Oggi le news hanno l’immediatezza di un tweet, di una foto su Instagram, di una diretta Facebook, addirittura vengono “fissate” in un meme. Tutto questo genera un paradosso informativo per cui il giornale digitale, che potenzialmente amplia in modo esponenziale le possibilità di comunicare (con fotogallery, video, audo, link, ecc.), fornisce di fatto meno approfondimenti dell’omologo cartaceo. Esiste una formula per far coesistere micro contenuti e long-form nel giornalismo digitale?
Fino ad una decina di anni fa la scena su un treno di pendolari era quella di gente seduta a leggere il giornale, cartaceo.
Oggi, stessa scena, stessa gente che legge il giornale, digitale.
Non abbiamo smesso di leggere, abbiamo semplicemente cambiato il supporto!
Cosa è successo? Si è dispiegata, con tutta la sua forza, la rivoluzione digitale: Internet, la Rete, i Social Network. Siamo tutti connessi, troppo connessi (oltre 6 ore al giorno, 100 giorni l’anno!).
La rivoluzione dei contenuti
Oggi le news hanno l’immediatezza di una foto su Instagram, di una diretta Facebook, o viaggiano nei 280 caratteri di Twitter. I principali player inseguono le notizie: occorre “battere” il concorrente sul tempo, pubblicare la foto più scioccante, pensare al titolo che sia esso stesso «notizia»!
Il trend è quello di una comunicazione superficiale fatta di botte e risposte che alimenta il conflitto ed azzera il confronto. Tutto questo genera un paradosso informativo per cui un giornale digitale (con possibilità di fotogallery, video, audio, link, ecc.) finisce con il fornire, di fatto, meno informazioni di uno cartaceo!
Interessante notare come la comunicazione veicolata attraverso i social network sia parte di un tutto: nello spazio dei social media ogni piccolo pezzo è sintatticamente e semanticamente autonomo, tuttavia è sempre collegato a qualcosa di più grande, o meglio si può inserire in un contesto più complesso, un mondo narrativo più grande, per essere parte di un unico storyworld.
Manovich chiama questa caratteristica modularity (2001) spiegando come tutto il mondo Web ha struttura modulare, è composto da siti e pagine indipendenti e ogni pagina è composta a sua volta da elementi che possono essere indipendentemente codificati. Alcuni pezzi di questa narrazione più grande non sono un contributo diretto alla storia ma contribuiscono all’esperienza emotiva dell’utente. Un generico post su facebook può farci intendere parte di una narrazione, ma può anche semplicemente farci incuriosire.
Ecco che disegnare ogni piccola parte dello storyworld significa creare un engage diretto con l’utente renderlo partecipe del processo di storytelling. Non è la narrazione nel suo complesso ad avvicinarsi all’audience ma una delle unità che la compongono.
Nel caso dei social sarà un video su Youtube, nel caso di un film, sarà una scena come la scena del ballo in Pulp Fiction o la scena della doccia in Psyco (1960). È quindi questa caratteristica che avvicina narratore e narratario nel processo di fruizione di una storia.
In questa folle corsa verso l’essenzialità della comunicazione, verso il taglio di ogni orpello lessicale, cosa rimane dell’approfondimento, del macro contenuto (testo o video che sia), di quello che viene definito “long-form journalism”? Cosa ce ne facciamo di articoli che vanno in profondità, se tutto si svolge in superficie? Se siamo tutti surfisti che fanno acrobazie sulla cresta delle onde, viviamo in superficie e viaggiamo veloci, che appeal potrebbe avere qualcuno che ci propone di fermarci, prenderci il tempo necessario per rilassarsi, concentrarsi e scendere in apnea a scrutare il fondo del mare? In quanti ne saranno persuasi? Non molti direte voi.
Eppure io credo che la battaglia dei macro contenuti non sia una battaglia persa, anzi. Basta solo cambiare la prospettiva. Non è (e non potrà più essere) una battaglia da combattere sullo stesso terreno. Quale? Quello del contenuto free, ad esempio.
Il macro contenuto richiede tempo, sia per prepararlo, che per leggerlo. E se “il tempo è denaro” allora l’approfondimento non può che avere un costo. Non solo sei disposto a pagare per approfondire, sarai disposto a pagare anche per leggere, dedicandogli il “tuo tempo”, che ha ugualmente un valore!
In un mondo in cui il tempo è il bene più prezioso di cui possiamo disporre, avere un pubblico di lettori che sceglie di leggere approfondimenti significa avere un patrimonio di ricchezza che nessun editore di micro contenuti potrà mai avere. Costruire questo “patrimonio” richiede sacrificio, impegno… tempo.
Le news a “bassa rotazione” sono quelle che includono racconti molto più approfonditi, fortemente multimediali, declinati su ogni canale in modo differente, che hanno il potere per la loro qualità di superare la concorrenza e soddisfare l’audience. Hanno bisogno di più tempo per essere realizzate ma anche per essere fruite nella loro interezza.
Se si segue il modello di news a bassa rotazione si troverà un pubblico che è disposto a pagare per avere contenuti premium e di qualità. E’ la strada seguita dai giornali più autorevoli e letti al mondo, il Financial Times, il New York Times (dal 2012 il New York Times è riuscito a diminuire l’advertising grazie alle subscription online) e, da qualche mese, in Italia da laRepubblica.
Alla luce di quanto detto si va affermando un nuovo concetto di giornalismo, aperto (open journalism, citzen journalism) e basato sulla “partecipazione” dei lettori, tra loro e con la redazione. Si tratta di una forma di giornalismo “collaborativo” ed interconnesso modulato e plasmato dall’interattività, dalla partecipazione, dall’innovazione e dalla multimedialità (basta pensare alla “meme-mania” esplosa in Rete).
“Stiamo entrando in un’era nuova e piena di opportunità che affida a ciascun individuo il potere straordinario di partecipare direttamente alla formazione di notizie e opinioni” (Vittorio Meloni ne “Il crepuscolo dei media. Informazione, tecnologia e mercato” Laterza, 2017).
Ad un micro contenuto che fa da «apripista» (Es. Il meme sulla Merkel), non può che seguire un macro contenuto che:
La formula magica del giornalismo digitale potrebbe essere questa:
A mio avviso i micro contenuti sono essenziali per carpire l’attenzione del lettore, ma non possono essere considerati informazione in senso lato. Molto probabilmente senza di essi molti lettori non sceglierebbero mai di pagare per approfondire un argomento, se non passando prima per una “emozione” suscitata proprio da una micro pillola.
Ad un micro contenuto che fa da “apripista” deve essere collegato un macro contenuto che analizza il problema, svela un punto di vista, confronta tesi ed opinioni diverse fino a provare ad indicare una soluzione.
La battaglia tra micro contenuti e long-form è una battaglia solo per coloro che hanno già scelto, fideisticamente, l’uno o l’altro. Mentre, come spesso accade, molto più prosaicamente rappresentano essenzialmente due facce della stessa medaglia.
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