È nato a Roma e festeggia oggi i suoi 89 anni e Moondo vuole rendere omaggio a Paolo Portoghesi. L’ho incontrato nella sua residenza a Calcata, un piccolo meraviglioso borgo nella Tuscia viterbese, dove vive, studia e lavora insieme alla moglie, Giovanna Massobrio.
Si è laureato alla Sapienza di Roma dove ha iniziato la sua carriera universitaria. Nel 1967 è stato chiamato alla facoltà di Architettura del Politecnico di Milano dove è stato preside negli anni difficili della contestazione giovanile. Dopo dieci anni torna a Roma ad insegnare progettazione alla facoltà di Valle Giulia ed oggi è docente di alta qualifica di Geoarchitettura sulla quale concentra la sua attenzione per ritrovare una architettura umanistica, vicina alla natura, che possa spingere le nuove generazioni a superare i decenni del primato dell’economia volgendo invece lo sguardo sul mondo da salvare.
Appassionato di Borromini ne scrive fin da giovanissimo diventando uno dei maggiori conoscitori del grande architetto che lo ha formato come “maestro di pensiero” diventando un riferimento costante in tutta la sua opera con le sue architetture dello spazio e della luce.
“Il metodo storico di Portoghesi”, ha scritto Argan, “non consiste nella operazione relativamente facile di trovare Palladio in Aalto o Borromini in Wright, ma nella operazione inversa e più difficile di trovare Aalto in Palladio e Wright in Borromini; ergo nel dimostrare che, dati Palladio e Borromini, non possono non esserci Aalto e Wright e quello che viene dopo fino all’impegno morale, personale dello storico. Si entra così in un ordine di necessità, lo stesso per cui lo storico non può non essere un politico: la poetica non è la premessa, ma la necessità etica dell’impegno sul piano operativo dell’arte.”
Nel 1979 è direttore del settore Architettura della Biennale di Venezia e dal 1983 è presidente della Biennale di Venezia. L’esperienza dello studio del Corano per affrontare la costruzione della Moschea di Roma e poi di quella di Strasburgo sono state tesoro per quella indimenticabile mostra su Lo Spazio Sacro nelle tre religioni monoteiste, inaugurata a Venezia nell’autunno 1993 e trasferita poi a Monaco, Londra e Berlino che ha concluso la sua esperienza alla Biennale.
Portoghesi, che unisce il talento dello storico e del critico con quello dell’architetto-creatore, ancora oggi è molto impegnato a realizzare progetti nel mondo dove la sua architettura trova estimatori e la sua filosofia progettuale alla ricerca di un nuovo umanesimo convince: come scrive Gustav Mahler “custodire il fuoco, non adorare le ceneri”.
Quando vado a trovarlo a Calcata spesso lo trovo a disegnare con la mano che scorre con una punta sottile sul foglio guidata dal pensiero di forme e architetture e con un sorriso di felicità: perché l’architettura per Portoghesi è gioia, è sogno, è speranza per gli uomini che la condivideranno.
“Ogni uomo è una goccia di pioggia” che dovunque cade genera movimento, mi dice mentre passeggio con lui nel suo giardino continuo, lungo un percorso cadenzato da momenti di sosta per leggere frasi, suggestioni, parole che ha scelto con grande accuratezza, come le parole di Cicerone incorniciate vicino ad una delle biblioteche “se nella biblioteca hai un giardino non ti mancherà niente”. Era così anche all’università, quando tra i banchi assistevo alle sue lezioni o quando, durante le sedute di laurea, illustrava i progetti dei suoi laureandi con un’autorevolezza riconosciuta da tutti, colleghi giovani e meno giovani. Ed è così oggi quando ho la fortuna di stare qualche ora con lui. Ho cominciato a frequentare Paolo e sua moglie Giovanna a metà degli anni Ottanta nella loro casa di via Gregoriana, a Roma, in cui libri e oggetti Liberty di grande bellezza facevano da cornice a serate dense e indimenticabili
Dai libri scritti da Giovanna sul Liberty e sul Decò ho “cercato di rubare” idee per le mie progettazioni di interni utilizzando, come dice Paolo, “le valenze libere” e reinterpretandole. Ricordo le mostre d’arte che Giovanna organizzava nella sua Galleria Apollodoro a Trinità dei Monti dove si riunivano artisti e intellettuali. Sempre presente, ma mai ingombrante, riempiva della sua grazia quegli spazi progettati con passione insieme a Paolo. Era diventato un cenacolo in cui si incontravano artisti giovani e meno giovani che trovavano lo spazio per farsi conoscere. Si parlava di arte, di architettura, di storie di uomini e cose. Erano i “meravigliosi anni ’80”.
I nostri incontri sono diventati più frequenti da quando, più o meno nello stesso periodo, anche noi siamo diventati cittadini della Tuscia. Ho visto crescere il giardino di Calcata, aprire le nuove biblioteche, in cui ceniamo nelle serate autunnali.
Ho respirato l’atmosfera di quei luoghi di fascino e di cultura, dove Giovanna riceve gli amici con un’arte speciale di leggerezza e affabilità. Talvolta, Paolo legge poesie al centro della grande scalinata ripresa da uno schizzo conservato a casa Buonarroti, progettata anche per fare da palcoscenico su cui troneggia il grande olivo che Paolo ha “nominato” Borromini per quel suo tronco attorcigliato che ricorda la spirale di San’Ivo alla Sapienza.
In queste serate rarefatte, il giardino che si ferma ai bordi della scalinata, silenzioso e presente, racconta l’animo di Paolo. Un uomo gentile, sorridente, suadente. Che ascolta guardandoti negli occhi. E che racconta rubandoti l’anima.
Il giardino è un incontro con la natura, un incontro che vuole imporle un ritmo diverso, basato sulla conoscenza, sulla consapevolezza e che attinge a diverse ispirazioni come quelle indimenticabili di Villa Adriana a Tivoli. Il risultato è un insieme di elementi visti altrove e ripetuti in forma completamente libera, usati come stimoli che attivano la memoria costruendo la fluidità del pensiero che si orienta in mille direzioni.
Come il ricordo di Bomarzo, dove le facciate sorridono con bocca, occhi e naso e rappresentano Dio e il Sé. O il giardino all’italiana delle grandi ville toscane, con al centro una fontana che rievoca la fontana del paradiso. O, ancora, l’oasi di acqua e vegetazione dove indisturbati passeggiano gli struzzi intorno alla piscina, con le sue tessere dominate dai colori arabi, o i corrimano in cui scorre l’acqua come nei giardini dell’Ahlambra di Granada. O, infine, il giardino rinascimentale con il tulipano cristallizzato che rimanda al tulipano progettato da Borromini per il lavamano della casa dei Filippini.
Ho imparato da Paolo a non avere remore nell’attingere idee e forme dal mondo che ci circonda perché “ce ne sono alcune che attraversano la storia mantenendo il loro significato e questo rende possibile la replica e sicuramente utile la citazione, che valorizza il legame profondo tra il moderno e l’antico, e sottolinea spesso la modernità dell’antico, proprio grazie a quei vettori che intrecciano le vicende dell’uomo compiendo sul tempo un’operazione di compressione e insieme di vittoria”.
“Il giardino di Calcata è un percorso della conoscenza, un passaggio graduale dalla biblioteca – che è poi il luogo dove si incontrano, come diceva Sartre, i “cadaverini”, i pensieri liberati dal tempo a nostra disposizione attraverso i libri – alla radura degli olivi, una ricerca che confluisce nella meditazione e nella contemplazione. Un percorso accompagnato da grandi olivi secolari, che hanno forme così plastiche che ci hanno ispirato a nominarli. Così c’è Bernini da una parte e Moore dall’altra, e poi Brancusi e Rodin e, in fondo, Michelangelo. Questi olivi circondano la radura che, seppure non sarà mai la Lichtung di Heidegger, cioè il luogo dove entra la luce nel bosco, tuttavia è un elemento fondamentale. Per me è il “tempio degli dei fuggiti”. Grandi olivi che sembrano reggere il cielo che fa da cupola a questo luogo della contemplazione, il luogo dell’esperienza religiosa. L’olivo che regge il cielo, simbolo di pace tra Dio e l’uomo. L’olivo che si carica di luce nelle sue foglie e la fa vibrare tra lo scuro e il chiaro. L’olivo che vive in simbiosi con l’uomo, il quale ne determina la forma con le potature necessarie per la fruttificazione. Complessità e ricchezza plastica che derivano dal rapporto, talvolta anche dalla lotta, con l’uomo e rappresenta il massimo punto di umanizzazione della natura”.
Mentre mi immergevo in quello spazio di pace accompagnata dai racconti di Paolo, ripensai alla Moschea di Roma e alla polemica sull’altezza del minareto che non poteva superare quella del campanile di San Pietro.
Simboli che si contrappongono e che parlano all’uomo un unico linguaggio di fede. Nel Corano si parla molto dell’olivo, l’Asse del Mondo che congiunge la terra, il cielo e gli inferi, e del suo olio, sorgente di luce. E’ straordinario come l’olivo accompagni la storia degli uomini da sempre come simbolo di pace. E di prosperità.
Mi piace pensare che il tempo trascorra per costruire storie. Ogni luogo una storia e una storia per ogni uomo. Non so se sia giusto mettere una targa ad un bosco ma sono certa che di questo bosco si racconterà la storia.
Documentario: Paolo Portoghesi, pensieri e parole.
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