Si avvicina la data delle elezioni per il nuovo sindaco e per il nuovo consiglio comunale di Roma. Il segno più evidente è l’agitarsi, come un tonno nella rete, del senatore Salvini, i colpi di fioretto (alla schiena) della Giorgia Meloni, i tentativi di distinguersi dalla lega di Letta, i rumors sugli “affari” dei Cinque Stelle. Abbiamo di fronte a noi una crisi sociale ed economica la cui soluzione è affidata alla capacità di governare un progetto politico-finanziario di vaste dimensioni e il nostro ceto politico passa il suo tempo a fare propaganda per racimolare qualche voto in più o perderne il meno possibile.
C’era da attendersi un soprassalto di saggezza e tra i tanti effetti positivi del governo Draghi ci poteva essere una più seria e meditata preparazione da parte dei partiti politici fino al punto di presentare candidati degni di sedere nel governo della Capitale più importante e più bella del mondo.
L’esperienza di questi ultimi anni, da Alemanno a Marino alla Raggi, sta a dimostrare che non è indifferente la scelta dei candidati e soprattutto i progetti dei partiti. Per scegliere quale sindaco ci vorrebbe per la città Capitale è necessario pensarci bene e soprattutto i cittadini dovrebbero farsi un serio esame di coscienza sulle scelte elettorali fatte in questi anni. A noi di Moondo ci piace immaginare un’inchiesta in cui il giornalista rivolge ai possibili candidati la domanda “Qual è l’idea di Capitale che Lei ha in testa?” Perché il problema non sono le buche o le case popolari o l’immigrazione, problemi comuni a tutte le città che un buon amministratore o un buon manager con un po’ di esperienza è in grado risolvere, ma Roma non è una città come le altre, i suoi problemi non sono di ordinaria amministrazione, è la Capitale d’Italia. Purtroppo una Capitale solo nella Costituzione, nella realtà uno degli ottomila comuni del Bel Paese. Il nodo è tutto qui. E far finta di volerlo risolvere presentando in zona cesarini qualche leggina alla Camera dei deputati (anche scritta male) è una furbizia che più di ogni altra cosa dimostra il livello veramente scoraggiante del livello culturale di certi deputati.
Tutto dipende dal fatto che nessuno (romano e non) ha un’idea di Capitale, non sanno che cos’è, non sanno com’è fatta una Capitale, lo sapevano i cesari ed anche i papi, lo sapeva Mussolini e forse anche Garibaldi ma non lo sapevano i sindaci della prima Repubblica e nemmeno quelli della seconda e dispero che un’idea ce l’abbiano i Calenda o i Gualtieri anche se sembrano assolutamente convinti che non sia necessario avere un’idea di Capitale per fare il sindaco di Roma. È una strada già battuta dalla “bambolina” Raggi, come la chiama Giuliano Ferrara, una esperienza che noi cittadini del XXIº secolo, noi cittadini democratici e repubblicani, abbiamo fatto più volte negli ultimi decenni e anche prima.
Recentemente Mario Pacelli ci ha offerto su questo giornale un ventaglio di modelli, una serie significativa di ritratti, dal format democristiano a quello comunista, e malgrado la vasta possibilità di scelta nessuno sembra corrispondere alla necessità di buon governo che nasce da una condizione di emergenza, urgente, addirittura drammatica, in cui versa la Capitale d’Italia. Ha ragione chi auspica, prima di ogni altra cosa, un dibattito pubblico sui programmi, sui progetti, sulle idee, sulle soluzioni ai tanti diversi difficili problemi di Roma.
Per parte nostra mettiamo a disposizione il nostro “Moondo”, come spazio aperto al confronto quanto meno per fare il tentativo di trarre dall’esperienza e dalla storia i materiali che possono servire per ricostruire una cultura della città.
Si potrebbe per esempio riannodare i fili di una cultura che portò 35 anni fa la Camera dei deputati ad approvare con voto unanime una mozione che indicava le linee guida per Roma Capitale mentre sette gruppi parlamentari presentavano altrettante proposte di legge. Alla commissione bilancio si introduceva nella legge finanziaria 1986 la spesa di 450 miliardi per le opere pubbliche per la funzione di Capitale. A fronte di un così significativo processo politico e legislativo il governo presieduto da Bettino Craxi presentò il disegno di legge “interventi per Roma Capitale” in cui erano indicate le infrastrutture da realizzare, gli interventi di riqualificazione urbanistica, le strutture culturali con uno schema operativo e un programma pluriennale. I progetti che erano sul tavolo sembrarono obsoleti: grandi opere, infrastrutture, informatizzare, attrezzare, telematizzare Roma non erano sufficienti a disegnare un suo volto moderno, forse mancava un’idea unitaria e per questo furono chiamati a raccolta operatori della cultura, management dell’impresa pubblica e privata, forze imprenditoriali e finanziarie, esponenti politici di tutti i partiti, che con grande lucidità e passione discussero di Roma. Poi la crisi politica mandò tutto in soffitta e ciò che sembrava a portata di mano svanì come neve al sole. Quattro anni dopo, Il 15 dicembre 1990 venne promulgata la legge 396 “Interventi per Roma, capitale della Repubblica”, c’erano 550 miliardi inutilizzati stanziati con la legge finanziaria del 1989. E da quell’atto scaturiscono tra il 1992 e il 1999 sedici decreti ministeriali. Tanti soldi per una città che affogava nel degrado e ancora soldi per una nuova Capitale di cui non si vede nemmeno l’ombra.
Sono trascorsi decenni e ovviamente la città è cambiata al di là dei suoi governanti. Roma un tempo luogo di scambi, di mercato, di abitare poi città del lavoro, oggi non sappiamo cos’è e quale potrebbe essere il suo domani. Roma è condannata ad essere una città, una delle tante, costretta a contendersi il titolo di Capitale con le altre capitali, come ai tempi delle repubbliche marinare. E così Roma si distingue dalle altre città solo perché non può (o non ha voluto) ospitare i giochi olimpici e non sa nemmeno come e dove costruire uno stadio, non riesce a governare la mobilità ma sa fornire di acqua non potabile i giardini vaticani, non sa raccogliere i rifiuti, ma riesce a far passare le sue frontiere a quanti devono passare quelle dello Stato della Santa Sede. Mentre gli autobus dell’Atac vanno a fuoco percorrendo le strade della città.
Con il tempo i problemi si sono aggravati: le responsabilità sono tante ma insistere su di esse può avere solo un valore storico, giunti a questo punto, che è forse uno dei più bassi nella storia della Roma post risorgimentale, occorre riprendere il discorso, se ne siamo capaci, dove lo abbiamo interrotto, sapendo che non sarà facile. L’esperienza di questi anni ci dice che la questione non è di quattrini, è anche e soprattutto e ancora una volta questione culturale e politica.
La gente, i cittadini di questa città, al di là e al di sopra delle regole, delle leggi, dei piani, si è costruita la sua città. O meglio le sue tante e diverse città che ormai vivono e convivono nei confini del territorio comunale. Di questo si dovrà discutere: qual’è Roma? Il centro storico, la città consolidata ai margini delle mura, i quartieri del dopoguerra e del boom economico, la periferia più lontana sfilacciata e slabbrata, i comuni confinanti: quale Roma? Certamente tutto questo insieme. Non c’è più tempo per fare e disfare l’elenco dei problemi. Una volta per tutte bisognerà affrontare la questione Roma nel suo complesso e individuare le soluzioni.
La consapevolezza ormai diffusa dei valori dell’ambiente, le scelte di politica socioeconomica, la trasformazione tecnologica, il bisogno di città, l’esigenza di porre attenzione alla forma urbana, la ricerca del bello da vedere e da vivere non può ridursi alla elencazione dei vincoli della scolastica cultura urbanistica del piano regolatore. La città è malata: un tempo fu… ma oggi cos’è? E domani?
È necessario riflettere ed agire: al posto di inutili e pretestuose polemiche che per altro con i problemi di Roma hanno poco a che fare è necessario e urgente aprire un confronto fra i partiti su un programma e sui progetti, sulla gestione delle risorse per salvare la città, per modernizzare la Capitale. Altro problema sono le proposte per coniugare lo sviluppo della città con la funzione geopolitica di Capitale e quindi ridefinire il decentramento decisionale ma anche una concentrazione per gli indirizzi. Si dovrà porre il problema di una definitiva e riconoscibile immagine di Capitale perché non basta più l’immagine di Roma nella storia, una Capitale del passato. Si pone oggi il problema dell’identità e dell’immagine.
Ma questa agenda richiede in premessa una classe dirigente consapevole e responsabile, burocrati competenti addetti alle decisioni, e poi tecnici, uomini di cultura che sappiano portare a sintesi e identificare un modello urbano e un assetto istituzionale valido per questa epoca storica.
Chi fa questo giornale, i tanti che scrivono e collaborano alla sua quotidiana redazione, vogliono lanciare un appello, un “manifesto” per la rinascita della città.
P.S. C’è stato uno svuotamento sostanziale dell’ultimo comma dell’art.114 della Costituzione a proposito della particolarità di Roma Capitale, nel momento stesso che venivano trasferite dallo Stato alle regioni (e quindi anche alla Regione Lazio) poteri amministrativi e legislativi direttamente rilevanti ai fini di una particolare situazione ordinamentale la cui necessità veniva riconosciuta contestualmente nella Costituzione stessa.
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