Il suicidio di Zazzeri, che segue quello di Anthony Bourdain del giugno scorso, ci ricorda l’intervento di Daniel Patterson al Mad Symposium di Copenaghen nel 2017: «Quanti chef credete che siano depressi? Almeno il 95 per cento».
Poi: «Pensiamo: cosa succederà se lo ammetto? La gente smetterà di venire nei miei ristoranti? Beh, io me ne son fregato, non l’ho detto a nessuno che avrei scritto questo discorso. E sono qui, a raccontarvi la mia storia. Improvvisamente mi sono sentito giù. In un baratro. Come non avessi sangue nelle vene. Ogni cosa richiedeva uno sforzo enorme. E un giorno ho scoperto che la mia creatività era interrotta, non riuscivo più nemmeno a creare un piatto. È stato allora che ho capito che era il momento di rivolgermi a un dottore. Tra di noi c’è un altissima percentuale di problemi mentali» [Dal Monte-Frenda, CdS].
«Figlio d’arte, 56 anni, chef autodidatta, considerato tra i maestri nel cucinare il pesce. Favoloso il suo crudo, certo. Ma in generale tutto il pesce con il quale, da pescatore, ha un rapporto quasi d’amore: “Bisogna saperlo cucinare. Senza mai violentarlo”. Negli anni, Luciano Zazzeri ha sviluppato una sapienza che viene fuori non solo nei secondi di pesce, ma anche nei primi. O nella cacciagione. Essendo (anche) un cacciatore, infatti, propone da metà dicembre piatti invernali a base di carne» [Frenda, CdS 2013].
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