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Oltre la poltica contro

Quasi tutte le offerte politiche (partiti, liste, movimenti) della seconda repubblica sono state costruite “CONTRO” qualcuno o qualcosa. Oggi abbiamo un Presidente del Consiglio che, almeno per ora, non sembra voler parlare o agire contro altri soggetti politici, istituzionali o sociali ma “per” qualcosa (far uscire l’Italia dalla pandemia, riprendere lo sviluppo, tutelare i soggetti socialmente deboli). E’ un cambiamento enorme rispetto a ciò che è avvenuto da quasi 30 anni ad oggi.

Nel 1994 una parte del gruppo dirigente post comunista, fortemente sostenuto da un settore importante dell’informazione, costruì uno schieramento politico (“l’Alleanza dei Progressisti”) CONTRO ciò che rimaneva del ceto politico del vecchio Pentapartito travolto dalle inchieste di mani pulite. Sul fronte opposto Silvio Berlusconi, forte dei suoi strumenti di comunicazione, mise in piedi in pochi mesi un partito (Forza Italia) e uno schieramento a geometria variabile (alleato al Nord con la Lega e al Sud con i post fascisti) il cui vero elemento comune era di essere CONTRO i postcomunisti.

Dopo le lezioni del 1994, e lo sfaldamento di ciò che restava del centro, si consolidarono i due schieramenti: quello di “centrosinistra” che ha assunto negli anni denominazioni e configurazioni diverse ma ha mantenuto la caratteristica fondamentale di essere CONTRO  Berlusconi -considerato una minaccia alla democrazia- e quello di “centrodestra”, anche esso variabile nel tempo ma sempre caratterizzato dall’essere CONTRO i postcomunisti -considerati una minaccia alla libertà-.

E’ andata così affermandosi nel tempo una declinazione delle identità politiche in cui il tratto largamente prevalentemente era l’identificazione (e la demonizzazione) dell’avversario CONTRO cui si chiedeva il voto, rimanendo largamente in secondo piano gli elementi programmatici positivi, d’altronde fortemente disomogenei all’interno di ciascuno dei due schieramenti. Né il moderato liberalismo berlusconiano né il prudente solidarismo prodiano sono mai diventati patrimonio effettivo né tantomeno hanno generato consistenti sintesi politico-programmatiche nei rispettivi schieramenti, che infatti si sono quasi sempre frantumati quando chiamati alle prove di governo.

Naturalmente anche nella Prima Repubblica la contrapposizione (in particolare quella tra democristiani e comunisti) aveva il suo ruolo. Ma poiché la competizione permeava il tessuto sociale, dai luoghi di lavoro alle comunità territoriali, era accompagnata dal costante sforzo di alimentare culture politico-programmatiche (e retoriche) proprie che definivano identità positive e propositive. Con la destrutturazione organizzativa della politica nella Seconda Repubblica l’unica arena rimasta è quella mediatica dove la complessità propositiva fa la parte dell’uomo con la pistola quando incontra l’uomo col fucile della semplificazione polemica negativa. Il crescente rilievo dei social media ha, se possibile, esasperato ulteriormente questo processo. Non si tratta, peraltro di un fenomeno solo italiano. Come ha scritto Mark Thompson (ex direttore della BBC e amministratore delegato del NYT) nel bel libro “La fine del dibattito pubblico”: “negli Stati Uniti e negli altri paesi occidentali la politica è diventata una raffica di ingiurie”.

Il problema dell’approccio “contro” è che non conduce né a una buona politica né a un buon governo come dimostra il caso italiano dove l’esasperazione manichea ha portato a una riduzione della partecipazione democratica e a risultati di governo quantomeno modesti. Negli ultimi anni si è arrivati addirittura all’estremo parossistico del trionfale successo di un movimento che ha fatto dell’essere CONTRO tutti gli altri l’unico elemento sostanzialmente caratterizzante.

L’avvento di Mario Draghi è qualcosa di ortogonale rispetto a questa linea di tendenza, sia per le caratteristiche del personaggio (e della persona) che fin dal primo momento si è caratterizzato per la ricerca costante di propositività concreta e la minuziosa attenzione ad evitare polemiche negative, sia per la formula politica che, chiamando quasi tutti a partecipare all’azione di governo, rende (o dovrebbe rendere) illogica la prosecuzione della demonizzazione reciproca.

Come già accennato in altra occasione l’esperienza Draghi potrà però avere un reale impatto sulla riconfigurazione delle offerte politiche se, e solo se, avrà successo nell’affrontare le complicatissime sfide che ha davanti: contenimento degli effetti sanitari e sociali della pandemia e avvio della ripresa economica.

Se così non dovese essere è presumibile che assisteremo ad un ritorno, addirittura esasperato, della politica “contro”.

E’ un ulteriore motivo per augurarsi che riesca.

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Daniele Fichera

Daniele Fichera. Ricercatore socioeconomico indipendente. Nato a Roma nel 1961 e laureato in Scienze Statistiche ed Economiche alla Sapienza dove è stato allievo di Paolo Sylos Labini, ha lavorato al centro studi dell’Eni, è stato a lungo direttore di ricerca al Censis di Giuseppe De Rita e dirigente d’azienda e business development manager presso grandi aziende di produzione e logistica italiane e internazionali. E’ stato inoltre assessore al Comune di Roma dal 1989 al 1993 e Consigliere regionale del Lazio dal 2005 al 2010 (assessore dal 2008 al 2010) e dal 2015 al 2018. Attualmente consulente per l’analisi dei dati e l’urban innovation per diverse società e centri di ricerca.

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