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Chi era davvero Michele Sindona?

Chi era Michele Sindona? Finanziere scaltro, uomo dei servizi segreti, uomo della mafia, uomo di fiducia del vaticano e dello IOR, o… chi era davvero Michele Sindona?

Partiamo dalla fine: la condanna all’ergastolo e la morte in carcere di Michele Sindona

Milano, 18 marzo 1986, aula della I Corte di Assise: il Presidente legge la sentenza che condanna Michele Sindona e Roberto Venetucci alla pena dell’ergastolo per l’omicidio di Giorgio Ambrosoli, commissario liquidatore della Banca Privata Finanziaria.

Altri imputati vengono condannati a pene minori. Sindona viene ricondotto nel carcere di Voghera. Due giorni più tardi, il 20 marzo, l’agente della polizia penitenziaria gli porta in cella il solito caffè “lungo” in un thermos rigidamente sigillato e cinque bustine di zucchero: sono le 8,15 del mattino.

Dopo pochi minuti Sindona è sul pavimento dove si contorce per i dolori al ventre: ha appena la forza di sussurrare «Mi hanno avvelenato?». Trasportato in ospedale, muore due giorni dopo.

Le indagini non approdano ad alcun risultato utile: nei resti del caffè e nelle tre delle cinque bustine portategli e non usate — tutte rigorosamente sigillate — non risultano tracce di veleno.

Sindona: omicidio o suicidio?

Il 3 novembre 1986 il magistrato che conduce l’inchiesta la chiude: si è trattato di suicidio. La sentenza lascia senza risposta molti interrogativi:

  • dove era il veleno?
  • ammesso che si sia trattato di suicidio, come aveva fatto Sindona a procurarselo?
  • è possibile che la dose usata per fingere cattive condizioni di salute ed ottenere l’estradizione negli Stati Uniti, da lui richiesta, sia risultata eccessiva provocando la morte e non soltanto un malore?
  • chi aveva veramente interesse ad uccidere Sindona, ammesso che si sia trattato di omicidio?

A più di venti anni di distanza dai fatti, quei dubbi sono periodicamente riproposti: ad esempio Francesco Pazienza, capo per sua stessa ammissione dei servizi segreti militari deviati negli anni ’80, ha affermato (“Corriere della Sera”, 30 gennaio 2009) che il caffè bevuto da Sindona era «di marca Pisciotta», alludendo chiaramente ad un delitto mafioso, ma senza fornire alcuna prova della sua affermazione.

Il giovane Michele Sindona

Tutta l’esistenza di Michele Sindona, nato a Patti, in provincia di Messina l’11 maggio 1920, è del resto piena di misteri, di interrogativi ai quali due sentenza italiane, due statunitensi e le relazioni, di maggioranza e di minoranza, di una commissione parlamentare di inchiesta non sono riusciti a dare una risposta esauriente e definitiva.

Le prime notizie sul giovane Sindona, figlio di un modesto fiorista con la passione per il gioco, riguardano le sue attività di venditore di prodotti agricoli alle truppe alleate che nel 1943 sono sbarcate in Sicilia ed occupano l’isola: la merce è acquistata da Baldassarre Tinebra, sindaco di Recalbuto, socio in affare di Calogero Vizzini, capo riconosciuto della mafia in Sicilia: un po’ poco per parlare di rapporti del giovane Sindona con la mafia.

I rapporti con i servizi segreti inglesi

E’ certo invece che quella modesta attività commerciale gli consente di conoscere uomini che lavorano nei servizi segreti inglesi come John McCaffery e Jocelyn Hambro, che resteranno suoi punti di riferimento ed amici per tutti gli anni successivi.

McCaffery comanda da Berna lo spionaggio inglese in Italia, curando soprattutto i contatti con le formazioni partigiane non comuniste che operano al nord del Paese (si legherà con rapporti di stretta amicizia, tra gli altri, con Edgardo Sogno) ed in Svizzera tiene i contatti con coloro che si sono rifugiati in quel paese per sottrarsi alla cattura dei tedeschi o delle forze della Repubblica Sociale: tra le persone che conosce c’è anche Franco Marinotti, proprietario della Snia Viscosa, prima ardente fascista e poi perseguitato dal fascismo repubblicano in quanto responsabile di bloccare la «socializzazione» della sua industria ed arrestato.

Sono i tedeschi, preoccupati di non bloccare la produzione negli stabilimenti della Snia ad ottenerne la liberazione. Marinotti si rifugia in Svizzera, entra in rapporti con il gen. Wolfe, che sta trattandola resa dei tedeschi in Italia, e con i servizi segreti inglesi e americani per cercare la garanzia da ambo le parti che gli stabilimenti non saranno distrutti o danneggiati dagli eventi bellici, cosa che riesce ad ottenere (v. Castronovo, L’avventura di Franco Marinotti, Milano, 2008).

Il rapporto Marinotti-McConnolly è di fondamentale importanza per comprendere la rapida ascesa negli anni successivi di Sindona nel mondo finanziario.

Conseguita nel 1942 la laurea in giurisprudenza presso l’Università di Messina mentre lavora presso l’Ufficio delle Imposte della stessa città, Sindona nel 1944 supera gli esami per procuratore legale e sposa Caterina Cilio, una ragazza del suo paese che conosceva da bambina. Nel 1946, dopo la nascita di una bambina, si trasferisce a Milano ed inizia a lavorare presso lo studio di un commercialista (Raul Baisi).

A Milano conosce Franco Marinotti che gli presenta a sua volta Ernesto Moizzi, proprietario di una piccola banca con un solo sportello; è la Banca Privata Finanziaria, che è il braccio finanziario di Marinotti e delle sue speculazioni in Borsa.

L’ascesa nel mondo della finanza

Quella di Moizzi, un anziano aristocratico che ha intenzione di abbandonare presto il mondo degli affari, è solo la prima di conoscenze di Sindona nel mondo finanziario: si sparge rapidamente la sua fama di brillante fiscalista, capace di eludere le imposte profittando delle molte lacune esistenti nella legislazione del tempo e la clientela cresce rapidamente.

I suoi legami con Marinotti divengono sempre più stretti, dopo che Sindona riesce a vendere negli Stati Uniti alcuni brevetti della SNIA per la fabbricazione delle fibre artificiali: Marinotti è per Sindona un amico sicuro, tanto che diverrà suo socio per molti affari, tra cui l’acquisto della Banca Privata Finanziaria.

Essere amico di un industriale tra i più importanti d’Italia è molto importante per un trentenne come Sindona che aspira ormai ai vertici della finanza internazionale.

Nel 1950 dà vita ad una sua società finanziaria, la Fasco, domiciliata nel Liechtenstein; Sindona è uno dei primi in Italia a rendersi conto delle possibilità offerte dai “paradisi fiscali” per chi voglia eludere le leggi italiane in materia di capitali e di loro tassazione.

La sua opera veniva utilizzata anche da parte di organizzazioni criminali come la mafia? Esistono a questo proposito molte illazioni, ma solo alcuni riscontri oggettivi. Tra le prime rientra la notizia, pubblicata da Mino Pecorelli su O.P. nel 1975, quando la stella di Sindona stava decisamente calando, secondo la quale Sindona nel 1952 ricevette ben due milioni di dollari da Lucky Luciano, il gangster americano giunto in Sicilia con le truppe americane nel 1943 per facilitare la loro occupazione dell’isola con l’appoggio della mafia.

E’ invece un riscontro oggettivo la sua partecipazione il 12 ottobre 1964 ad un incontro, svoltosi all’Hotel delle Palme di Palermo, a cui partecipano Genco Russo, all’epoca capo di tutte le famiglie mafiose siciliane, ed altri esponenti della mafia siciliana e statunitense.

Altro elemento di cui tener conto è l’informativa, datata 1° novembre 1967, di Fred J. Douglas, capo dell’International Criminal Police Organisation di Washington, alla Criminalpol di Roma in cui si indicavano tra le persone implicate nel traffico di stupefacenti per l’Italia e gli Stati Uniti tra gli altri Michele Sindona e Daniel Anthony Porcu, un italo-americano socio di Sindona in molti affari.

La risposta dopo tre mesi della Questura di Milano fu che né Sindona né Porcu, né le altre persone indicate nell’informativa risultavano implicate in attività illecite.

In effetti l’attività di Sindona per molti anni è quella di un uomo tutto teso al denaro ed al successo più che dedito ad attività illecite. Specula su terreni a Milano e sul litorale adriatico e ne ritrae grandi guadagni, acquista una proprietà in Brianza, va ad abitare con la moglie e i figli, che sono ormai divenuti tre, in un lussuoso appartamento al centro di Milano, compera una società farmaceutica, la Farmaeuropa che rivende nel 1957, e una piccola casa editrice.

E’ nel 1957 che arriva il primo grande affare: acquista da Moizzi, per 200.000 dollari, una società, le Acciaierie Vanzetti, e le rivende due anni dopo con un profitto di due milioni di dollari alla Crucible Steel of America, la maggiore produttrice mondiale di acciai speciali.

Michele Sindona ed i rapporti con lo IOR

Nel 1959, attraverso mons. Amleto Tondini, lontano parente della moglie, Sindona conosce Massimo Spada, a quei tempi capo dell’Istituto per le Opere di Religione (I.O.R.), di fatto la banca ed insieme la società finanziaria vaticana, e l’anno successivo fa acquistare dall’Istituto il 60 per cento della Banca Privata Finanziaria di Moizzi.

Dopo pochi mesi è Sindona ad acquistare il pacchetto di maggioranza della banca, di cui divengono successivamente soci la Hambros Bank di Londra (della famiglia Hambro, l’altro amico del 1943 in Sicilia) e la Continental Illinois National Bank, una banca statunitense di cui è presidente David M. Kennedy, ex Vicesegretario al Tesoro degli Stati Uniti.

Nel 1961 l’impero bancario di Sindona si estende con l’acquisto della Banca di Messina e, insieme con la Banca Hambros, della Continental Illinois National Bank, di cui è divenuto socio e che detiene il 24,5 per cento delle azioni della Banca Privata Finanziaria. Acquista anche la Banque de Financement di Ginevra.

Contemporaneamente aumenta il numero delle società al cui capitale, direttamente o indirettamente, Sindona partecipa (la Tindari, una fabbrica di caramelle, la Patti, che fabbrica di valigie ed altre aziende, complessivamente una trentina).

A tutto questo si aggiunge la quota di controllo della Finabank di Ginevra, acquistata dallo I.O.R. e la gestione a Pittsburgh, in società con Porcu di una agenzia della Pier Bussetti (viaggi).

E’ da sottolineare che Porcu è colui che presenta Sindona a David Kennedy, che sarà il principale sostenitore di mons. Marcinkus quando si tratterà di nominare il nuovo presidente dello I.O.R..

I viaggi di Sindona negli Stati Uniti diventano sempre più frequenti e sempre più qualificate le conoscenze nel mondo politico e finanziario statunitense che lo fanno entrare in contatto con importanti gruppi di pressione del partito repubblicano.

Nel 1963 conosce anche Richard Nixon, che diverrà Presidente degli Stati Uniti. Ha anche rapporti con la CIA? E’ uno dei tanti interrogativi restati senza una risposta definitiva. Uniche certezze sono che del gruppo del partito repubblicano in cui Sindona aveva amici faceva parte anche l’allora capo della CIA John Mc Cone e che il gruppo si proponeva di contrastare una svolta politica di centro-sinistra in Italia.

Altro dato certo è il versamento negli anni ’70 da parte di Sindona di notevoli somme ai partiti politici italiani (la DC, ma secondo O.P. (6 e 28 giugno 1977) anche al PCI), in taluni casi, secondo le resultanze di una Commissione d’inchiesta del Congresso degli Stati Uniti, con versamenti (11 miliardi) a Vito Miceli, allora a capo dei servizi segreti militari).

Affermato senza prove documentate è il sostegno di Sindona, tramite la Finabank, alla Helleniki Tecniki che avrebbe collaborato alla istaurazione in Grecia di un governo di destra (il cosiddetto «regime dei colonnelli» dell’aprile 1967).

Sindona ed i contrasti con Enrico Cuccia

E’ negli anni ’60 che iniziano i contrasti con Enrico Cuccia, amministratore di Mediobanca, una banca d’affari di cui la maggioranza del capitale azionario è detenuto dalle banche dell’I.R.I. e che a quei tempi è il crocevia delle partecipazioni azionarie incrociate che caratterizzavano (e caratterizzano) il sistema industriale e finanziario italiano.

Anche Cuccia era di origine siciliana (la sua famiglia aveva un palazzo proprio di fronte alla casa natale di Sindona) era, come Sindona, massone, entrambi appartenenti ad una loggia coperta (la C.A.M.E.A.) poi confluita nella Serenissima Gran Loggia d’Italia di Piazza del Gesù) di cui prenderà poi il posto nel mondo massonico la P2 di Licio Gelli a cui Sindona risulterà iscritto, un fatto questo da tenere ben presente per seguire il filo degli avvenimenti successivi.

Michele Sindona

Ciò non impedisce a Cuccia di definire (1964) Sindona «un falsificatore di bilancio». Le ragioni del conflitto riguardano questa o quella operazione finanziaria ma il motivo di fatto è che ciascuno dei due contendenti è esponenziale di un mondo diverso, Cuccia di quello laico e riformista, e Sindona di quello cattolico e decisamente anticomunista. Nell’Italia del tempo erano due mondi che si escludevano a vicenda.

Nel 1967 Sindona, alleato con un gruppo di industriali e finanzieri italiani (Orlando, Bonomi, Pirelli, Agnelli) e stranieri (Banca Lombard, Banca d’America e d’Italia) dà la scalata a “La Centrale”, una società finanziaria al centro di molteplici interessi economici per le partecipazioni azionarie detenute in molte industrie e banche italiane.

La scalata riesce: due anni dopo (1971) Sindona lancia un’offerta pubblica di acquisto (O.P.A.) delle azioni della Bastogi, di cui detiene già il 22 per cento, ma l’alleanza tra Cuccia e Cefis, presidente della Montedison, di cui la Bastogi detiene un importante pacchetto azionario, fa fallire l’operazione, anche perché Agnelli si rifiuta di cedere a Sindona le azioni Bastogi che possiede: la conclusione è per Sindona la cessione a Cefis delle azioni Bastogi che detiene ad un prezzo inferiore a quello sostenuto al momento dell’acquisto.

Proseguono intanto gli stretti rapporti d’affari tra Sindona e lo I.O.R. a capo de quale si succedono i cardinali Sergio Guerri e Giuseppe Caprio, due nomi che si ritroveranno in seguito nella storia personale di Sindona.

Sindona rende notevoli lavori allo I.O.R., acquistando insieme con la Banca Hambro tre società che per la finanza vaticana con le loro perdite costituivano un grave problema: la Società Generale Immobiliare, le Ceramiche Pozzi e la società Condotte d’Acqua, quest’ultima presto rivenduta all’I.R.I. con un notevole guadagno.

Nel 1968 gli italiani d’America attribuiscono a Sindona il premio Leonardo da Vinci. Ormai il finanziere italiano ha una notorietà internazionale: Time e Business Week già nel 1964 gli dedicano ampi spazi, così come Fortune che lo definisce «uno dei più geniali uomini d’affari del mondo».

Nel 1969 il consuocero Giuliano Magnoni presenta a Sindona Roberto Calvi, che due anni più tardi diverrà direttore generale del Banco Ambrosiano e nel 1975 presidente. Anche Calvi è in stretti rapporti con lo I.O.R., dove l’anno precedente è arrivato quale presidente dell’ufficio amministrativo l’arcivescovo Paul Marcinkus, ottimo amico di David Kennedy, che era già in rapporto d’affari con Sindona, nominato segretario al Tesoro dal nuovo Presidente degli Stati Uniti Richard Nixon. Nel 1971 Marcinkus, che diverrà vescovo dieci anni più tardi, diviene Presidente dell’Istituto Vaticano.

Tre uomini al comando della finanza internazionale: Sindona, Calvi e Marcinkus

Per una serie di circostanze fortuite più che per un piano prestabilito di cui sarebbe difficile ritrovare l’ideatore, si delinea così un quadro di riferimento potenzialmente esplosivo: tre persone che dispongono di enormi capitali, una indubbia abilità finanziaria ed una grande conoscenza del mercato interno e di quello internazionale dei capitali muovono concordi alla conquista dei primi posti nella finanza mondiale.

Il punto debole, se uno ce n’è, è la provenienza dei capitali di cui dispone Sindona, che non ha alle sue spalle né una banca dalle solide tradizioni come il Banco Ambrosiano, né la finanza Vaticana, che dispone di capitali cospicui in tutto il mondo, direttamente o indirettamente attraverso l’Opus Dei.

In Spagna, negli anni ’60, c’è quasi una sorta di prova generale di collaborazione con la fondazione della Union Industrial bancaria a Barcellona, frutto di un accordo tra Sindona, l’Opus Dei e la banca Privata Finanziaria di Sindona, che convince successivamente la Continental Illinois Bank di Chicago di cui è socio ad acquistare il 25 per cento del Banco Atlantico, banca spagnola controllata da uomini dell’Opus Dei (Pinotti, Poteri forti, pag. 37). Anche John McCaffery, amico di sempre di Sindona, è vicino all’Opus Dei.

L’origine dei soldi di Michele Sindona

Resta il problema dei quattrini necessari: quelli disponibili da parte di Sindona sembra non abbiano limiti! Sono solo castelli di carta o denaro proveniente da organizzazioni mafiose?

E’ un dubbio che rimarrà senza risposta, specie dopo l’intervista concessa da Sindona al giornalista americano Nick Tasches in cui il finanziere traccia una netta distinzione tra denaro nero, posseduto o scambiato in segreto per non pagare tasse, e denaro sporco, accumulato con il crimine.

Afferma che «esistono sistemi pressoché perfetti per nascondere il denaro sporco», fornisce ampie indicazioni su quei sistemi — quasi un “normale riciclaggio” — ma non afferma né nega di averli usati, lasciando aperta la questione.

Le accuse di riciclaggio mosse nei suoi confronti dalla magistratura (senza giungere però a sentenze di condanna per questo specifico reato) e dalla Commissione parlamentare di Inchiesta sul suo operato, istituita nel 1980 e che concluse i suoi lavori due anni dopo, non sono andate oltre la accertata contiguità di Sindona a personaggi di primo piano nella mafia italo-americana, da John Gambino e Rosario Spatola e Joseph Macaluso.

D’altra parte le tecniche di riciclaggio indicate da Sindona nella ricordata intervista sono tali e tante — in alcuni casi giudicate da esperti veri capolavori di ingegneria finanziaria — che se riciclaggio ci fu, esso fu condotto in modo tanto sofisticato da non lasciare tracce di quanto avvenuto, sotto la copertura di operazioni finanziarie formalmente ineccepibili.

Sindona dimostrò di essere maestro in questo tipo di operazioni con il sistema dei depositi fiduciari, da lui largamente usato, consistente nella effettuazione di un deposito su una banca estera, con l’intesa segreta che il denaro sarebbe stato successivamente versato ad altra banca o società, che a sua volta avrebbe proceduto con quel denaro ad effettuare un altro deposito fiduciario presso un’altra banca della catena.

Calvi, l’altro vertice del triangolo, chiuderà il cerchio inventando un meccanismo di compensazione dei conti tra banche così da rendere applicabili solo al saldo positivo (creditore) le regole internazionali sulle riserve bancarie frazionarie (cioè per singole partite).

La collaborazione fra Sindona, Calvi e Marcinkus diede presto i suoi frutti con la fondazione a Nassau nelle Isole Bahamas della Cisalpine Overseas Bank (1971), usata largamente per le operazioni finanziarie più spericolate, eludendo le leggi in materia sia europee che statunitensi.

Nello stesso anno in società con un italo-americano Mark Antonucci, amico di David Kennedy, Sindona acquista il Rome Daily American, che si dice legato alla CIA: sembra che ormai nulla possa arrestare l’ascesa del finanziere siciliano ma la realtà è diversa.

L’inizio della fine

Nel 1972 viene effettuata una ispezione della banca d’Italia alle due banche di proprietà di Sindona, la Banca Privata Finanziaria e la Banca Unione, originariamente di proprietà della famiglia Feltrinelli ed acquistata dallo I.O.R. per una quota (il 30 per cento) che è poi divenuta di maggioranza.

Sindona ha avuto l’imprudenza di chiedere la fusione delle due banche provocando l’ispezione che dà risultati assolutamente negativi: la soluzione indicata dagli ispettori è la liquidazione coatta amministrativa per la banca Privata Finanziaria e la nomina di una commissione per la gestione della Banca Unione.

La relazione degli ispettori della Banca d’Italia non produce alcun effetto: la fusione viene effettuata e Sindona reagisce acquisendo la Finambro, una scatola vuota con un capitale sociale di un milione di lire, di proprietà di una piccola banca (la Banca Centrale di Credito).

La Banca Privata Italiana il 28 settembre 1974 chiude gli sportelli non essendo più in grado di fronteggiare il ritiro dei depositi da parte della clientela.

Sindona non si dà per vinto: la sua risposta è l’aumento del capitale della sua Finambro prima a 500 milioni, poi a 20 miliardi ed infine a 160 miliardi: l’ultimo aumento di capitale viene però bloccato dal Ministro del Tesoro Ugo La Malfa, in stretti rapporti con Cuccia.

Sembra che il destino di Sindona sia segnato ma egli ritiene di avere ancora ampi spazi di manovra: acquista la Securmark, un istituto di vigilanza di Roma che si dice implicato in attività non lecite, e tramite Vito Miceli, capo dei servizi segreti militari, entra in contatto con Licio Gelli, che gli assicura il suo appoggio.

Si iscrive alla P2, riesce ad ottenere da Fanfani la nomina di Mario Barone ad amministratore delegato del Banco di Roma, che da quel momento diviene un altro suo punto di riferimento, spera nel miracolo.

A sorreggerlo sono ancora le sue vastissime conoscenze nel mondo politico: ancora nel dicembre del 1973, quando già l’impero sindoniano ha iniziato a mostrare crepe, Giulio Andreotti lo definisce durante un banchetto all’Hotel St, Regis di New York «benefattore della lira» ed il mese successivo a Roma l’ambasciatore USA in Italia John Volpe gli assegna il premio «Uomo dell’anno» per il 1973.

Altro sostegno gli viene dal denaro depositato da parte di enti pubblici come la Gescal (Gestione Case Lavoratori) nelle sue banche, ciò che gli assicura la liquidità necessaria per le sue operazioni finanziarie.

Una soluzione per lui sarebbe entrare direttamente nella vita politica ed assicurarsi l’immunità con l’elezione al Parlamento: nella citata intervista a Tasches afferma però di aver rifiutato alla metà degli anni ’60 offerte della D.C. in tal senso.

E’ da notare che un suo libro di memorie (60 anni in fiamma, Rubbettino, 2006) Francesco Servello, già vicesegretario del M.S.I., afferma che Sindona fece alcuni tentativi per entrare in politica nel suo partito ricevendo un rifiuto.

Nella seconda metà del 1974 le crepe della costruzione sindoniana si fanno più profonde: alla fine di agosto chiude i battenti in Germania la Banca Wolf, tra le prime banche ad essere acquistate da Sindona.

Il 27 settembre il tribunale di Milano dispone la messa in liquidazione della Banca Privata Italiana e nomina suo liquidatore l’avvocato Giorgio Ambrosoli. Seguono il 4 ottobre due mandati di cattura di Sindona per «falsità in scritture contabili, false comunicazioni ed illegale ripartizione di utili».

Sindona riesce a sottrarsi all’arresto e si rifugia negli Stati Uniti dove però la situazione per lui non è migliore: il 3 ottobre 1974 le Federal Reserve boccia il progetto di salvataggio della Franklin National Bank, acquistata da Sindona nel 1972 versando 40 milioni di dollari in contanti.

La banca viene dichiarata insolubile: è il più grave crac bancario della storia degli Stati Uniti fino a quel momento. Non era bastato per salvarla il prestito di 110 milioni di dollari ottenuto nel mese di giugno dalla Federal Reserve e quello di altri 100 milioni di dollari ottenuto dal banco di Roma — Nassau.

Per Sindona è l’inizio della fine: il 7 gennaio 1975 anche la Finabank di Ginevra è costretta a chiudere con un passivo di alcune centinaia di miliardi di lire.

Nel mese di ottobre Ambrosoli scova finalmente in Svizzera, depositate in una piccola banca, la Amincor, sospettata di finanziare criminalità e traffico d’armi, le 4.000 azioni del capitale della Fasco, la holding costituita nel 1950 da Sindona nel Liechtenstein: le sequestra, nomina un nuovo consiglio di amministrazione e riesce in tal modo a penetrare in molte delle banche e società in cui la Fasco ha partecipazioni azionarie.

Sindona a New York comprende subito l’importanza di quel sequestro, rilascia un’intervista al New York Times in cui afferma di essere vittima di una persecuzione politica del Partito Comunista e contemporaneamente denuncia Ambrosoli, che da quel momento diventa il suo principale nemico, per appropriazione indebita.

Inizia a questo punto una nuova fase della vicenda: Sindona tenta in tutti i modi di uscire dal baratro in cui è caduto. Philipp Guarino, presidente del Repubblican West Committee e Paul Rao, presidente della American Association for Democracy in Italy, due italo-americani suoi amici da lunga data, si recano in Italia per sollecitare in un incontro con Andreotti prima e con Gelli poi l’adozione di un piano di salvataggio della Società Generale Immobiliare e della Banca Privata Italiana, ma senza ottenere risultati concreti.

Procede intanto l’istanza di estradizione dagli Stati Uniti di Sindona inoltrata dal Ministro degli Esteri italiano nel marzo del 1975: il 12 dicembre successivo i legali di Sindona presentano alla Corte distrettuale di New York una memoria per contrastare la richiesta con allegati nove affidavit, a firma di Licio Gelli, Carmelo Spagnuolo (un alto magistrato italiano), Edgardo Sogno, Flavio Orlandi, Francesco Bellantonio, John McCaffery, Philipp Guarino, Stefano Gullo e Anna Bonomi, in cui si afferma che Sindona in Italia è vittima di un complotto organizzato e guidato dai comunisti.

Anche i cardinali Caprio e Guerri, con i quali Sindona ha avuto rapporti quando erano presidenti dello I.O.R. vengono invitati a firmare l’affidavit ma il Card. Casaroli, Segretario di Stato vaticano, lo impedisce. Il 18 marzo 1978 la richiesta di estradizione è accolta, ma non è accompagnata da un mandato di cattura.

Hanno inizio le pressioni su Enrico Cuccia, ritenuto da Sindona responsabile dell’atteggiamento negativo nei suoi confronti della Banca d’Italia e del sistema finanziario italiano: l’incendio della porta dell’ufficio del Presidente di Mediobanca e la minaccia telefonica del rapimento di un figlio seguita da minacce alla sua stessa incolumità, inducono Cuccia a recarsi a Londra ad un incontro con Piersandro Magnoni, genero di Sindona: il piano di salvataggio predisposto da Sindona non ha però successo, né lo ha il successivo incontro dello stesso Cuccia con Fortunato Federici, consigliere del Banco di Roma.

Presto anche Calvi, l’ex alleato, entra nel mirino di Sindona, che gli chiede denaro per salvare la sua banca. Nel febbraio 1976 iniziano gli attacchi a Calvi su Agenzia “A”, una agenzia di proprietà di Luigi Cavallo, che Sindona, nell’intervista più volte citata definisce «non estraneo ai servizi segreti».

A novembre sui muri di Milano compaiono manifesti contro Calvi, che Cavallo sosterrà fare parte di una campagna diffamatoria organizzata da Sindona, accuse poi ritrattate durante il processo presso la Corte d’Assise di Milano.

Nel gennaio 1978 viene presentato a Cuccia un nuovo progetto di salvataggio dell’impero sindoniano: definito da Cuccia «un papocchietto», è di nuovo modificato, ma senza successo.

L’avvvocato Ambrosoli e la bancarotta

L’avv. Ambrosoli, il liquidatore della Banca Privata Italiana, proseguendo nell’analisi dei documenti di cui è entrato in possesso, fornisce ai giudici statunitensi la prova degli illeciti che Sindona ha compiuto quando ha acquistato la Franklin Bank ed in altre occasioni e il 20 marzo 1979 Sindona viene incriminato per la bancarotta della banca.

Sindona è ormai alle strette, senza vie d’uscita: nell’aprile 1979 incontra Cuccia a New York per un ennesimo tentativo di ottenere il suo consenso al piano di salvataggio emendato e gli dice che farà «scomparire» Ambrosoli, colpevole di aver trasmesso i documenti che lo incriminano alla magistratura statunitense.

La sera del 12 luglio 1979 Ambrosoli viene ucciso a Milano con tre colpi di una pistola 357 magnum. Le indagini successive faranno individuare il colpevole: è William J. Aricò, un pregiudicato statunitense presentato a Sindona da un suo collaboratore, Robert Venetucci, un altro italo-americano: il compenso convenuto è di 25.000 dollari oltre a 90.000 dollari che saranno accreditati presso una banca svizzera. Arricò, arrestato per altri reati negli Stati Uniti, morirà il 19 febbraio 1984 in un misterioso tentativo di evasione dalla prigione in cui era rinchiuso.

Il finto rapimento

Il 3 aprile 1979 avviene un ennesimo colpo di scena: una telefonata all’ufficio di New York di Sindona avverte la segretaria che il banchiere è stato catturato da un «Gruppo proletario di eversione per una giustizia migliore».

E’ una montatura: in realtà Sindona, sotto il falso nome di Joseph Bonamico, è in Sicilia, dove è arrivato passando per Atene per essere più sicuro di sfuggire ad eventuali controlli.

A Palermo viene ospitato da una maestra elementare, Francesca Paola Longo, massone, amica di un medico, Joseph Miceli Crimi, anche lui massone, divenuto medico della polizia di Stato dopo un lungo soggiorno negli Stati Uniti, presentato a Sindona da Gelli già nel 1976.

Dalla Sicilia, ma fingendo di scrivere da New York, il banchiere invia al suo avvocato Rodolfo Guzzi una richiesta dei documenti che contengono le informazioni richieste dai suoi (pretesi) rapitori: si tratta dell’elenco delle circa 500 personalità che suo tramite hanno trasferito ingenti somme all’estero, l’elenco delle somme pagate a partiti e uomini politici e quello delle operazioni irregolari compiute per conto di società, di clienti privati e dei grandi gruppi industriali italiani.

Il senso ricattatorio del messaggio è chiaro: o coloro che sono stati chiamati in causa lo tireranno fuori dai guai oppure tutte le operazioni illegali compiute per loro conto saranno rese pubbliche.

Non avviene nulla: il 25 settembre Sindona si fa sparare un colpo di pistola ad una gamba da Miceli Crimi, presente John Gambino, il boss mafioso arrivato pochi giorni prima dagli Stati Uniti, e il 16 ottobre ricompare a New York, degente al Doctors’ Hospital, dove gli è stata riscontrata una ferita d’arma da fuoco alla gamba sinistra.

Il 6 febbraio 1980 inizia a New York il processo per la bancarotta della Franklin Bank. La libertà provvisoria viene revocata e Sindona arrestato e rinchiuso in carcere, dove tenta il suicidio: il neurologo che lo visita parla nella sua perizia di disturbi emotivi, gravi forme di depressione, paranoia, tendenza alla psicosi, idee suicide (Gatti, Rimanga tra noi, pag 119): è un documento che avrà il suo peso quando si tratterà per la magistratura italiana di accertare le cause della morte di Sindona.

II 13 giugno 1980 il giudice Thomas Griesa condanna a New York Sindona a tre pene detentive di 25 anni ciascuna, oltre ad una ammenda di 207.000 dollari. La condanna sarà confermata in appello: nell’aprile 1981 la Corte Suprema degli Stati Uniti respingerà il ricorso contro la sentenza.

Gelli e la loggia massonica P2

A questo punto interviene un ulteriore colpo di scena: il 12 marzo 1981 i giudici istruttori del Tribunale di Milano Giuliano Turone e Gherardo Colombo ordinano una perquisizione nell’ufficio di Licio Gelli a Castiglion Fibocchi, in provincia di Arezzo: durante la perquisizione avvenuta cinque giorni dopo, viene rinvenuto l’elenco degli iscritti alla loggia massonica P.2.

I due magistrati l’8 gennaio successivo trasmettono copia del materiale sequestrato alla Commissione Parlamentare d’Inchiesta sulla loggia massonica P.2 sottolineando nella lettera di accompagnamento che l’oggetto originario dell’indagine era stato proprio la scomparsa di Sindona da New York dal 2 agosto al 9 ottobre 1979.

Le indagini successive avevano infatti portato più volte (interrogatorio a Mario Barone per la bancarotta della B.P.I., interrogatorio a Luigi Cavallo in merito alle minacce subite da Giorgio Ambrosoli, documenti sequestrati all’avv. Guzzi, interrogatorio di Miceli Crimi) alla ribalta il nome di Licio Gelli, che era anche tra i firmatari dell’affidavit presentato ai giudici americani per bloccare l’estradizione di Sindona dagli Stati Uniti.

Erano tutte circostanze che avevano indotto i due magistrati a veder chiaro sulle attività di una persona chiamata più volte in causa a proposito di Sindona. E’ da aggiungere per completezza che i due magistrati scrissero la lettera per confutare le voci ricorrenti che la perquisizione a Villa Wanda fosse stata originata da una segnalazione anonima.

Il 16 giugno 1984 il P.M. Guido Viola del trbunale di Milano incrimina formalmente Sindona per l’omicidio di Giorgio Ambrosoli. Il 25 settembre successivo Sindona viene estradato in Italia. Interrogato a proposito del finto rapimento e della sua permanenza in Sicilia, afferma che ha fatto tutto su sollecitazione dei suoi amici separatisti, tra cui Miceli Crimi, che ritenevano di utilizzare il suo credito presso il Pentagono e la C.I.A. per sostenere la loro causa (v. interrogatorio di Sindona in “Sindona, gli atti del giudizio di accusa”, pag 257 seg).

Il 15 marzo 1985 il Tribunale di Milano condanna Sindona a 15 anni di carcere per la bancarotta della Banca Unione e della banca Privata Finanziaria. Poco più di un anno dopo, il 18 marzo 1986, segue la condanna di Sindona e Venetucci all’ergastolo per l’omicidio di Giorgio Ambrosoli e a pochi giorni di distanza la morte di Sindona nel carcere di Voghera di cui si è detto all’inizio.

La relazione della commissione parlamentare d’inchiesta fu esaminata dal Parlamento nell’ottobre 1984: la richiesta di incriminazione di Giulio Andreotti fu respinta.

Le dichiarazioni di Sindona a proposito del separatismo siciliano e la presenza nel movimento di persone notoriamente legate alla mafia portò la Procura della Repubblica di Palermo, dopo gli attentati mafiosi del 1992-93, ad intensificare le indagini che si conclusero nel marzo 2000 con l’archiviazione delle accuse nei confronti di tutti i 14 imputati tra cui Licio Gelli e Totò Riina, per insussistenza di reato.

Robert Venetucci ancora in un’intervista del 1996 (Visto, 1996, n.4) dal carcere di Pesaro continuava a professarsi innocente, così come Sindona, dell’omicidio Ambrosoli, alludendo a «poteri» occulti, ma senza fornire alcun riscontro oggettivo alle sue affermazioni.

Il passivo delle banche di Sindona si aggirava alla metà degli anni ’80 sui 200-­300 miliardi. Sono restate senza risposta molte domande sulla sorte del denaro nella disponibilità di Sindona: ancora nel 1993 è stato scoperto un deposito protetto da una triplice catena di prestanome: dal deposito, custodito nel conto della società Dogali, domiciliata nel Liechtenstein, gestito da una società svizzera, la Neofidaria ed esistente presso l’UBS di Lugano, risultano entrati ed usciti milioni di dollari e Sindona risulta aver operato sul conto anche durante il suo finto rapimento e la permanenza in Sicilia.


BIBLIOGRAFIA

  • Carlo Bellavita Pellegrini, Storia del Banco Ambrosiano, Bari, 2002
  • Maurizio De Luca, Sindona, Roma, 1986
  • Dossier Sindona, Milano, 2005
  • Ferdinando Imposimato, Un juge en Italie, Paris, 2000
  • Lombard, Soldi truccati, Milano, 1980
  • Ferruccio Pinotti, Poteri forti, Milano, 2005
  • Ferruccio Pinotti, Fratelli d’Italia, Milano, 2007
  • Nick Tasches, Il mistero Sindona, Milano, 1986
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Mario Pacelli

Mario Pacelli è stato docente di Diritto pubblico nell'Università di Roma La Sapienza, per lunghi anni funzionario della Camera dei deputati. Ha scritto numerosi studi di storia parlamentare, tra cui Le radici di Montecitorio (1984), Bella gente (1992), Interno Montecitorio (2000), Il colle più alto (2017). Ha collaborato con il «Corriere della Sera» e «Il Messaggero».

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