Prima di qualsiasi riflessione o commento sulla vicenda politica attuale, all’indomani delle elezioni del Parlamento del 4 marzo, dobbiamo sgombrare il campo da tutta una serie di equivoci, frutto di cattiva informazione o di una propaganda elettorale fatta in disprezzo dei cittadini, ingannati da false dichiarazioni.
Partiamo dall’articolo 49 della Costituzione: con il voto l’elettore sceglie il partito e, a seconda della legge elettorale vigente, i parlamentari. Quindi i cittadini che partecipano alle elezioni esercitano il diritto di eleggere il parlamento e null’altro. Con il voto non eleggono nessun governo e non scelgono nessun premier.
La Costituzione dà al Presidente della Repubblica il potere di indicare il Presidente del Consiglio che nomina i ministri del governo stesso. È prassi costituzionale, ma non è una norma, il metodo delle consultazioni: il Presidente della Repubblica non ha nessun obbligo in questo senso.
E per finire. Il partito che prende più voti nella consultazione elettorale non ha alcun diritto di essere componente della maggioranza di governo nè di rivendicare per sé la guida del governo stesso. La Repubblica italiana è una Repubblica parlamentare ed è quindi il Parlamento la sede in cui si forma la maggioranza che sostiene il governo. Quindi il governo non è espressione di chi ha ottenuto più voti nell’urna, ma è costituito da chi è in grado ed è stato capace di realizzare una maggioranza nella Camera dei deputati e nel Senato.
Detto questo si può affrontare il tema di quale governo è possibile e per fare che cosa. Ma per affrontarlo in modo serio bisogna sfuggire alla tentazione di seguire il confronto fra diversi leader dei partiti in campo e soprattutto di quelli che si attribuiscono la vittoria elettorale e che sembrano più preoccupati di continuare la campagna elettorale come se il voto non fosse già stato espresso piuttosto che dedicarsi alla ricerca di una maggioranza che nessuno detiene e quindi di individuare i programmi su cui si può realizzare la maggioranza.
Le questioni sul tappeto sono di straordinaria importanza: basta guardarle non dal punto di vista di una cronaca provinciale ma allungando lo sguardo a ciò che sta accadendo sotto i nostri occhi del mondo. Cominciamo dall’Europa: mentre l’Italia, la Spagna e la Grecia stanno uscendo da una crisi economica e sociale senza precedenti, otto paesi dell’Europa del Nord, la Danimarca e la Svezia oltre a Estonia, Finlandia, Irlanda, Lettonia, Lituania e Paesi Bassi dichiarano che non c’è nessuna riforma dell’eurozona da fare e soprattutto non c’è alcuna necessità di trasferire competenze dei diversi stati alle istituzioni europee. Nello stesso tempo la Merkel e Macron hanno ribadito l’impegno a presentare entro giugno un progetto di riforma che va nella direzione opposta. Da che parte sta l’Italia? Se il governo italiano fosse diretto da Salvini molto probabilmente ci troveremmo a fianco dei paesi del Nord Europa facendo saltare l’equilibrio su cui si è retta l’Unione Europea fin dal suo nascere. E quale sarebbe la posizione del governo italiano di fronte al nuovo scacchiere internazionale che vede una rinnovata contrapposizione fra l’Occidente e la Russia? In definitiva in un mondo in cui alcuni Stati alimentano nuove spinte alla contrapposizione e quanti operano sul fronte della condivisione delle sovranità per risolvere i problemi salvaguardando equilibri di pace, il ruolo di un paese come l’Italia può essere determinante per far pesare la bilancia da una parte o dall’altra.
Un altro elemento importante della vicenda politica attuale sono le forme del welfare e le politiche di integrazione. I programmi dei partiti che si dicono vincitori delle elezioni prefigurano governi e programmi che sui conti pubblici vogliono sfidare l’aritmetica. Per ora i mercati sembrano tranquilli ma non bisogna dimenticare che il 40% del nostro debito è nelle mani di investitori esteri. La recente crisi greca dovrebbe costituire un monito per chi immagina di vivere sulle nuvole. E la stessa preoccupazione si deve avere nei confronti di quelle formazioni politiche che dopo il 4 marzo continuano a promettere di rimpatriare centinaia di migliaia di immigrati nei loro paesi di origine, illudendo i cittadini che ciò sia possibile (non avendo l’onestà di dire che non siamo capaci di organizzare l’integrazione). Francesco dice “accogliere i migranti”, ma i cattolici gli voltano la schiena e vanno nella direzione opposta in preda alla paura emotiva del “diverso”. Andrea Riccardi ha affermato che il voto motivato dalla paura del “diverso” è una “sconfitta della Chiesa”, ma forse sarebbe più esatto dire che è la sconfitta della ragione. Vogliamo tornare agli anni trenta del secolo scorso quando c’era chi riteneva quasi doveroso cancellare anche materialmente dall’umanità i “diversi”?
Questo è l’orizzonte della crisi italiana e con questo bisogna misurarsi, smettendola di seguire le farfalle perché la ricreazione è finita.
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