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Le donne turche non sono sole

La Turchia si è ritirata dalla Convenzione firmata dal Consiglio d’Europa ad Istanbul nel 2011, con lo scopo di prevenire la violenza contro le donne, fornire sostegno alle vittime di abusi e perseguire penalmente i colpevoli. L’impegno di quel Trattato internazionale vincolava ogni Stato firmatario ad attenervisi nel rispetto di diritti e doveri in esso contenuti.

E’ singolare e grave che, a distanza di dieci anni, e nonostante che in Turchia si stimi che solo nell’anno 2020 si siano registrati oltre 300 femminicidi, il presidente Erdogan abbia ritirato la firma dalla Convenzione con la motivazione incredibile che essa minaccerebbe la solidità dell’istituzione familiare.
La stessa famiglia in cui nella maggiore parte dei casi si sviluppa e si compie la violenza medesima.

Questo atto gravissimo va ad intaccare gli accordi raggiunti in ambito internazionale per operare verso una visione paritaria, in termini di diritti, per proteggere le donne e le ragazze dalle violenze che subiscono quotidianamente.

La Convenzione di Istanbul ha stabilito principi vincolanti nella lotta alla violenza contro le donne ed è stata definita dallo stesso Consiglio d’Europa come «lo strumento giuridico più ambizioso volto a prevenire e combattere la violenza nei confronti delle donne e la violenza domestica quali violazioni dei diritti umani».
La stessa impone che vengano adottate “norme giuridicamente vincolanti volte a perseguire varie forme di violenza contro le donne, come, per esempio, la violenza domestica, lo stalking, le molestie sessuali e la violenza psicologica”.

Affermando altresì, come uno dei valori fondanti della Convenzione, che la violenza contro le donne non sia da considerare una questione privata, ma di interesse pubblico.
«Gli Stati hanno un obbligo, dotandosi di politiche globali e integrate, di prevenire la violenza, proteggere le vittime e punirne gli autori. Ratificando la convenzione, i governi sono obbligati a cambiare le loro leggi, introdurre misure pratiche e stanziare risorse per adottare un approccio di tolleranza zero nei confronti della violenza contro le donne e della violenza domestica. Prevenire e combattere tale violenza non è più una questione di buona volontà ma un obbligo giuridico. Questo aiuterà le vittime in tutta Europa e in altri paesi».

La Convenzione non pone l’accento “sull’abolizione delle differenze” tra donne e uomini né stabilisce che donne e uomini sono o dovrebbero essere “uguali” ma certamente chiede di agire per combattere l’idea che le donne siano inferiori agli uomini sottolineando che entrambi devono avere pari opportunità e pari diritti nella società. Una percezione dell’individuo che non si basi su generi, diseguaglianze e stereotipi ricorrenti.

Quanto avvenuto in Turchia, che a molti può apparire come una delle tante notizie provenienti dall’estero, suscita invece allarme profondo nel mondo delle donne che chiedono e lottano perché la violenza di genere venga denunciata, condannata e combattuta da tutti gli stati democratici a partire dall’Italia.

La decisione della Turchia di uscire dal Trattato mette in evidenza la volontà di fare un passo indietro rispetto alla parità di genere e di volerla riportare in dinamiche legate a valori riconducibili ad una visione patriarcale e illiberale di quella società.

Il venire meno di un Trattato internazionale riguarda tutti i Governi che lo hanno sottoscritto. Per questo sarebbe auspicabile che essi, anche attraverso i propri Ministri degli Esteri, assumano una posizione non solo mediatica che vada oltre rapporti bilaterali e interessi economici esercitando una particolare attenzione verso il rispetto di diritti uguali per tutti.

Le donne turche che sono scese nelle piazze turche per protestare contro Erdogan e il suo Governo, il sostegno che esse stanno raccogliendo da parte di tutte le altre, dimostrano come la violenza di genere sia un fenomeno che va al di là di ogni confine.
Sono le stesse che in quella che fu considerato un tempo la “primavera araba” marciarono per la democrazia e la libertà, per aprire la strada del riconoscimento dei diritti umani. Fu, quella, una stagione breve che si ritrova oggi in un’altra stagione, che tenta di ricacciarle indietro e “punirle” per il loro protagonismo nel volere conquistare un posto equo e sicuro nel mondo.

Le donne, ovunque nascano, crescano, s’istruiscano, lavorino, operino nel sociale come in ogni altro luogo, conoscono fin da ragazze, purtroppo anche da bambine, il significato ed il peso della differenza di genere.
Un fenomeno che è diventato un dato storico, un comportamento innaturale in quanto rilevato dalla memoria, accettato dalla tradizione, attuato dalla religione e dalla politica.
Le donne rimangono ancora troppo sole nel contrastare tutto ciò e ad esse, nell’avversare quello che fu male nel passato, nel voler correggere ciò che di sbagliato vi è nel presente, non resta che immaginare e perseguire scenari diversi in cui interagire da protagoniste attive.
Le donne turche faranno coraggiosamente la loro battaglia di protesta ma sappiamo che questo non potrà bastare e che ancora il cammino sarà irto di grandi difficoltà.
La primavera meteorologica appena sbocciata non contempla quella delle donne turche.
Ma non sono sole, oggi come ieri, in tutte le stagioni.

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Marta Ajò

Marta Ajò, scrittrice, giornalista, si è occupata di politica nazionale e internazionale, società e cultura. Proprietaria, fondatrice e direttrice del Portale www.donneierioggiedomani.it (2005/2019). Direttrice responsabile della collana editoriale Donne Ieri Oggi e Domani-KKIEN Publisghing International. Ha vinto diversi premi. Ha scritto: "Viaggio in terza classe", Nilde Iotti, in "Le italiane", "Un tè al cimitero", "Il trasloco", "La donna nel socialismo Italiano tra cronaca e storia 1892-1978”.

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