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La giornata che vede ricomporsi in Europa l’europeismo vede in Italia spaccarsi il governo a causa del “faremo come in Russia”

La giornata che si va chiudendo e che domattina troverà sintesi nelle prime pagine dei giornali (quelli che ancora si dedicano a interpretare e connettere i fatti) porta in emersione questioni che camminavano con apparente separatezza.

La nostra “finestra sul cortile” oggi è stata tenuta aperta per ore su un grande cortile, quello dell’Europa e sulle influenze che il quadro paneuropeo comincia ad avere sullo scenario interno italiano.

Scorrono ora (quasi le 22) commenti televisivi che vanno in questo senso. Lo fanno efficacemente sulla 7 nel programma “In onda” di Telese e Parenzo, due lucidi e convergenti ospiti, come Marco Minniti (ex-ministro dell’Interno, PD) e Maurizio Molinari (direttore della Stampa).

Ursula von der Leyen è stata eletta presidente della Commissione dal PE con 9 voti di maggioranza (nemmeno Juncker e Barroso ebbero larghi margini), confermando il vincolo di popolari, socialisti, liberali, ma sostituendo il possibile voto dei verdi con quello dei pentastellati italiani. Contro la candidata tedesca si sono pronunciati i sovranisti per netta contrapposizione; ma contro anche gli stessi verdi per non sufficiente soglia di garanzie sul “climate change”. 

Ursula von der Leyen

I riflessi sul governo italiano

Plaude però il premier italiano Conte che aveva puntato su un segnale italiano a favore della candidata tedesca pur dovendo registrare Palazzo Chigi che, con questo voto, la maggioranza italiana è non solo divisa ma anche contrapposta sul tema che aveva caratterizzato tutta la campagna elettorale recente: il rapporto con l’Europa. Chi voleva la riqualificazione dell’europeismo contro chi voleva “rivoltare l’Europa come un calzino”.

Se nei giorni scorsi giravano voci su una possibile convergenza dei leghisti italiani attorno alle aperture in più direzioni della von der Leyen, le vicende recentissime – compreso la Moscopoli leghista – hanno gelato ogni possibilità, riportando la forte pattuglia salviniana nei vincoli del gruppo sovranista e rendendo esplicita la soddisfazione per il “non concorso” leghista nell’ultima dichiarazione della candidata tedesca, dopo un intervento al mattino in Parlamento che aveva invece tolto i  dubbi ai socialisti sul loro concorso al voto.

Minniti e soprattutto Molinari hanno ben spiegato come, su questa vicenda, gli equilibri politici europei e l’andamento della ancora confusa vicenda accaduta all’Hotel Metropol di Mosca si incrocino. Si incrociano “attorno al diverso e contrapposto modo di intendere l’interesse nazionale da parte delle due forze di governo in Italia”, chiarisce il direttore della Stampa, mettendo il premier Conte – che si è portato dietro alla fine il voto dei pentestallati – nel solco dell’europeismo atlantico di tradizione. E denudando fino in fondo quella che va apparendo (qui le parole sono di Minniti) come “una subalternità psicologica e politica” di Salvini verso la Russia per reiterati motivi. A cominciare dalla vicenda dell’Ucraina del 2014 e dalla illegale annessione della Crimea che genererà le nette e convinte sanzioni contro la Russia dell’Unione Europea, alle quali Salvini ha, a più riprese, dichiarato di volersi opporre. Argomento questo che vede convergere la parte sostanziale degli Stati europei che considerano tale questione (Minniti la collega con precisi riferimenti anche alla crisi libica) centrale nella profilazione dell’attuale politica estera dell’Unione.

Faremo come in Russia

Rilette oggi, le dichiarazioni e le prese di posizione dei leghisti da alcuni anni sul rapporto con Mosca suonano come un aggiornamento politicamente stravolto del famoso motto che determinò la spaccatura socialista del ’21 in Italia con quel “faremo come in Russia” della frazione comunista che ebbe come primo esito quello di spingere la borghesia italiana nelle braccia dei fascisti insorgenti. Suonano comunque male in larga parte dell’Europa. Anche se oggi il portavoce di Putin Dimitri Peskov è sceso in campo per affermare nettamente che “come abbiamo già detto, nessuno di noi dalla Russia ha mai dato sostegno finanziario ad alcun politico o partito politico in Italia”, si comincia a capire che in Europa il problema della  tentata richiesta leghista di maxi-tangente sull’operazione dell’acquisto di petrolio russo  non assume importanza in ordine al fatto che l’accordo si sia o no concluso e quindi che i soldi siano oppure non siano arrivati, ma sul fatto che le connessioni e le interlocuzioni siano arrivate tra un partito al governo in Italia e il controllo dello Stato russo sull’export energetico al punto tale da rendere possibili questo genere di cose.

Salvini verso il confronto in Palamento

L’insieme dei fatti di questo 16 luglio allinea così meglio le cose. Che costano una spaccatura verticale nel governo italiano e fanno alla fine desistere lo stesso Salvini dall’idea di infischiarsene di dare spiegazioni in Parlamento (superando ora il primo tentativo di limitarsi al question time, si profilerà probabilmente un protocollo di dibattito parlamentare più sostanziale). Ma che riportano le lancette dei fattori di convergenza politica dell’Europa entro una linea in cui fino a ieri l’Italia rischiava di essere integralmente esclusa.

Ora, a valle della giornata che vede eletta l’ex-ministro della difesa della Germania alla guida della Commissione, dopo che il Parlamento europeo ha visto eleggere un italiano, David Sassoli, esponente dell’opposizione in patria presidente del Parlamento, la linea di demarcazione vede in evidente fuori gioco solo la componente della Lega. In qualche modo il governo italiano deputato alla trattativa (Conte, Moavero, Tria), pur con questa evidente ferita, ha una certa condizione di negoziare meglio – qui forse con qualche interesse nazionale – la formazione della Commissione. E qui, come osserva acutamente il presidente del Movimento Europeo italiano Pier Virgilio Dastoli, l’idea che all’Italia convenga il portafoglio alla Concorrenza appare ”priva di senso”,  perché si tratterebbe dell’unico portafoglio che, per definizione, deve essere gestito, con i fucili puntati di tutti, in condizione di assoluta neutralità rispetto agli interessi nazionali.

Questo 16 luglio

Insomma tra vecchie storie e fatti nuovi, questo 16 luglio ridisegna i rapporti in Europa e i rapporti tra Italia ed Europa. Pur non uscendo dai commenti più responsabili nessun canto di vittoria, ma anzi la coscienza che prende forma ora, nella nuova legislatura europea, la vera battaglia sul cambiamento possibile dell’Unione, con il rischio che – se si perderà tempo o se ci si impegolerà in diatribe – il fronte sovranista (come si è visto in parte filo-russo) riguadagnerà forza e influenza.

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Stefano Rolando

Stefano Rolando è nato a Milano nel 1948, dove si è laureato in Scienze Politiche e specializzato alla Scuola di direzione aziendale della Bocconi. Tra vita e lavoro si è da sempre articolato tra Milano e Roma. E' professore universitario, di ruolo dal 2001 all’Università IULM di Milano dopo essere stato dirigente alla Rai e all'Olivetti; direttore generale dell'Istituto Luce, alla Presidenza del Consiglio dei Ministri e del Consiglio Regionale della Lombardia. Insegna Comunicazione pubblica e politica e Public Branding. Ha scritto molti libri sia su media e comunicazione che di storia, politica e questioni identitarie. Da giovanissimo è stato segretario dei giovani repubblicani a Milano, poi ha partecipato al nuovo corso socialista tra anni settanta e ottanta. Poi a lungo non appartenente. Più di recente ha lavorato sul civismo progressista (Milano e Lombardia) e su un progetto politico post-azionista in relazione al quale è parte della direzione nazionale di Più Europa.

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