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La pandemia e la fossa dei serpenti

La pandemia purtroppo continua a diffondersi, i provvedimenti adottati dalla pubblica autorità sembrano ancora insufficienti, anche se molto gravosi per l’economia del Paese: è una crisi economica e sociale molto grave, ma non meno grave è la crisi politica che si va delineando.

Iniziamo dal primo problema: il governo, nell’emanare provvedimenti sempre più restrittivi dei diritti della persona sanciti in costituzione (libertà di riunione, di movimento, di iniziativa economica, per citare quelli più spesso richiamati) sta veramente violando la carta costituzionale senza che nessuno dei suoi guardiani (il Presidente della Repubblica, la Corte Costituzionale) intervenga?

Il Parlamento è veramente esautorato dal governo dai suoi poteri decisionali, pure stabiliti in Costituzione, con un Presidente del Consiglio che procede con propri atti (i famosi Decreti – DPCM) ignorando sia la maggioranza che l’opposizione parlamentare?

Da ultimo, non sarebbe il caso, almeno per togliere gli alibi al governo, di far funzionare le due camere consentendo ai loro componenti di esprimersi non in assemblea ma attraverso un Si o un No via Internet, in modo da far fronte ai contagi del virus abbastanza diffusi tra deputati e senatori, tanto da rendere oggettivamente difficile la loro partecipazione alle sedute?

Forse è opportuna una premessa: che questo governo sia un esempio dal punto di vista della osservanza della Costituzione è un po’ esagerato affermarlo, accade spesso, ad esempio, che sia rispettata la lettera e non lo spirito della norma costituzionale (è accaduto anche di recente a proposito di nomine governative) è però da tener presente che il Paese si trova in una situazione veramente eccezionale, non prevista in Costituzione: è una parentesi, una dolorosa parentesi, che si è aperta nella vita politica ed economica del Paese, costringendo il potere pubblico a camminare su una strada sottile come una lama di un rasoio quanto alla conformità alla Costituzione: con la pandemia si è scoperchiata la fossa delle serpi velenose per la democrazia parlamentare ed è difficile contare esattamente quante ne siano uscite dalla fossa. Il nodo del problema non è questo, quanto quello di essere pronti a richiudere la buca con tutte le serpi che ne sono uscite non appena la pandemia sarà finita (probabilmente tra alcuni mesi, quando è speranza di tutti che ci sia un vaccino efficace).

Fuor di metafora è necessario essere fermi nel prossimo futuro a cancellare il ricordo di queste esperienze di transito nelle zone costituzionali a traffico limitato ed a non utilizzare quanto sta avvenendo come precedente da valere in futuro per lo svolgimento delle funzioni demandate dalla Costituzione ai vari organi costituzionali.

Per fare un esempio, è pretestuoso chiedere di introdurre il voto online dei parlamentari per immettere surrettiziamente nella cittadella assediata del Parlamento il cavallo di Troia della democrazia digitale, tanto cara al Movimento 5 Stelle: la prova della finalità nascosta che si vuol perseguire e che a primavera ha funzionato egregiamente il sistema adottato alla Camera dei Deputati di fissare un numero di deputati proporzionale alla consistenza numerica di ciascun gruppo parlamentare per partecipare alle sedute ed alle votazioni se necessarie. Niente democrazia del click, tanto cara ai 5 Stelle, ma rispetto delle regole senza creare precedenti utili per cambiare.

Il 3 gennaio 1925 Mussolini, capo del governo, si presentò alla Camera per la presentazione di alcuni progetti di Legge, uno dei quali attribuiva al governo i poteri legislativi, salvo che in alcune materie, fino a quel momento esercitate dal Parlamento: la motivazione era che centinaia di Decreti Legge non erano mai stati esaminati dalle Camere, pur continuando ad avere valore. Tanto valeva dunque che il Governo procedesse con decreti non soggetti al successivo esame del Parlamento: una deroga al sistema diveniva motivo per modificarlo e ci vollero 23 anni, fino alla Costituzione Repubblicana per abrogare quella legge fascista. E’ il pericolo principale delle deroghe al sistema elevate poi esse stesse a regole del sistema ed è un pericolo che l’esperienza ha dimostrato non essere meramente teorico.

Il punto debole dell’esperienza che stiamo vivendo è conseguenza della profonda voragine dell’azione amministrativa, frutto di una riforma della PA sempre rinviata e che si trascina dallo stato fascista che l’aveva gerarchizzata in modo da avere la garanzia di perseguire le finalità di quel regime.

La democrazia (e gli studi recenti di Guido Melis lo hanno dimostrato) non ha saputo creare una macchina altrettanto efficace ma altrettanto efficiente al servizio della società e non più del partito egemone, anche se una tensazione in questo senso di un partito al potere per più di 20 anni effettivamente c’è stata.

Denaro stanziato e non speso, imprese che falliscono perché non riescono ad avere i benefici stabiliti a loro favore o quantomeno strombazzati da questo o da quello, cassa integrati che aspettano fiduciosi quelle poche centinaia di euro mensili per sopravvivere.

Il “Corriere della Sera” in un suo allegato ha recentemente indicato in più di 40 i documenti necessari per fruire dell’eco-bonus per il rifacimento delle facciate: si tratta di una norma recente  ed è da chiedersi se chi l’ha redatta abbia ben compreso cosa stava scrivendo.

Questo è il vero problema: una classe politica improvvisata, con un Presidente del Consiglio avvocato e professore ma senza alcuna esperienza politica governa come può e come sa. La memoria va alla Francia post rivoluzionaria del 1789 quando potè divenire titolare di una carica pubblica un cittadino qualunque, che magari fino a quel momento aveva fatto tutt’altra attività: finì con Napoleone e non fu un gran finale, almeno per chi crede nella democrazia parlamentare.

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Mario Pacelli

Mario Pacelli è stato docente di Diritto pubblico nell'Università di Roma La Sapienza, per lunghi anni funzionario della Camera dei deputati. Ha scritto numerosi studi di storia parlamentare, tra cui Le radici di Montecitorio (1984), Bella gente (1992), Interno Montecitorio (2000), Il colle più alto (2017). Ha collaborato con il «Corriere della Sera» e «Il Messaggero».

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