Non passa giorno nel quale le cronache cittadine non riservino delle sorprese, sorprese che spesse volte non “meritano” di restare contenute nell’àmbito della città, ma appaiono tanto eclatanti da dover andare oltre i suoi confini, anche se il riportarle rischia di mortificarne l’immagine.
Si assiste, per esempio, all’inaugurazione, nella vasta piazza Plebiscito, della posa in terra di una ridotta «opera d’arte» che raccoglie il raro consenso di addetti ai lavori e lo sconcerto dei più.
Passano pochi giorni e si assiste al compiaciuto discorso di un’assessore (‘assessora’ mi piace ancor meno) che devo proprio apostrofare…, sedotta dai pregevoli valori artistici di una scritta luminosa posta a coronamento di quell’inutile struttura di via Marina (il cosiddetto “fungo”) costata tanto (se n’è già scritto qui su Moondo). Una struttura che ha concorso a produrre rallentamenti dei lavori, costi di contenzioso con le varie ditte succedutesi; senza contare quanto speso dai cittadini imbottigliati dagli ingorghi causati da lavori protrattisi per anni e anni! Qualcuno sarà mai chiamato a renderne conto? Forse – o certamente – nessuno, come può suggerire l’artistica scritta «NESSUNO ESCLUSO» che campeggia sul “cappello” di quel fungo.
Le cronache raccontano, poi, anche di una recente “scoperta”: è quanto è avvenuto a Monte Echia, l’estrema punta di Pizzofalcone, la mitica rupe che, quasi come un avamposto, si erge ad annunziar la città a chi giunge dal mare. Da tempo (un decennio?) sono in córso lavori per la realizzazione di un collegamento verticale del luogo con la sottostante via Santa Lucia. Il lungo tempo trascorso, ormai abituale qui da noi per le opere pubbliche, dovrebbe per lo meno indurre a non commettere errori. Invece no. È accaduto così che, l’opera è andata avanti senza tener in debito conto le raccomandazioni pure avanzate da un Comitato (“Ridateci Monte Echia”) sorto espressamente per il timore, per nulla infondato, di una compromissione del sito; una compromissione che avrebbe dovuto preoccupare per tempo gli Uffici della Soprintendenza, tanto da ritenere necessario un’attenta verifica del progetto e un controllo puntuale dei lavori.
Nonostante, infatti, l’esito apparentemente positivo delle istanze a suo tempo formulate dal Comitato in tema di riduzione al minimo delle altezze dei corpi emergenti dal piano dell’antica Acropoli, ci si è ritrovati di fronte a un volume di servizio fortemente impattante per dimensioni. Il risultato è che al visitatore viene ostacolata la vista continua del panorama dal Vesuvio a Capri; e non basta, giacché lo sguardo si posa contemporaneamente su dei ruderi, vestigia di quel sito, e sull’orrendo manufatto-muraglia in calcestruzzo armato, che per una decina di metri si staglia lassù a celare l’orizzonte.
Il Comitato, invero, aveva ottenuto una variante del progetto originario con un accordo sottoscritto dall’Amministrazione e dagli stessi progettisti e per il quale, tra l’altro, sarebbe stata effettuata una riduzione in altezza del volume emergente. Nella sostanza tale accordo risulta non pienamente rispettato con un risultato che grida vendetta. Ormai, però, come frequentemente accade, le “inderogabili esigenze tecniche” connesse alla realizzazione dell’impianto non lasciano altra soluzione che quella prospettata da Donatella Mazzoleni, la quale rileva sconsolatamente la necessità e l’importanza di un opportuno completamento del manufatto, ad esempio, «… con la realizzazione di una terrazza belvedere in copertura (…); il tutto andrà valutato alla fine, nel contesto della sistemazione generale dell’intorno».
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