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La Grandeur dei francesi e la scelta epocale di Macron

Se la necessità egemonica dei tedeschi deriva dalla scelta esistenziale dell’Opferbereitschaft (vd La Bild, la Schadenfreude dei tedeschi e i Coronabond), tutt’altra genesi ha la volontà di potenza dei francesi.

La loro convinzione di essere i più diretti eredi della civiltà greco-latina o comunque i suoi maggiori depositari almeno dall’età moderna, è suggellata dall’avvento dell’Illuminismo, che i transalpini ritengono, a torto o a ragione, di esclusiva emanazione della loro produzione culturale. Dopo i secoli bui dell’oscurantismo religioso, il recupero della centralità dell’uomo con il suo intelletto critico e la sua ragione “illuminante”, indubbiamente corrisponde al recupero e all’esaltazione della civiltà classica. E sebbene il pensiero illuminista sia nato in Inghilterra, è indiscutibile che in Francia ebbe il suo maggior sviluppo e furono le opere di filosofi e pensatori francesi a diffonderlo in tutta l’Europa continentale. La rivoluzione francese e le armate di Napoleone poi completarono l’opera di abbattimento, sul campo, della vecchia Europa feudale, dando origine alla moderna società occidentale, di cui i francesi, quindi, a torto o a ragione, si ritengono padri morali.

Al primato culturale poi hanno aggiunto l’egemonia politica con la costruzione di un grande impero intercontinentale, che per tutto il diciannovesimo secolo ha gareggiato con quello britannico per la supremazia mondiale.

La progressiva perdita del ruolo di superpotenza registrata lungo tutto il corso del ventesimo secolo non è stata accolta con serenità e rassegnazione dai francesi; tenaci e pugnaci per natura, conducono una loro personale e fiera battaglia quotidiana, a tutti i livelli, per contrastare l’egemonia culturale, politica e militare anglo-americana e recuperare quel ruolo di potenza di primo rango che, a loro avviso, gli compete, perché conferito dalla Storia.   

Qual è la prima e più eclatante manifestazione di un tale retaggio imperiale, frustrato dalla percezione di una decadenza inconsciamente rifiutata? La Grandeur. Che è soprattutto frustrazione, ma allo stesso tempo esorcizzazione del trauma del declino, quindi necessità di mostrare al mondo – e soprattutto a se stessi – di essere ancora una potenza imperiale di primo piano portatrice delle linee guida, politiche e culturali. D’altronde tale carattere identitario dell’anima francese emerge, quando non apertamente, almeno tra le righe di tutti i discorsi d’insediamento dei presidenti della repubblica.

In quest’ottica, il progetto europeo dell’immediato dopoguerra ha significato per la Francia di De Gaulle la costruzione di una nuova entità, a naturale guida francese -perché potenza vincitrice della guerra, oltre che unica potenza economica e militare della comunità dell’epoca – che per dimensione politica ed economica un giorno avesse potuto competere con le due superpotenze, USA e URSS. Motivo per cui De Gaulle ha sempre osteggiato l’entrata nell’allora CEE di Londra, considerata come il “cavallo di Troia” degli USA.  

Tuttavia questa non è stata solo la visione gollista della costruzione europea. Con l’insediamento del primo presidente socialista nel 1981, la Francia di Mitterand ha rilanciato la Grandeur proprio accelerando l’integrazione europea con la costituzione dell’asse franco-tedesco; il fine era il perseguimento di quegli obiettivi geo-politici strategici, che le erano preclusi dopo la perdita delle colonie e la dissoluzione dell’impero.

Dopo due anni di politiche fiscali e monetarie espansive di stampo keynesiano, in totale contrasto con le politiche di austerità liberista d’Oltre-Reno, che portarono quindi a tre successive svalutazioni del franco francese contro il marco tedesco, Mitterand si trovò di fronte a un bivio: continuare con le politiche espansive e uscire dallo SME (il Sistema Monetario Europeo, il padre dell’euro) oppure ancorare il franco al marco e allinearsi alle politiche economiche tedesche. Mitterand scelse la seconda strada, inaugurando il “Piano di rigore” e quell’asse franco-tedesco che da allora avrebbe governato politicamente ed economicamente l’Europa fino ai nostri giorni. E quando nel 1989 cadde il muro di Berlino e Kohl manifestò all’Europa la volontà di riunificare la Germania, le reazioni della Thatcher e di Mitterand furono diametralmente opposte. Mentre la prima fece di tutto per evitarla, il secondo, che la riteneva ineluttabile, impose a Kohl lo scambio che reputava migliore per la politica di potenza francese: sarebbe stato riconosciuto il diritto alla riunificazione in cambio della cessione di sovranità monetaria, quindi economica e politica. Kohl accettò, anche se la rinuncia al marco, unico elemento di orgoglio patriottico nella Germania post-nazista, fu un grande sacrificio per le élites e il popolo tedesco.

Riunificazione della Germania in cambio di un’Europa sempre più integrata a guida francese, il progetto di Mitterand, che l’Inghilterra – non solo thatcheriana – vedeva come una pericolosa insidia al dominio globale dell’asse anglo-americano.

Tuttavia la Francia di Mitterand concesse troppo alla Germania riunificata di Kohl, per convincerla ad abbandonare il marco tedesco. L’unione monetaria, che nacque sui parametri del Trattato di Maastricht del 1992, prendeva a modello la dottrina economica neo-liberista, i cui postulati fondamentali sembravano tagliati su misura per le esigenze del capitalismo industriale e finanziario tedesco.

Ciò ha portato inevitabilmente a una posizione sempre più egemonica dell’economia tedesca in seno all’Eurozona e a tutta l’Unione Europea – oltre a una bilancia commerciale strutturalmente in surplus verso tutti i partner – modificando di conseguenza anche i rapporti di forza politici tra i due paesi dell’asse. Un nuovo equilibrio apparso molto evidente in occasione della nomina del primo governatore della BCE dieci anni più tardi. La Francia del gollista Chirac dava per scontata una nomina francese, ma la Germania di Kohl rivendicò una nomina germanica. Lo scontro fu aspro e con toni mai visti tra i due paesi: Chirac reclamava gli accordi del 1992, allorché Mitterand concesse la sede della BCE alla Germania nella sua capitale finanziaria, in cambio della guida dell’istituto; Kohl tenne duro e alla fine della tenzone venne eletto l’olandese Duisenberg, anche se Chirac strappò con Trichet un’inconsueta staffetta per i meccanismi di governo di una banca centrale. I rapporti di forza tra i due paesi erano già molto cambiati rispetto a dieci anni prima, ma il maggior peso della Germania, a scapito della Francia, si sarebbe ancora maggiormente accentuato nei successivi diciotto anni che ci separano dall’attualità.

E veniamo alla svolta di questi giorni.

Il potentissimo choc economico del coronavirus fa deflagrare in vero e proprio scontro all’ultimo sangue la contrapposizione strutturale tra paesi germanici e paesi mediterranei in seno all’unione monetaria. Mario Draghi, autorevole ex-governatore della BCE, entra nel dibattito e dalle pagine del Financial Times spara un “siluro keynesiano” contro le fondamenta neo-liberiste dell’”euro germanizzato” (vd Draghi e il Bazooka americano per riprendersi l’Europa).

Ciò apre un nuovo scenario per la politica di potenza della Francia in Europa e nel mondo, all’interno del quale Macron muove verso un nuovo posizionamento strategico. Se le avvisaglie si erano già viste nei discorsi alla nazione per fronteggiare la crisi sanitaria, nell’intervista rilasciata, sempre al Financial Times, la settimana scorsa, la scelta di campo è chiara e definitiva.

Il presidente francese, in perfetto stile Grandeur, parte da lontano, indicando al mondo che è giunto il momento di cambiare strutturalmente il modello economico capitalistico e il tipo di globalizzazione che ha generato. Terrorismo sempre più aggressivo e globalizzato, distruzione dell’ambiente e della biodiversità sempre più violenta e generalizzata con i suoi pesanti impatti climatici, migrazione dei popoli sempre più massiccia e incontrollabile, disuguaglianza nei paesi più sviluppati sempre più profonda e pericolosa per le democrazie, crisi economiche e sanitarie sempre più frequenti e devastanti: sono tutti segnali di allarme di un’evidente insostenibilità, che ci impongono un totale cambio di rotta. Bisogna ripensare un nuovo modello di sviluppo economico sostenibile che rimetta al primo posto l’uomo e il suo eco-sistema. La grave crisi sanitaria ha messo il mondo davanti a un bivio: salvare le vite umane o salvare l’economia? Il mondo ha messo l’uomo davanti all’economia e da qui bisogna ripartire.

Da questo punto fondamentale Macron indirizza il discorso sull’Europa, tema centrale del suo messaggio.

Tutte le straordinarie misure economiche prese per fronteggiare la crisi sanitaria stanno andando contro i trattati, contro le fondamenta della costruzione europea, poiché sono tutti aiuti statali all’economia privata. Non solo, i paesi con l’economia più solida e i conti più in ordine, possono dare maggiori garanzie alle loro aziende e questo genera una distorsione della libera concorrenza. Due grandi problemi che ci impongono di abbandonare le vecchie soluzioni e di pensare a ciò che fino a soli sei mesi fa era impensabile (it’s time to think the unthinkable): la completa condivisione dei rischi e dei costi tra tutti i paesi membri senza tenere conto del pregresso e delle “colpe” del passato. Se l’Europa non è solo un progetto di mercato, ma soprattutto un progetto politico, deve mettere il fattore umano davanti a tutto e quindi deve promuovere la completa e totale solidarietà tra tutti i suoi popoli, lasciando da parte i calcoli di mera convenienza economica. Altrimenti il progetto europeo muore, non c’è scelta. E’ la posizione dei paesi meridionali, capeggiati dall’Italia, vista come fumo negli occhi dai paesi germanici.

Nel duro scontro sulla mutualizzazione del debito, emblematico di due filosofie di pensiero contrapposte, i cui esiti saranno quindi cruciali per la tenuta dell’attuale costruzione europea, la Francia si schiera definitivamente. Contro la Germania.

Macron – che in precedenza non ha mancato di dichiarare una sostanziale identità di vedute con quanto esposto da Draghi sulle colonne dello stesso quotidiano – coglie nella crisi sanitaria e nella posizione anglo-americana (vd Draghi e il Bazooka americano per riprendersi l’Europa) la possibilità di cambiare i rapporti di forza all’interno dell’asse Parigi-Berlino.  

Lasciando il blocco germanico e passando dalla parte dei paesi meridionali, dato il peso della Francia, sposta il baricentro verso i secondi, che così rappresentano il 60% del PIL dell’Eurozona. Forti di questa nuova posizione maggioritaria e coscienti del fatto che la rinuncia alla mutualizzazione del debito può significare per loro il dover fronteggiare un futuro scenario “greco”, i paesi meridionali sembrano tenere duro, a costo di rompere l’unione monetaria. Peraltro anche la BCE, guidata dalla francese Lagarde, si schiera, spingendo apertamente per i Coronabond.

La Francia dunque mette la Germania e i suoi satelliti davanti a un bivio: accettare la mutualizzazione del debito e accollarsi anche i rischi e i costi dei paesi meridionali oppure restare sulle proprie posizioni con il rischio concreto d’implosione dell’unione monetaria.

Nel primo caso, il più probabile, la Germania cederebbe lo scettro della guida politica dell’UE alla Francia, che, come annunciato, proseguirebbe nell’integrazione politica, da lei sempre perseguita. L’ambizioso progetto degli Stati Uniti d’Europa non sarebbe più a quel punto solo un’aspirazione, ma un obiettivo concreto da raggiungere, ovviamente a guida – politica e militare – francese. D’altronde è stato lo stesso Macron, nel suo “discorso sulla strategia di difesa e dissuasione nucleare” tenuto alla Scuola di guerra di Parigi nel febbraio scorso, a mettere la Force de frappe – unica arma nucleare del continente dopo la Brexit – a disposizione dell’UE. Sarebbe la fine dell’austerità neo-liberista e l’inizio di nuove politiche europee, non più solo monetarie, ma anche e soprattutto fiscali, di stampo keynesiano, più in linea con le esigenze del capitalismo francese e dei paesi mediterranei. Last but not least, riconsolidamento dell’Europa sull’asse anglo-americano con conseguente allontanamento dalla Cina. Non a caso Macron ha scelto il FT per dichiarare la sua scelta di campo e non a caso ha anche concesso in un passaggio: “Ci sono chiaramente delle cose che sono successe in Cina che non sappiamo”, suscitando immediate reazioni da Pechino.

Nel secondo caso, molto meno probabile per tanti motivi, la Germania con i suoi satelliti (Olanda, Austria e Finlandia) non avrebbe altra scelta che uscire dalla moneta unica, dando luogo a una riedizione del marco tedesco. La Francia ne uscirebbe comunque nazione guida incontrastata di una nuova Eurozona, con una politica monetaria e un indirizzo fiscale comune entrambi decisi quasi esclusivamente a Parigi.

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Fabrizio Agnocchetti

Laurea in economia con una tesi sperimentale sulla disoccupazione francese presso l’Università La Sapienza di Roma, diploma in gestione finanziaria presso l’Ecole de Commerce IPAG a Parigi, diploma in economia internazionale presso l’Université des Sciences Sociales UT1 di Tolosa. Amministra fondi d’investimento presso la State Street Bank Luxembourg e successivamente si occupa di risparmio gestito presso la SGR di cui diventa partner. Come consulente finanziario indipendente si occupa di progetti d’investimento nei settori della moda, del calcio e della ristorazione. Dal 2014 imprenditore nel settore della ristorazione a Milano e a Nizza.

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