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La violenza non è una soluzione

” … Se i nostri nemici torneranno nel nostro Paese, andremo ovunque siano e useremo la forza del tipo che gli Stati Uniti non hanno mai usato prima. E non sto parlando nemmeno della forza nucleare. Non avranno mai visto nulla di ciò che accadrà loro. Nessun nemico sulla terra può essere al livello della schiacciante forza e potenza delle forze armate americane”.

Sono queste le parole pronunciate da Trump per commemorare gli attentati dell’11 Settembre 2001. Sono parole che lasciano interdetti, colpiscono al cuore le democrazie del mondo ma non fermeranno i Kamikaze votati al martirio, anzi forse otterranno un risultato addirittura contrario all’intento per cui sono state pronunciate.

Gli U.S.A sono da sempre, nell’immaginario collettivo, simbolo  di grandezza, quasi onnipotenza politica ed economica, una potenza mondiale costruita sui valori della libertà e della democrazia.

Sembra, perciò, incredibile che l’uomo che la rappresenta possa esprimere tanta violenza e  all’unico scopo di ostentare una superiorità già indiscussa. Alla violenza bruta Trump risponde con una violenza peggiore tale da irretire. Il suo è un terrorismo psicologico che lascia intravvedere scenari orridi e terrificanti con armi di sterminio sconosciute ai comuni terrestri. Di fronte a questo scenario pare non ci sia differenza tra violenza terrorista e quella minacciata dal presidente della nazione più potente al mondo. Per entrambi lo Stato è potere violento e Trump ne rivendica l’egemonia anzi legittima la violenza come arma di autodifesa.

Caro Trump, la violenza non può essere una soluzione!

La gravità di tutto questo sta nel considerare che uno Stato civile dovrebbe invece bandire ogni genere di violenza. La democrazia è incompatibile con la violenza che appartiene alle società tribali. La legge del più forte e la logica della rappresaglia, aldilà del legittimo, civile  e rigoroso contrasto ai fenomeni terroristici, non aiuta a risolvere i problemi, non garantisce una convivenza pacifica nè annulla pericolose regressioni storiche, tanto meno sarà capace di rendere migliori gli uomini. Sono solo una miccia pericolosa e foriera di più gravi reazioni, di una spirale di violenza infinita 

La vera competizione dovrebbe essere, invece, quella che porta a desistere da atteggiamenti di atroce rivalsa e a cercare, piuttosto, mezzi per rendere universali i valori della libertà nel rispetto delle ragioni dell’altro; consiste nell’operare per la pace, per la cooperazione tra i popoli, nel rendere credibile un modello di società  culturalmente avanzato e nemico di ogni forma di terrorismo contro cui si deve combattere con le armi della civiltà, le uniche possibili e capaci di dimostrare che si può convivere senza contrapposizioni anche all’interno di visioni antropologiche-filosofiche diametralmente opposte.

Perché allora non presentarsi davanti alla storia con una forza diversa, una forza capace  di trasformarla? Con un messaggio  che condanni ogni tipo di contrapposizione da giungla ed esalti una forma di società costruita col primato della ragione e sui valori di integrazione e di cooperazione?

Perché la violenza sia sconfitta definitivamente bisogna rendere come insensate  le giustificazioni che ne dimostrano la necessità. Solo quando si capirà che è un mezzo  impraticabile per la soluzione dei problemi non avrà più ragione di essere.

Considerare la violenza come male minore e come necessaria per l’autodifesa non permette di bloccare altra violenza. Trump dovrà farsene una ragione nell’interesse dell’intera UMANITÀ e di ciascuno di noi potenziali vittime di atrocità terroristiche.

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Antonella Botti

Sono nata a Salerno il 3 Marzo del 1959 ma vivo da sempre a Sessa Cilento, un piccolo paese di circa 1300 anime del Parco Nazionale del Cilento. Ho studiato al Liceo classico “Parmenide” di Vallo della Lucania ed ho conseguito la laurea in Lettere moderne. Sono entrata nella scuola come vincitrice di concorso nel 1987, attualmente insegno Letteratura Italiana e Latino al Liceo Scientifico di Vallo della Lucania. Ho pubblicato due testi di storia locale: "La lapidazione di Santi Stefano" e "Viaggio del tempo nel sogno della memoria". Da qualche mese gestisco un blog, una sorta di necessità interiore che mi porta a reagire al pessimismo della ragione con l’ottimismo della volontà. I tempi sono difficili: non sono possibili "fughe immobili".

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