Tra un anno e mezzo circa, gli italiani saranno chiamati ad eleggere il nuovo parlamento, composto da circa 2/3 dei deputati e senatori attuali in conseguenza della riforma costituzionale tenacemente voluta dal Movimento 5 Stelle, quando ancora contava qualcosa. E’ stata una riforma completamente sbagliata, frutto di un demagogico populismo ma con la quale bisogna comunque fare i conti. Un terzo di deputati e senatori non saranno rieletti. Il numero aumenta se si tiene conto anche di un certo ricambio dei deputati e senatori attuali: comprensibile quindi che fin da ora sia iniziata la lotta degli eletti attuali per conquistare quel minimo di benemerenze politiche necessarie per presentarsi nuovamente agli elettori con qualche probabilità di successo.
Le forze politiche, nessuna esclusa, vanno subendo un processo di frantumazione difficilmente arrestabile e che sembra anzi destinato ad assumere maggiori proporzioni nei prossimi mesi. Un seggio in parlamento è oggetto di molte ambizioni, anche in periodo di Cancelleriato strisciante, sorretto dalla necessità di varare in tempo le riforme richieste dalla UE per trasferire all’Italia i miliardi che dovrebbero consentirgli di uscire dalle secche della pandemia.
Il punto più interessante di quanto sta avvenendo è che ad un accentramento dei poteri statali presso il governo, fa puntuale riscontro una maggiore presenza delle Regioni nella dinamica politica ed amministrativa del Paese. La Conferenza Stato-Regioni è ormai divenuta una sorta di terza camera, anche sotto questo profilo la pandemia ha segnato novità che sarà difficile ignorare in futuro.
L’oggettivo indebolimento, in questa dinamica, del Parlamento si accompagna così ad un depotenziamento della funzione rappresentativa delle realtà territoriali, al livello regionale e comunale, di deputati e senatori in seguito ad una maggiore incisività dei poteri locali nella dialettica con il governo. Esso da parte sua procede in misura sempre maggiore a colpi di decreto legge concordati con i poteri locali e mozioni di fiducia che bloccano ad un certo punto il dibattito parlamentare. Ne consegue che deputati e senatori, nel prossimo parlamento, sono destinati a rappresentare sempre più interessi politici riferentesi all’intero paese e sempre meno a realtà locali.
La forse fin troppo lunga premessa era necessaria per affrontare il tema della legge elettorale. Sarebbe un enorme errore non modificare quella vigente, in parte proporzionale ed in parte maggioritaria con i collegi elettorali, un sistema che nelle intenzioni doveva servire a dar vita ad un sistema politico bipartitico e che nei fatti ha prodotto effetti del tutto diversi, portando in parlamento persone espressione si della socità civile, ma molto spesso assolutamente ignari del funzionamento delle istituzioni che hanno tesaurizzato, con l’avvenuta elezione, una popolarità di paese o di quartiere di una grande città.
Occorre prendere atto che il sistema non ha funzionato e rischia di dare risultati ancora peggiori alle prossime elezioni politiche, con una miriade di candidati fuoriusciti, per ragioni meramente elettorali, da partiti e movimenti, che cercheranno spazio nei collegi uninominali, senza nemmeno più l’alibi di rappresentare in parlamento pur legittimi interessi locali, dal momento che essi hanno trovato altre strade per farsi valere.
Occorre dunque una legge elettorale interamente fondata sulla proporzione voti/eletti, con uno sbarramento al 3-4 %, che eviti la rappresentanza in parlamento di corpuscoli nati solo in funzione elettorale ma privi di una qualunque connotazione politica e che aumenterebbero solo il già straripante populismo.
La nuova legge dovrebbe prevedere anche la possibilità di esprimere un numero limitato di preferenze, per lasciare qualche spazio alle segreterie di partiti e movimenti nella scelta degli eligendi: il ricorso ai collegi uninominali “sicuri” per raggiungere questo obiettivo serve solo, come dimostrano i fatti, a fornire lo spettacolo non edificante di complesse manovre per garantire ad un leader rimasto fuori dal parlamento un posto da deputato o senatore in un collegio elettorale resosi libero in seguito a complesse e non sempre chiare manovre di palazzo.
Una nuova legge elettorale richiederà probabilmente lunghi dibattiti, all’inizio del prossimo anno: non sarà facile trovare la maggioranza necessaria per la riforma ma è questo un motivo di più per iniziare a porre il problema al centro del dibattito politico.
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