Da diversi anni a questa parte entro nella cabina elettorale e scrivo, in grande, “Viva Craxi!”.
Non riesco a non andare a votare, ma ho fatto troppe campagne elettorali per lasciare una scheda in bianco nelle mani del più onesto degli scrutatori.
E cosa avrei potuto fare?
Una trentina di anni fa la tempesta giudiziaria aggredì le istituzioni democratiche.
Il sole avrebbe dovuto risorgere su una Italia più pulita, con meno partiti, più moderna e più pronta al nuovo contesto mondiale.
Obiettivi talmente nobili e necessari da giustificare, nel pensiero di tanti, il definitivo abbandono dei valori liberali e socialisti (in essi compresi coloro che quei valori avevano difeso e rappresentato).
Il risultato è sotto qualunque sguardo non inquinato da pregiudizio.
La corruzione è dilagata in maniera endemica, corrompendo e infiltrandosi anche nelle più periferiche pieghe delle istituzioni pubbliche.
I partiti si sono moltiplicati, inventando nomi e sigle come se non ci fosse un domani.
Il trasformismo ha raggiunto vette inimmaginabili persino nell’Italia sabauda con giravolte fulminee e talora persino divertenti.
Le forze politiche, private di qualunque base ideale e sociale, sono composte da sotto – bande che combattono fra loro per prevalere. Tra esse regna un disprezzo reciproco che viene trasmesso agli italiani, generandone altro ancora.
La magistratura si è affrettata ad assumere i peggiori comportamenti della politica (che essa aveva generato). Ha sacrificato in questo percorso verso il basso gli ultimi frammenti di autonomia e di terzietà.
L’insulto e la degradazione dell’avversario sono diventate la principale forma di lotta “politica”. Nemmeno la pratica calcistica di esaltare l’avversario così da essere bravi se si vince e giustificati se si perde ci ha difeso da questa deriva.
Ancora: la grande tradizione italiana di presenza internazionale su posizioni di buon senso e di sostegno a qualunque possibile trattativa si è dissolta.
L’Italia non conta più nulla sul panorama mondiale come su quello europeo.
Da alcuni mesi, tuttavia, penso che tutto questo sta per finire e, soprattutto, può finire.
Con la presidenza Draghi si sono poste le prime basi per il superamento della trentennale sbornia.
L’ignoranza non appare più una virtù. La competenza viene nuovamente presentata come un presupposto necessario. Governare non viene più ridotto a far finta di fare quello che qualcuno chiede ma diventa di nuovo assumere delle responsabilità sulla base di quelli che si ritengono interessi collettivi.
Ciò dovrebbe portare a spiegare e a non mentire. Dovrebbe costringere le forze politiche a essere responsabili di ciò che si è detto e su cui si è chiesto il voto.
Il trasformismo individuale dovrebbe scomparire e anche quello tattico dovrebbe ridursi moltissimo.
È ancora poco, certo, ma è moltissimo rispetto a qualche tempo fa.
Appare evidente che le cosiddette forze politiche attualmente configurate non sono in grado di confrontarsi con questa prospettiva che stravolge tutte le loro pratiche.
Dovrebbero studiare ed elaborare programmi relativamente a tutti gli aspetti della attuale situazione italiana.
Su quella base dovrebbero stipulare alleanze nella società come nelle istituzioni. Dovrebbero accettare di vincere o di perdere, rinunciando in quel caso ad andare comunque al governo.
Dovrebbero ricordarsi oggi quello che hanno detto e promesso ieri, privilegiando la dignità sulla immediata utilità.
Noi oggi abbiamo il grande vantaggio di avere un governo non eletto e sostenuto dalla grande maggioranza del Parlamento. Un classico governo di emergenza che cesserà di esistere lasciando a una nuova Italia di esprimere la sua nuova classe dirigente.
Per arrivarci occorre, però, ricostruire le grandi aree di appartenenza politica ed etica abbandonando, magari per sempre, questi “saltatori di fossi” che venderebbero l’anima per 10 minuti in televisione o per un pugno di “like” sui social.
Di conseguenza, dopo quasi trent’anni di schede annullate, voterò Calenda come sindaco di Roma.
Lo voto in cambio di un impegno, quasi di un sogno.
Lo voto per tentare di ricostruire quella area politica di ispirazione liberale e socialista che è stata dissolta in questi anni.
Votandolo, infine, lo ringrazio.
A 72 anni avevo iniziato a rinunciare alla idea di vedere, prima di morire, rinascere uno spazio politico socialista.
Mi rifugiavo nella predizione di un compagno e di un amico carissimo come Gianni De Michelis. Nei giorni della tempesta egli ci disse “Il socialismo rinascerà, ma non saremo noi a farlo rinascere”.
Adesso capisco il senso delle sue parole e son contento di essere ancora qui a vedere e partecipare.
Buon lavoro, Carlo Calenda. Per il 3 Ottobre e per il futuro
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