Siamo in un’età di grande progresso scientifico e tecnologico ma la nostra è un’epoca scientifica? Sembra assurdo ma Feynman, insignito del premio Nobel nel 1965, ritiene di no, ritiene che “quest’epoca ha ben poco di scientifico” perché il metodo proprio della scienza che avrebbe dovuto generare uno stile di pensiero scientifico non ha pervaso tutti gli aspetti della vita moderna, dominati da ben poco rigore e serietà di analisi.
L’atteggiamento scientifico è proprio di chi più che arrivare a tutti i costi ad una risposta, spesso fuorviante, del problema posto, valuta il metodo giusto per arrivarci. Presuppone disciplina mentale, concentrazione, onestà intellettuale, disponibilità non solo a riconoscere ma a comunicare i propri errori che diventano, per questo, un presupposto importante per nuove scoperte.
Ogni conoscenza è sempre incerta e non c’è mai nulla di cui essere assolutamente sicuri. È per questo che osservare, provare, verificare, considerare, accumulare informazioni e confrontarle con i propri pari è indispensabile, è l’atteggiamento giusto da seguire in ogni occasione, una sorta di ethos. Magari sono in tanti a riconoscerlo ma molti ignorano che solo un corretto “atteggiamento del pensiero” produce un percorso di indagine serio e attendibile. Tale percorso non può prescindere dall’osservazione riflessiva, da quella che Galilei definiva “sensata esperienza”, ed è proprio l’osservazione il giudice ultimo di come stanno le cose. L’osservazione “onesta” non inficiata da pregiudizi, da opportunismi di vario genere, richiede di verificare e interpretare in modo onesto, appunto, senza essere influenzati dalle proprie aspettative ed evitando di fornire solo opinioni, soluzioni erronee e giudizi inesatti. Il dubbio, poi, è un altro elemento imprescindibile, anzi il fulcro, di ogni atteggiamento scientifico. Feynman scrive: “… il dubbio è chiaramente un valore…non deve incutere timore ma deve essere accolto come una preziosa opportunità, senza il dubbio non ci sarebbe miglioramento”.
Il dubbio pone ciascuno di fronte alle proprie presunte certezze per scandagliarle, smontarle e rimontarle, per poi verificarle. Il tempo, infine, gioca un ruolo fondamentale. Pensare di arrivare al traguardo subito, saltando tutti gli step a cui siamo obbligati per una ricerca seria, significa non comprendere che il processo conoscitivo è complesso, fallibile, contraddittorio, fondato su continui errori.
Quando tutti avremo compreso il valore del metodo scientifico, quando avremo acquisito una vera disciplina mentale, solo allora saremo più vigili e meno ingenui su ciò che ci viene propinato e spesso ci inganna. Le discussioni al bar, nelle piazze, in TV, possono essere momenti di allegro intrattenimento ma in assenza di riflessione diventano armi pericolose per produrre consenso di massa o per forviare se manca l’abitudine a osservare, verificare, confrontare, se manca cioè, un habitus mentis idoneo ad una ricerca seria della verità. Esercitare il metodo scientifico è l’unica arma che ci consente di salvarci da opinioni false, da verità truccate, da opportunismi vari.
Oggi, la smania di protagonismo, la fretta di arrivare prima provoca grossi problemi in termini di percezione corrette del reale. Si preferisce l’eloquio veloce alle pause silenziose della riflessione, della ricerca meticolosa, fatta di studio, discussione, analisi dei dati, validazione e dimostrazione della loro ripetibilità. E tutto questo è metodo, disciplina mentale, è salvezza da ogni inganno scientifico, politico, filosofico, l’unica vera salvezza da un bombardamento di informazioni che vorrebbe dirigerci e guidarci verso obiettivi non difficili da immaginare. Quando avremo acquisito questa consapevolezza saremo tutti più forti e meno deboli di fronte “al falso immaginare”.
Già nell’ ‘800 Manzoni ci avvertiva:” Si potrebbe però, tanto nelle piccole, come nelle grandi cose, evitare, in gran parte, quel corso così lungo e così storto, prendendo il metodo proposto da tanto tempo, d’osservare, ascoltare, paragonare, pensare, prima di parlare. Ma parlare, questa cosa così sola, è talmente più facile di tutte quelle altre insieme che anche noi, dico noi in generale, siamo un po’ da compatire” (Cap XXXI de “I Promessi Sposi”)
Ma oggi possiamo ancora compatire?
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