di Ugo Leone
Due strade fra le più note del Centro storico di Napoli, anzi della sua parte più antica che si identifica appunto come “centro antico”, sono Via San Biagio dei librai e via San Gregorio Armeno. Dedicate a due santi che nella loro vita non sembra abbiano avuto a che fare con Napoli, ma che devono molto (e Napoli con loro) alle «monache armene sfuggite alla persecuzione degli Iconoclasti», a metà dell’VIII secolo, quando «molti monaci e monache dell’ordine basiliano si salvarono con la fuga, riparando in Italia, specialmente a Roma e a Napoli”. In particolare, alcune suore “detentrici delle reliquie di san Gregorio, detto l’Illuminatore, primo patriarca di Armenia (257-331) scamparono a Napoli” portando con sé anche “il cranio di S. Biagio con altre reliquie». Tutto il virgolettato lo devo a Gino Doria, Le strade di Napoli – Saggio di toponomastica storica (Riccardo Ricciardi Editore, Napoli 1971). E mi aiuta a spiegare perché queste due importanti strade sono dedicate a quei due santi. Perché importanti? San Biagio («divenuto assai popolare fra i Napoletani, che lo considerarono protettore dai mali della gola») è il decumano inferiore noto anche come “Spaccanapoli” ed è la strada, tra il molto altro, nella quale ha a lungo vissuto Benedetto Croce al quale ne è stato dedicato un tratto. San Gregorio Armeno che, partendo da San Biagio sale fin su al decumano superiore, è la strada dei pastorai: delle botteghe e dei negozi di vendita delle figurine da presepe, rigorosamente in terracotta o in altri materiali che non siano la plastica. È una strada per questo assai famosa e generalmente affollatissima di curiosi, acquirenti, turisti e non solo nel periodo natalizio.
Affollatissima e non solo, ma sino a poco più di un anno fa. Quando il ripetuto confinamento in casa con il rigido divieto di assembramenti ha fatto il vuoto anche qui, come nella contigua via San Biagio. Ma soprattutto qui. Perché è soprattutto qui che le botteghe hanno dovuto chiudere i battenti. Ed è qui che i loro protagonisti sono “scesi in piazza” a protestare dietro un cartello dolorosamente programmatico: «CEDESI San Gregorio Armeno».
È la crisi. Un altro prodotto di questa maledetta pandemia. Ma la crisi delle botteghe di San Gregorio Armeno può portare a conclusioni che vanno assolutamente evitate, E il movimento di fiancheggiamento deve essere il più ampio possibile perché San Gregorio Armeno è un patrimonio dell’Umanità.
E non c’è bisogno di scomodare l’Unesco per saperlo. Lo sappiamo bene tutti quanti abbiamo di anno in anno percorso quella strada prima, dopo e durante le feste natalizie.
Perché è qui che veri e propri maestri d’arte hanno dato il meglio di sé per abbellire, infoltire, arricchire i presepi di molte delle nostre case.
Certo c’è stata qualche contaminazione della Storia quando ai soggetti del Presepe si sono aggiunte le “figurelle” di calciatori, artisti, uomini politici. Ma anche questo fa parte della storia.
Molti, di recente, hanno mostrato delusione per il mancato riconoscimento del caffè come patrimonio dell’Umanità.
A me questa “mancanza” non ha fatto grande effetto perché il caffè me lo gusto comunque e segna momenti precisi della mia giornata.
Ma se dovesse venir meno quel patrimonio di San Gregorio Armeno quella scomparsa segnerebbe un vuoto assolutamente incolmabile.
L’ultima volta vi sono stato il 3 febbraio scorso. La strada era vuota. Ma c’era qualche negozio-bottega aperto e come ogni anno ne ho approfittato per aggiungere un pezzo alla mia raccolta. Sono stato da Fulvio Forte (non lo conoscevo) e ho preso questo:
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