Abbiamo scelto di leggere e commentare un libro particolare, l’opera di una giornalista, anzi di una giornalista che fa il particolare mestiere della cronista e di quella particolare e famosa cronaca che va sotto il nome di “nera” perchè quello che Federica Angeli ci racconta con il suo “Il gioco di Lollo” ci riguarda tutti, anche se, come spesso accade di fronte ad eventi che disturbano la nostra routine quotidiana, facciamo finta di non sapere o di non vedere.
Premesso che l’opera tende ad una sua autonoma vita e ad una posterità per la natura che le è propria e che sull’opera letteraria si incontrano due entità creative: lo scrittore e il lettore, la critica assume la funzione di mezzo di comunicazione. Serve cioè ha fornire al lettore quegli elementi di conoscenza che gli possono permettere un più facile accesso alla complessità narrativa che caratterizza l’opera letteraria. In questa prospettiva il compito della critica è facilitare una saldatura tra scrittore e lettore, una identificazione tra chi legge e i protagonisti della storia narrata.
Con “Il gioco di Lollo” non ci troviamo difronte ad una storia creata dall’autore, ma alla narrazione di una storia realmente accaduta e di cui l’autore è protagonista. Una modalità narrativa che ha celebri precursori, dalla Pelle di Malaparte che ci raccontava l’occupazione americana a Napoli al nouveax roman di Robbe Grillet che ci narrava della guerra in Algeria.
Federica Angeli ci racconta una storia criminale di cui è protagonista con una scrittura che tende a staccarsi dai canoni tradizionali della composizione del romanzo per approdare a quelli dell’inchiesta giornalistica. Oltre la letteratura la ricerca di un mezzo di espressione coerente alla storia narrata e adeguato ad un diverso rapporto scrittore-lettore. In generale la relazione fra realtà descritta nell’opera e la realtà che ci circonda è l’elemento che determina ciò che chiamiamo il tema ma in questo caso il tema, cioè l’agire criminale, è insuperabile dalla maniera in cui è rappresentato, dalla forma con cui è narrato. Questa tesi trova la sua traduzione in termini narrativi nel Gioco di Lollo in cui il ricordo o la descrizione degli avvenimenti vissuti nei sei anni trascorsi dalla mamma giornalista nella città in cui tutt’ora si trova si integra e si confonde con la violenza della vita presente in cui tutti noi siamo immersi. Una tale sovrapposizione di tempo ci dà una dimensione per cui il narratore, il piccolo Lorenzo detto Lollo, racconta qualcosa che ci riguarda, ieri come oggi, e che richiama la nostra coscienza al dovere della solidarietà e della difesa della convivenza civile.
Un’ultima osservazione: scrive l’autore “mamma che andiamo a fare al mare?” dice Lollo “a guardare la mafia” risponde Federica Angeli. Una risposta semplice per tranquillizzare un bambino o il convincimento che la mafia sia dappertutto? La storia della criminalità organizzata del nostro Paese ci insegna che essa è fortemente legata al proprio territorio di origine perché può vincere solo laddove ha costruito nel tempo e in assenza dello Stato, un suo consenso sociale. La mafia in Sicilia, la ‘ndrangheta in Calabria, la camorra a Napoli. E quando queste organizzazioni hanno cercato di sbarcare a Roma e dintorni hanno trovato la banda della Magliana, poi gli zingari dei Casamonica, oppure i Carminati o gli Spada. E con questi banditi hanno dovuto trattare per vendere le loro partite di droga. E quando questi sono stati sconfitti i tentativi di sostituirli non sono riusciti. E allora non sarà vero, come scrive Piero Melati sulla Repubblica, che al cinema, come sugli altri media, abbiamo banalizzato una realtà feroce, la mafia, facendola diventare una icona arrivando persino a trasformare il boss in un eroe, se pensiamo al Marlon Brando del “Padrino”. E per questa strada siamo arrivati a definire una cultura, la cultura mafiosa, come qualcosa a cui si può uniformare anche lo stile di vita di un qualsiasi cittadino e abbiamo introdotto nel nostro codice penale il reato di concorso esterno che ha portato a sentenze alquanto discutibili così come l’applicazione di quel 416 bis che tiene in isolamento un vecchio demente come l’ex capo della NCO mentre fa uscire dal carcere il prossimo anno Brusca, l’assassino del giudice Falcone, per buona condotta.
Quello che Federica Angeli ci racconta con il suo “Il gioco di Lollo” è la cronaca della presa del potere di una banda criminale resa possibile dalla indifferenza dei pubblici poteri ad iniziare dagli amministratori della città per finire alle forze dell’ordine, ma soprattutto per il clima di omertà dei cittadini. Una storia che riguarda tutti, non solo a Roma e dintorni, anche se continuiamo a far finta di non capire.
Il racconto di Federica Angeli suona come un campanello d’allarme: la scrittrice ha più volte dichiarato che la sua inchiesta, così come i suoi libri, ma soprattutto il suo opporsi come cittadino alla violenza criminale, vogliono essere una testimonianza concreta della possibilità di sconfiggere quella cultura mafiosa che stava pervadendo la comunità di Ostia e che ha fatto saltare il muro di complicità che i banditi stavano costruendo a difesa dei propri loschi affari. Ma soprattutto un impegno per assicurare un futuro di libertà che, come dice il figlio Lollo alla fine del libro, “ha un profumo bellissimo”.
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