Una legge, definita “fascistissima” dagli avversari del Regime, quella del 24 dicembre 1925, n.2263, sostituiva la dizione di “Capo del Governo” a quella precedente di “Presidente del Consiglio dei Ministri” per sottolineare: a) la preminenza del primo ministro sugli altri membri del Governo;
b) la fine dello Stato Parlamentare e la previsione di una nuova responsabilità dell’intero potere esecutivo soltanto nei confronti del Re.
Il titolo fu utilizzato dal duce del Fascismo, Benito Mussolini, dal 24 dicembre del 1925 al 25 luglio del 1943 e dal Maresciallo d’Italia, generale d’Armata, Pietro Badoglio dal 23 luglio del 1943 all’8 giugno del 1944.
La dizione non fu espressamente abrogata dalla Costituzione della Repubblica italiana che si limitò soltanto a introdurre la vecchia dizione, antecedente a quella voluta dal Duce.
D’altronde, un’esplicita abrogazione non era neppure necessaria, secondo la teoria di Costantino Mortati, uomo politico democristiano, docente universitario fin dall’epoca mussoliniana e membro dell’assemblea Costituente (dal cognome, da lui definito “di origini arabesche”).
A giudizio del costituzionalista, sarebbe stata la Costituzione in senso materiale, anche in contrapposizione a quella formale, ad indicare la struttura effettiva del potere in un Paese.
In altre parole, il modo concreto e di fatto, diretto a stabilire la vera sede e la reale spettanza dell’Autorità, l’avrebbe stabilito la comunità politica italiana, strutturandosi in senso sostanziale. Qualche dubbio consistente era sorto per il divieto di revisione costituzionale della forma repubblicana e per quello di riorganizzazione, sotto qualsiasi forma, del disciolto partito fascista; e ciò anche se lo stesso Mortati, in studi precedenti e nello scambio, negli anni Trenta, di opinioni con Carl Schmitt, aveva ritenuto tale partito un fattore molto importante del diritto costituzionale materiale.
L’attuale pandemia del Covid19 che ha mandato tanti Italiani “molto anzitempo all’Orco”, potrebbe avere resuscitato dalla tomba, restituendo le loro opere a nuova vita, molti illustri defunti, tra cui appunto il Mortati.
In base alla struttura effettiva del potere che nei giorni di esplosione del morbo ha visto un Parlamento sospinto all’angolo del ring politico e un Presidente del Consiglio dei Ministri al centro del “quadrato” e sempre nell’atto di emettere suoi provvedimenti chiamati o con la formula acronimo DPCM, come tali sottratti all’esame dei rappresentanti del Popolo in Parlamento (ormai in piena disoccupazione), o con il termine “Protocollo”, usato, invero, solo in diplomazia per attestare il raggiungimento di un accordo internazionale, ha sostanzialmente ripristinato, nella nostra costituzione materiale, il titolo di “Capo del governo”.
Il ripristino, come ogni fatto innovativo, suscita qualche interrogativo.
Possiamo anche dire che la su nominata Autorità abbia ampliato, materialmente, i suoi poteri fino al punto di stabilire gerarchie tra i diritti di libertà disciplinati dalla Costituzione formale?
Facciamo un esempio:
Molti Italiani, imprenditori, esercenti, artigiani hanno appreso di dovere attendere ancora per riprendere la loro attività lavorativa e produttiva di beni o di servizi (indispensabile, più che necessaria, oltre che per il comune benessere nazionale, anche per sbarcare il lunario e, in tanti, numerosi casi, per “sfamarsi”) ma che potranno presto ritornare a pregare nelle Chiese e/o assistere alle Messe officiate dai ministri del culto. E ciò, in ossequio alla priorità che sarà data, con un “protocollo” dal “Capo del Governo”, ancorché tardivo, alla libertà di culto.
Rebus sic stantibus (cioè, stando così le cose), è proprio del tutto immaginario e fantasioso attendersi l’avvento di una Costituzione materiale che annulli, per il pecorile servilismo dei Parlamentari (e giocoforza per l’assenza di vibrate proteste dei cittadini rinchiusi in casa come in una sorta di “arresto domiciliare” ) tutti i diritti di libertà un tempo goduti dagli abitanti della Penisola?
Domanda finale: Basterà, per consolarsi degli effetti deprimenti dell’incubo che stiamo vivendo (secondo non pochi osservatori poloitici, anche per l’insipienza di gente cui mai ci saremmo sognati di affidare le sorti della nostra vita contro il nostro beneplacito) citare e parafrasare liberamente “Il passero solitario” di Giacomo Leopardi per recitare con lui: Se della illibertà… la detestata soglia evitar non impetro… e il dì futuro del dì presente più noioso e tetro che parrà….di me stesso? Ahi pentirommi e spesso, ma sconsolato volgerommi indietro?
V’è chi sostiene sui social che sia meglio svegliarsi per tempo e interrompere l’incubo. Nessuno, però, dice: come!
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