Dedicato a tutti gli adolescenti come Giorgia che, appesantiti da un male di vivere che non riescono a superare, soli nella loro solitudine indecifrabile, decidono di togliersi la vita sui binari di un treno che dovrebbero invece prendere per quel viaggio affascinante che resta sempre la vita pur tra difficoltà, disillusioni e amarezze.
“Eccola, eccola là, eccola là, la Luna………. C’era la Luna! La luna! E Ciaula si mise a piangere senza saperlo, senza volerlo, dal gran conforto, dalla grande dolcezza che sentiva nell’averla scoperta, là mentr’Ella saliva pel cielo, la Luna col suo ampio velo di luce, ignara dei monti, dei piani, delle valli che rischiarava, ignara di lui, che pure per Lei non aveva più paura, nè si sentiva più stanco nella notte, ora piena del suo splendore.”
Ciaula è un “caruso”, un fanciullo che lavora in una miniera di zolfo, sfruttato e maltrattato da tutti, un essere derelitto e indifeso che sopravvive in una condizione alienata e distorta, nelle buie visceri della terra, isolato dal mondo e dalla vita.
Una notte la scoperta improvvisa della meravigliosa luce lunare lo commuove fino al pianto. Incantato e affascinato da quel dolce chiarore che bagnava la terra addormentata, si commuove come ad una presenza di sacralità femminile, vicina e lontana insieme, che fosse giunta a visitare l’oscurità della notte per regalargli una rinascita spirituale. Con il suo misterioso silenzio scendeva consolatrice per restituirlo ad un equilibrio interiore, per riscattarlo dalla sua dimensione abbrutita e dalla negatività di un’esistenza altrimenti votata all’inconsapevolezza e al male di vivere.
L’esperienza di Ciaula diventa emblematica di un momento epifanico quando la verità, aggallando dal profondo, si rivela in tutta la sua durezza per cui cresce incontenibile un desiderio di evasione verso mete di trasgressioni liberatrici.
In certi momenti di silenzio interiore, difatti, quando l’anima si spoglia delle scorie di una vita “dissugata”, senza occhi e senza cuore, priva di senso e priva di scopo, la contemplazione di una bellezza superiore ci ricorda che la misura umana è l’universale e l’unica fuga possibile è quella verso l’equilibrio, l’armonia, il bello, il bene insomma.
La vita, allora, che normalmente appare piccola in una incomprensibile fantasmagorica meccanica, annullata da una sorta di anestesia del cuore, riacquista la sua forza e resiste alla disumanizzazione di un dolore stritolante riscoprendo nella dimensione contemplativa del sentimento una duratura difesa dal male di vivere.
E così come Lucio nelle “Metamorfosi” di Apuleio, ciascuno di noi, piccoli Ciaula nei meandri di un’esistenza a rischio di non senso, potrebbe invocare:
“Tu Luna che con la tua femminile luce rischiari ovunque la città e con il rugiadoso splendore e alimenti la rigogliosa semente e con le tue solite peregrinazioni spandi il tuo incerto chiarore……..nell’ora delle estreme tribolazioni , rinsalda la mia afflitta fortuna , dammi pace e ristoro”
” ista luce feminea conlustrans cuncta moenia et udis ignibus nutriens laeta semina et solis ambagibus dispensas incerta lumina tu meis iam nunc extremis aerumnis subsiste, tu fortunam conlapsam adfirma, tu saevis exanclatis casibus pausam pacem tribuem.” (Apuleio Metamorfosi XI, 2)
Apollo e Dafne (Ovidio, Metamorfosi, libro I). “Fer pater… opem… qua nimium placui mutando figuram!”.…
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