Ogni anno negli Stati Uniti circa 1000 persone vengono uccise dalle forze dell’ordine. Non esiste inoltre un database federale che registra gli omicidi causati dalla polizia. Per fare chiarezza, progetti privati come Mapping Police Violence hanno cercato di fare il punto della situazione sui numeri delle vittime.
Quest’ultimo ci parla nel suo sito ufficiale di come dal 2013 al 2022 la polizia americana abbia ucciso 11.195 persone, ovvero in media 1120 l’anno.
I numeri mostrano che le uccisioni di civili da parte della polizia americana avvengono con maggior frequenza nelle comunità di colore. Specialmente nelle comunità urbane più segregate, episodi di ricorso indiscriminato alla violenza da parte degli agenti non sono percepiti come casi isolati o eccezionali di abuso di potere, bensì come la manifestazione più eclatante di un sistema fallimentare di governo del territorio.
Negli Stati Uniti ancora oggi persistono profonde disuguaglianze tra neri e bianchi. Quest’ultimi, attraverso anche i corpi di polizia, sono stati fautori di marginalizzazione e criminalizzazione delle comunità di colore generando odio. Tutto questo accanimento ha come conseguenza una repressione violenta di queste comunità che molto spesso si ritrovano a contare i propri morti. Delle cifre citate precedentemente, dal 2013 al 2022 il 25% delle vittime sono persone di colore, che ammontano a 2813.
Per comprendere il perché le forze dell’ordine americane fanno frequentemente uso della violenza contro minoranze dobbiamo tornare indietro nel tempo. Durante il periodo della schiavitù, infatti, la polizia molto spesso veniva utilizzata come strumento di repressione per tutti gli afroamericani in cerca di emancipazione. La cultura razzista e altamente discriminatoria che, per secoli accompagna la società americana, viene infine veicolata attraverso le forze dell’ordine che ne diventano gli esecutori materiali.
Il 25 maggio del 2020 a Minneapolis, negli Stati Uniti un uomo afroamericano di 46 anni venne ucciso da un poliziotto. La vittima, George Floyd era stata immobilizzata con il ginocchio del proprio aguzzino che premeva sulla sua gola portandolo più volte a pronunciare la frase poi diventata emblematica: “I can’t breathe”, che tradotta significa “non riesco a respirare”. George Floyd è stato ucciso dai poliziotti mentre li pregava di liberarlo.
A seguito della sua morte, il caso di George Floyd ha infiammato gli Stati Uniti con accese proteste, sintomo di esasperazione da parte delle comunità afroamericane da anni vittime di sopruso. Le prime manifestazioni si sono svolte a Minneapolis in maniera pacifica con cortei e commemorazioni funebri. A seguito della condivisione del video dell’arresto, nei giorni successsivi le proteste degenerarono in rivolte violente. Le manifestazioni di Black Lives Matter, un’associazione di attivisti per la vita degli afroamericani, si tramutarono in episodi di vera e propria guerriglia in grandi città come New York e Los Angeles. A causa della crescente violenza delle proteste venne richiesto addirittura l’intervento della Guardia Nazionale a Minneapolis. Le proteste continuarono per settimane mettendo a ferro e fuoco gli States.
A seguito dell’autopsia sul corpo dell’afroamericano, venne determinata l’asfissia come causa del decesso dando inizio così al processo contro gli aguzzini di Floyd. Processo che si concluse con la condanna a 25 anni di reclusione per Derek Chauvin, il poliziotto che soffocò George Floyd con il proprio ginocchio.
Gli Stati Uniti hanno un evidente problema riguardo alla violenza esercitata dalle forze dell’ordine che spesso si ritrovano a utilizzare la forza contro cittadini disarmati. Una possibile soluzione possono essere riforme che hanno come compito modificare la formazione dei corpi di polizia in modo tale da scoraggiare futuri utilizzi della violenza come strumento di repressione.
Articolo a cura di: Flavia Pieri e Giacomo Di Mario – liceo Classico Colasanti – Civita Castellana
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