Di Nicola Cammarano
È da poco iniziata la Settimana Santa, periodo che precede la festività della Pasqua. In questa settimana si ricorda la Passione di Cristo: il dolore e le sofferenze che accompagnarono Gesù verso la sua crocifissione, un sacrificio ingiusto, ma da lui accettato come gesto per salvare l’uomo. Infatti Gesù, dopo la morte, resuscita e, come recita il credo, sale in cielo, per sedere alla destra del Padre: dietro questo avvenimento apparentemente semplice, l’ascesa del figlio di Dio per tornare in cielo, c’è un significato più profondo. Pur essendo figlio di Dio, Gesù resta comunque un uomo per sua stessa ammissione, e vive in una realtà fatta di dolore. Ciononostante egli risorge e sale in cielo: è la prova, per coloro che in vita credettero in lui, dell’esistenza di qualcosa dopo la morte, ovvero una seconda vita, priva di sofferenze e di morte. Se è così, allora la Passione assume un significato nuovo: non è più la sofferenza di un Dio a causa di un’ingiustizia, ma è ciò che un Dio-uomo sceglie di fare per salvare gli altri uomini dal vuoto e dalla sofferenza della morte.
Noi cristiani, ogni volta che arriva la Pasqua, festeggiamo con i nostri cari, e ringraziamo Cristo di averci fatto questo dono con la Messa e la preghiera. In ogni posto c’è una tradizione, che sia culturale, religiosa, o anche culinaria, collegata alla festività della Pasqua che entra nella nostra vita. Tuttavia, quest’anno dovremo fare a meno di molte cose a causa di un nemico invisibile, il Coronavirus. È ormai da più di un mese che siamo chiusi in casa, per prevenire il peggioramento di una situazione che accenna appena a migliorare. Ed è proprio durante una ricorrenza come quella della Pasqua che si sente di più il peso della quarantena: il peso di una vita sociale negata e di una festività che non sarà quella solita a cui siamo da sempre abituati. Niente messa, niente festa con tutti i parenti, nessuna scampagnata sul monte con gli amici a Pasquetta. Siamo incatenati in questa realtà immobile, imprigionati nelle mura domestiche.
Dobbiamo quindi arrenderci e vivere una Pasqua apatica e noiosa, circondati dalla morte di migliaia di persone? Non per forza. Dobbiamo ripartire dalle nostre certezze: che siamo vivi, in salute, al sicuro tra le nostre mura e con le nostre famiglie. Forse non potremo festeggiare con i parenti più lontani o con gli amici più fidati. Ma la Pasqua è un trionfo della vita sulla morte, della gioia sulla sofferenza, della luce sull’oscurità. Allora, anche se siamo in queste condizioni, dobbiamo festeggiarla come tale. Sostituiremo la celebrazione eucaristica con la preghiera a casa; gusteremo la nostra pastiera con i nostri fratelli e genitori; e soprattutto cercheremo di vivere al nostro meglio. Il COVID-19, in un certo senso, ci aiuterà ad avvicinarci meglio all’esperienza della Passione di Gesù, in quanto noi stessi stiamo vivendo una “passione”. Possiamo riscoprire il vero significato della sofferenza. E soprattutto, possiamo ripartire da noi stessi, dalle cose più semplici, liberi da tutte le distrazioni della vita quotidiana.
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