Classici contemporanei

La Peste di Albert Camus

L’epidemia da CORONAVIRUS ha dato chiaramente la percezione non solo dell’inconsistenza dell’invincibile “lottatore” umano ma soprattutto della fragilità delle sue presuntuose convinzioni. In altre parole l’uomo faber è stato posto di fronte alla precarietà di ogni teorema esistenziale perché di colpo il mondo, tutto il mondo, è apparso estremamente insicuro e incontrollabile e l’uomo estremamente vulnerabile nei confronti dell’imprevedibilità del destino dell’umanità e dell’illogicità che lo governa.

Soprattutto ha percepito con chiarezza che a trincerarsi entro i confini della patria non servirà a restare esente da minacce e immune da pericoli. Pur tuttavia il codiv 19 è stato isolato, la sua minaccia col tempo si potrà controllare, la scienza farà il suo corso. Ma l’umanità potrà sentirsi per questo al sicuro?

Camus ci ricorda che la vera peste non è quella biologica ma quella generata dal degrado morale, è la tragicità della pestilenza-esistenziale. È il male dell’uomo contro l’altro uomo, è il male delle contorsioni della verità, il male dei conflitti umani, delle guerre dell’odio, dei preconcetti razziali, etnici,religiosi. E’ il male dei condizionamenti, dei concentramenti dei poteri, delle ingiustizie, degli abusi psicofisici, morali e ideologici che alimentano le masse per spingerle allo sfacelo globale.

La peste di cui parla Camus e che voglio prendere oggi in considerazione non è, pertanto, una malattia ma è LA MALATTIA di cui spesso non si vuole riconoscere la gravità e che è in grado di favorire lo scoppio di una epidemia al massimo grado di pericolosità possibile perché genera guerre, distruzioni, stermini, miseria.

Il suo germe può restare addormentato e invisibile nella realtà quotidiana più banale e apparentemente più innocua senza dare segni della sua presenza per poi svegliarsi all’improvviso e mandare i suoi sorci a morire in un posto che sembrava felice, vincente, inattaccabile. Sotto il cielo di Orano, la città in cui imperversa la peste di Camus, come nel calduccio delle nostre pseudo sicurezze, gli speculatori, gli sciacalli, gli inciuci di potere proliferano per l’inerzia di tutti coloro che Gramsci definiva INDIFFERENTI, chiusi nel proprio egoismo o bloccati dalla grettezza della propria o altrui abissale ignoranza.

La Peste di Albert Camus

La Peste di Albert Camus

Quando scoppia una guerra la gente dice: Non durerà, è una cosa troppo stupida” scrive Camus. La sua stupidità, però, non le impedirà comunque di durare e di far generare dolore da dolore, di partorire un male metafisico, scandaloso per la sua immensa gratuità. “Negavano tranquillamente e contro ogni evidenza che noi avessimo mai conosciuto un mondo insensato in cui l’uccisione di un uomo era quotidiana (…..), negavano che noi eravamo stati un popolo stordito di cui tutti i giorni una parte era spinta nella bocca di un forno, mentre l’altra, carica delle catene dell’impotenza e della paura, aspettava il proprio turno” (Camus , La peste)

È evidente che il male di cui parlava Camus era il male del totalitarismo e di tutto ciò che riuscì a produrre in termini di dolore cosmico, un male che sarebbe un errore ritenere sconfitto definitivamente perché sotto forme diverse si ripresenta costantemente nella storia. “Il batterio della peste non muore mai, non è mai completamente sconfitto e può restare dormiente per decenni ma non scomparire” ( Camus).

Per tale male non esistono laboratori scientifici e studi epidemiologici che possano garantirne la scomparsa definitiva. Contro questa malattia che sicuramente può divenire mortale esiste un solo vaccino: la consapevolezza che viene dalla conoscenza e la forza della pietas entrambe unite alla determinazione di un Sisifo o di un Perseo: il primo non cessò mai di caricarsi il suo masso sulle spalle, il secondo mai lasciò andare la testa di Medusa a ricordargli che il male nell’umanità non si estingue mai e che l’unica sua forza trova le sue radici nell’indifferenza pietrificante contro cui ogni singolo uomo deve lottare.

Quale allora la strada possibile nel nostro mondo orfano di Sisifo e di Perseo? Quella di un’educazione capillare dove il sapere è considerato un bene in sé e non un ingrediente tecnico capace solo di fare quattrini. La cultura intesa come educazione dell’animo al bello e al bene che può sembrare attività ludica e inconcludente ma che può, invece, risultare utilissima soprattutto perché induce ad un modus vivendi più compassionevole e quindi capace di proteggere l’ umano dal disumano, l’uomo da quel mostro che lui stesso può diventare.

In questi giorni così difficili l’umanità dovrebbe convincersi che se le discipline medico-scientifiche sono essenziali, fondamentale è anche recuperare l’insegnamento che arriva dall’humanitas perché nulla di grande, di bello e duraturo potrà essere realizzato senza porre l’uomo al centro di ogni interesse, senza fare dell’uomo lo scopo ultimo di ogni progetto, senza sconfiggere la vera malattia quella dell’ANIMA.

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Antonella Botti

Sono nata a Salerno il 3 Marzo del 1959 ma vivo da sempre a Sessa Cilento, un piccolo paese di circa 1300 anime del Parco Nazionale del Cilento. Ho studiato al Liceo classico “Parmenide” di Vallo della Lucania ed ho conseguito la laurea in Lettere moderne. Sono entrata nella scuola come vincitrice di concorso nel 1987, attualmente insegno Letteratura Italiana e Latino al Liceo Scientifico di Vallo della Lucania. Ho pubblicato due testi di storia locale: "La lapidazione di Santi Stefano" e "Viaggio del tempo nel sogno della memoria". Da qualche mese gestisco un blog, una sorta di necessità interiore che mi porta a reagire al pessimismo della ragione con l’ottimismo della volontà. I tempi sono difficili: non sono possibili "fughe immobili".

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