Le vittime più illustri del Coronavirus non sono state, come potrebbe sembrare, uomini e personaggi di grande e rinomata fama della realtà politica e sociale del Pianeta, ma due entità astratte (eppur terribilmente concrete negli effetti prodotti dalla loro presenza): la Chiesa cattolica e l’Unione Europea.
In realtà, per quanto riguarda l’Autorità religiosa, le epidemie non hanno mai giovato, storicamente, all’idea dell’esistenza di un Dio. I fedeli hanno sempre dimostrato di non capire la ragione di massacri e stragi così imponenti e senza alcuna discriminazione.
Innocenti e coraggiosi medici sono stati i primi a cadere sotto la furia micidiale del Covid19.
Era più facile ai tempi di Tucidide, scansare lo scoglio della divinità. Infatti, il primo, grande storico dell’Occidente si limitò a consegnare ai viventi e ai posteri la descrizione lucida e scientifica dei sintomi di un’epidemia (la peste, che funestò, tra il 430 e il 427 a.C. la città di Atene). Da uomo scettico e illuminato dalla ragione non v’era, nel suo scritto, alcun riferimento a forze metafisiche. Tucidide sviluppava il suo racconto senza essere fuorviato neppure da pregiudizi morali o sentimentali.
Lucrezio che, secoli dopo, raccolse la sua narrazione, vi aggiunse considerazioni, umane e terrene, sul decadimento dei valori morali e sugli effetti di disgregazione sociale prodotti dal morbo.
Altrettanto laica fu la descrizione della peste del 1348 a Firenze fatta dal Boccaccio, rappresentante del crepucolo del Medio-Evo e anticipatore dell’Umanesimo e del Rinascimento. Per raccontarci di dieci giovani che per sfuggire al contagio si chiudono in casa e si raccontano a vicenda per dieci giorni delle piacevoli e piccanti novelle, ardite nella descrizione dell’amore carnale e prive di preconcetti morali e religiosi, egli aggiunse solo poche considerazioni sulla perdità di dignità e di pudore degli esseri umani, gli unici ad essere al centro della sua attenzione: e ciò in presenza e a causa del pericolo di infettarsi.
Persino il cattolico Manzoni, nel descriverci la peste a Milano del 1630 si sofferma criticamente sulla stupidità popolare che richiede processioni e preghiere collettive, particolarmente affollate, per placare Dio: con l’effetto, involontario ma prevedibile, di un aumento maggiore dell’epidemia. Più laicamente lo scrittore lombardo pone l’accento sull’incapacità di fronteggiare il morbo da parte delle Autorità civili costituite oltre che sull’aggressività che si sviluppa tra gli individui con cacce agli untori et similia.
Sorprende, maggiormente, Camus che prende la peste di Orano, nell’Algeria Francese, come spunto per affermare una sua teoria sull’impossibilità di sconfiggere il male sul Pianeta; visione che contrasta in qualche modo sulla sua laicità. E ciò anche se lo scrittore di lingua francese ci risparmia di collegare al Diavolo quella presenza.
L’assenza o quanto meno il calo di ogni afflato religioso nell’affrontare l’odierna crisi mondiale del Coronavirus (o Covid19) è dimostrata giornalmente dal responsabile comportamento del Pontefice che chiude le Chiese ai fedeli, impedisce il folle gesto di fideisti fanatici di spingere gli infettati nelle piscine di Lourdes (con il rischio di anticipare la fine dei loro giorni e smentire, coram populo, la miracolosità dell’acqua), si fa costruire un antiestetico, moderno baldacchino in piazza San Pietro (non rinunciando, però, a farsi riprendere dalla televisione in una solitudine resa fake dalla troupe degli operatori televisivi), recita la messa in streaming, rinuncia allo scambio su vasta scala dei ramoscelli d’olivo nella domeniche che però, per motivi sin troppo comprensibili, è detta delle Palme e soprattutto alla barbarica e antigienica usanza di baciare i piedi dei poveri il giovedì santo prima di Pasqua.
La seconda illustre vittima del Coronavirus è stata l’Unione Europea, non a caso legata a filo doppio alla prima per i rapporti intensi tra lo IOR e i Tycoon della Finanza occidentale.
Per chi ha letto i miei articoli on line, sa che il terribile morbo ha soltanto reso evidenti e incontrovertibili quei segni di disfacimento, di corruttela politica del sistema mass-mediatico e di asservimento dell’azione economica dell’Unione ai diktat delle Banche che, con un minimo di attenzione ai fatti e senza i paraocchi dei cosidetti “democratici” (cattolici e comunisti) e dei liberali (per finta) annidati nei partiti della destra cosiddetta moderata dell’Eurocontinente, erano già chiaramente visibili.
Solo la cecità degli elettori europei ha potuto fare sì che l’unica battaglia politicamente importante negli Stati membri (la ridiscussione dei Trattati e, augurabilmente, la costituzione degli Stati Uniti d’Europa con un’autorità politica capace di sottrarsi, com’è avvenuto, in Nordamerica ed in Inghilterra alla prepotente egemonia di Wall Street e della City) fosse lasciata nelle mani di un’Ultradestra, incolta, retorica e parolaia, in cerca di un consenso confuso e indiscriminato (con rosari, santini, e richieste pazzesche di aperture dei luoghi di culto), con richiami nazionalistici e di implicita rivalutazione di un tempo da ritenere, invece, passato per sempre.
Quell’Ultra-destra, incapace di distinguere tra istanze di recupero di sovranità ingiustamente sottratte agli Stati e nostalgie di “ere” anche peggiori di quella attuale, dovrebbe uscire, per il bene della Penisola e dell’intera parte continentale dell’Europa, fortemente ridimensionata e ridotta nei suoi limiti fisiologici per non nuocere alla democrazia.
E’ necessario, però, che chi in buona fede ha creduto per decenni a democristiani, a socialcomunisti e a fascisti di vecchio e nuovo conio, riveda le sue tralaticie posizioni e si converta a un liberalismo nuovo, del tutto inedito in Italia (e nel resto del vecchio continente), ispirato alla nostra storia lontana, pragmatica e a-ideologica (Roma repubblicana) e a quella recente dei Paesi Anglosassoni, volta a ridare all’industria Italiana il ruolo che aveva prima dell’Euro e dei Trattati di Maastricht, quando la Germania e la Francia temevano le esportazioni dei prodotti eccellenti del made in Italye le catene commerciali di distribuzione avevano ancora denominazioni indigene.
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