavia l’apprezzamento del 6% dell’euro sul dollaro registrato da giugno preoccupa non solo la Bce ma anche tutti gli economisti europei perche’, se l’euro arrivasse a salire ancora, le aree piu’ deboli dell’area euro sarebbero in grosse difficolta’.
Il Consiglio della Banca centrale europea,,nella riunione di oggi, si e’ invece limitato a confermare i livelli attuali dei tassi e la prosecuzione dei programmi d’acquisto di titoli (come il Pepp, il quantitative easing pandemico) ai livelli precedentemente definiti: 1.350 miliardi il valore del Pepp, che proseguirà almeno fino al giugno 2021 o “fino a quando la Bce non considererà l’emergenza da coronavirus terminata”. E 20 miliardi al mese il ritmo invece degli acquisti del vecchio Quantitative easing.
La Presidente della Bce Christine Lagarde, in conferenza stampa, ha spiegato che “i dati economici nell’Eurozona indicano un forte rimbalzo dell’attività economica anche se il livello è più basso rispetto al periodo pre-pandemico”, ma “le prospettive della ripresa continuano ad essere circondate da incertezze a causa dell’emergenza coronavirus”. Quanto al tema del cambio euro-dollaro dopo la svolta Fed, ha detto che è stato discusso nel board , pur non essendo il cambio un target della politica monetaria della Bce. “Monitoreremo le variazioni del cambio euro -dollaro – ha aggiunto- per le implicazioni che puo’ avere sull’inflazione”.
Insomma, per ora la Bce sta ferma e si limita a lanciare un segnale verbale, dicendosi pronta ad eventuali mosse.
Bastera’ a convincere i mercati? Ieri, dopo le parole della Lagarde, l’euro si e’ rafforzato, fornendo le prime risposte a questo interrogativo. Se sara’ l’inizio di un rally sui cambi, la Bce sara’ costretta suo malgrado a fronteggiare la Fed a viso aperto.
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