A Trastevere c’erano molte edicole. Ora quasi tutte chiuse. Quelle aperte vendono modellini di Colosseo in plastica e, se passi al pomeriggio, hanno finito i pochi giornali prenotati.
Succede invece che ad Hong Kong il quotidiano di opposizione Apple Daily venda un milione di copie (su un totale di sette milioni di abitanti) in una notte, con i lettori per ore in coda per accaparrarsele.
Ovviamente c’è una spiegazione, una drammatica spiegazione: il governo cinese, dopo aver arrestato mesi fa l’editore, poche ore prima aveva incarcerato anche il direttore.
Quella era l’ultima edizione, prima della chiusura.
Quell’acquisto era certamente anche un gesto da collezionista (come la prima pagina del Corriere della Sera che annunciava l’entrata in guerra) ma soprattutto un atto politico.
Una inequivocabile dichiarazione a favore della libertà.
Ecco la parola magica, alla moda, imprescindibile, utile a tutti gli usi: libertà.
Che contiene in sè il massimo di altruismo e generosità e, contemporaneamente, di egoismo ed individualità.
Ovvero: mi batto perché a tutti vengano riconosciuti pari diritti e siano messi nelle condizioni di esprimere a pieno il loro potenziale e -nello stesso momento- sono il padrone di me stesso, non riconosco a nessuno l’autorità di intromettersi nelle mie scelte, nessuno mi può giudicare.
Prendiamo gli Stati Uniti che sono sicuramente i custodi più puri della sacra parola.
Dove si passa da una esagerazione all’altra.
Quotidianamente si inventano nuove “correttezze” politiche.
Si abbattono i monumenti agli eroi (guerra di indipendenza, guerra di secessione etc.) in seguito al revisionismo sulle loro biografie: non si erano espressi a favore di tutte le virtù democratiche (allora neanche codificate). Non avevano portato il rispetto dovuto a tutte le minoranze. Lo si fa senza tenere conto del “contesto” storico, che è la corretta valutazione del luogo e del tempo in cui le azioni si sono svolte.
Contemporaneamente, libertà è non mettere la mascherina e neanche vaccinarsi, comperare una mitragliatrice senza presentare non dico il porto d’armi ma neanche i documenti di identità, premere (se sei poliziotto) sulla giugulare di un afroamericano per otto minuti fino a soffocarlo.
Tuttavia è vero che qualcosa sta cambiando nella priorità dei cittadini (e conseguentemente della politica).
Non credo sia solo per coincidenza che si discuta di identità, genere, omofobia, bullismo, difesa delle diversità (psico fisiche e sessuali) nello stesso momento in Parlamento a Roma, tra i capi di governo a Bruxelles e nei rapporti diplomatici tra Italia e Stato Vaticano.
La pandemia non c’entra niente ma è ancora più clamoroso che in un momento di emergenza economica si trovi la voglia e il tempo per discutere di diritti.
Credo che la gente stia rivedendo la propria agenda e le proprie precedenze (e qui la pandemia c’entra).
I soldi rimangono centrali: il successo economico prima di tutto ma per fare cosa?
Il benessere è ovviamente indispensabile ma ci si abitua facilmente e, come tutte le tossicodipendenze, necessita di dosi sempre maggiori.
E di per sè non garantisce la felicità (altra parola-totem inventata dagli americani che la pongono alla base della loro convivenza).
Apparentemente, grazie alla connessione-inclusione-invadenza della rete, siamo al massimo della socialità possibile. Credo però che -paradossalmente- il futile cicaleccio, la noiosa ripetitività, la deprimente superficialità con cui usiamo queste tecnologie faccia sentire molte persone ancora più sole, più disperate di prima.
Però la rete ha reso gli utenti più protagonisti, più sicuri di sè. Più pretenziosi e meno tacitabili con qualche facile slogan demagogico.
E hanno anche scoperto che sono in tanti a condividere gli stessi disagi e che non è più il caso di reprimere la propria personalità sull’altare di una falso perbenismo, di una invidiosa “presentabilità”, di un mediocre “decoro”.
Per di più la società benpensante era – pur nella sua ipocrisia- un luogo di buon gusto, sobrio ed educato. Il conformismo di oggi è invece arrogante, ignorante e prepotente.
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