Classici contemporanei

Moby Dick e l’eterna sfida della vita

La storia di Moby Dick, raccontata da Melville in quella che è la sua opera più famosa, non ha mai smesso di affascinarmi per la densità dei suoi simbolismi e per la forza del suo messaggio sempre attuale, spesso inafferrabile, facilmente equivocabile. È il racconto di una caccia alla balena condotta dal vecchio e misterioso capitano Achab che nell’impresa morirà con tutto il suo equipaggio come un grande eroe tragico. La sua appare  una lotta contro il Male che Moby Dick ingannevolmente può rappresentare. Achab attrae e affascina per la  sua caparbia ostinazione nei confronti di una sfida impossibile, di fronte alla quale qualunque  altra realtà è pura e semplice banalità. Il fuoco bruciante della sua passione di rivolta contro un nemico irraggiungibile ma continuamente inseguito e braccato consuma l’intera sua vita che solo da questa caccia furibonda e violenta trova senso.

Ma la sua sfrenata corsa per raggiungere ed uccidere Moby Dick è odio puro, ossessione maniacale autodistruttrice, una sorta  di condanna esistenziale da cui non riesce ad affrancarsi, mosso come è da una sete di vendetta impossibile. In Moby Dick, difatti, proietta tutte le sue ossessioni istintuali e irrazionali che annientato la mente fino al naufragio finale di cui solo e solo lui è l’unico responsabile. L’eroe diventa così la vittima delle sue manie, del suo odio inestinguibile che si trasforma in cieco e insensato furore. Dalla “sua nave” non scende mai “a terra” per razionalizzare i suoi bellici impulsi emotivi.

Moby Dick è invece, secondo la mia interpretazione, fascino puro, incantevole mistero, con cui è possibile solcare le infinite distese azzurre marine sfidando impavidi i rischi dei silenziosi abissi salini.

È capace di “TROVARSI NELLO STESSO ISTANTE A LATITUDINI OPPOSTE, SCAMPATA VIVA DOPO RIPETUTI E INTREPIDI ATTACCHI, SEMPRE VINCITRICE E TRIONFANTE”.

È  irraggiungibile e immortale “PERCHÈ SE DAVVERO FOSSE MAI STATA RIDOTTA A SFIATARE SANGUE DENSO, UN TALE SPETTACOLO SAREBBE STATO SOLTANTO UNA SPETTRALE ILLUSIONE  POICHÈ DI NUOVO IN FLUTTI INCRUENTI MIGLIAIA DI LEGHE LONTANE SI SAREBBE PUR SEMPRE INTRAVISTO IL SUO SPRUZZO IMMACOLATO”

Essa inconfondibilmente ricompariva con la sua fronte rugosa, bianca come la neve, e con un’alta e piramidale   gobba   bianca “LASCIANDOSI DIETRO UNA SCIA GALATTICA DI SCHIUMA LATTIGINOSA TUTTA COSPARSA DI PAGLIUZZE D’ORO”.

Ciò che lasciava interdetti e intimoriva non era il suo insolito colore e le sue dimensioni e nemmeno la sua mandibola ma la sua intelligenza che “SGOMENTAVA “Nell’atto di “SCAPPARE CON OGNI VISIBILE SINTOMO DI PAURA DAVANTI AI SUOI INSEGUITORI ESULTANTI… SI VOLTAVA ALL’IMPROVVISO E, PIOMBANDO  ADDOSSO AI SUOI CACCIATORI ,MANDAVA  LE LANCE IN FRANTUMI O RICACCIAVA VERSO LA NAVE GLI EQUIPAGGI COSTERNATI”.

Moby Dick, quindi, non il male ma piuttosto è la rappresentazione della forza “intelligente” che resiste  e sopravvive ad ogni  minaccia irrazionale e furiosa.

Nella caccia di Achab e nella corsa di Moby Dick si ritrova la rappresentazione delle dinamiche di molte esistenze: da un lato  prevalgono spinte ciecamente aggressive e distruttive, dall’altro la forza morale  di chi sfugge alle logiche dell’odio e si perde nella salvezza degli spazi infiniti tra cielo e mare. 

Achab rappresenta la smania  di una insensata morbosità volta  ad annientare chi si identifica come la causa di tutti i propri mali fisici, intellettuali e spirituali che rodono nell’intimo e da cui non si riesce  a liberarsi, di chi diviene vittima  di mostri costruiti solo dalle proprie malvagie e incurabili ossessioni.

“TUTTO CIÒ CHE PIÙ SCONVOLGE E TORMENTA LA RAGIONE, TUTTO CIÒ CHE RIMESCOLA LA FECCIA DELLE COSE, OGNI VERITÀ CHE CONTIENE MALIZIA, OGNI COSA CHE SCHIANTA I TENDINI E RAPPRENDE IL CERVELLO, TUTTO IL SOTTILE DEMONISMO DELLA VITA E DEL PENSIERO, OGNI MALE, PER L’INSENSATO ACHAB, ERA VISIBILMENTE PERSONIFICATO E FATTO RAGGIUNGIBILE IN MOBY DICK… ED EGLI GLI SPARAVA ADDOSSO LA BOMBA DEL SUO CUORE BRUCIANTE.”

Moby Dick è invece il navigante incontrastato di mari aperti, e il suo indomabile amore per la vita la spingono a superare tutti gli attacchi e a resistere ad ogni minaccia di annientamento. La tensione verso l’Infinito la portano ad allenare la mente, consapevole  che la caccia non finirà  mai. Segue le sue stelle e con un colpo di coda si allontana incolume, dominatrice della sua essenza.

Gli Achab dei nostri tempi non mancano ma non hanno nulla della tragica eroicità del personaggio di Melville, uomini meschini consumano la loro vita in  rappresaglie  insulse, scandalose e indecenti, i Moby Dick, invece, scarseggiano, scarseggiano la sua grandezza e la sua forza di resistenza, scadono e cadono  nella trappola dei loro cacciatori, incapaci di una “navigazione aperta e coraggiosa ma soprattutto libera da passioni e da insane emozioni”.

“GRANDE MOBY DICK DOVE SARANNO TUTTI GLI AMANTI CHE HAI, DOLCE MOBY DICK NESSUNO TI HA BACIATA MAI… LA CACCIA NON FINISCE MAI… E DANZERAI SOPRA UNA STELLA MARINA, VOLA VIA COLPENDO A CUORE LA LUNA… CHI IMPAZZÌ DIETRO TE NON TORNÒ MAI PIÙ… I CAVALIERI  DEL SANTO GRAAL NON TI RAGGIUNGERANNO MAI… VOLA VIA SU UN VASCELLO FANTASMA, VOLA VIA VERSO UNA TERRA  PROMESSA….” (“Miby Dick”, Banco del mutuo soccorso).

Affascinante, grande, dolce Moby Dick, regina dei mari, resterai per me sempre un miraggio di salvezza, un termine a cui tendere negli attentati umani della vita.

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Il viaggio finisce qui (da “Casa sul mare” di E. Montale)

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Antonella Botti

Sono nata a Salerno il 3 Marzo del 1959 ma vivo da sempre a Sessa Cilento, un piccolo paese di circa 1300 anime del Parco Nazionale del Cilento. Ho studiato al Liceo classico “Parmenide” di Vallo della Lucania ed ho conseguito la laurea in Lettere moderne. Sono entrata nella scuola come vincitrice di concorso nel 1987, attualmente insegno Letteratura Italiana e Latino al Liceo Scientifico di Vallo della Lucania. Ho pubblicato due testi di storia locale: "La lapidazione di Santi Stefano" e "Viaggio del tempo nel sogno della memoria". Da qualche mese gestisco un blog, una sorta di necessità interiore che mi porta a reagire al pessimismo della ragione con l’ottimismo della volontà. I tempi sono difficili: non sono possibili "fughe immobili".

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