MARIO PACELLI – “Impeachment” (del Presidente della Repubblica) è un termine inglese che significa messa in stato di accusa di una persona che eserciti funzioni pubbliche: è tornato ad essere usato, dopo le vicende che accompagnarono l’ultimo periodo del settennato del Presidente Cossiga, a proposito del comportamento del Presidente Mattarella che aveva rifiutato di conferire l’incarico di Ministro del governo alla persona indicata dalla neonata maggioranza parlamentare (movimento cinque stelle e lega). Delle due ipotesi di reato del Capo dello Stato previste dall’articolo 90 della Costituzione (attentato alla costituzione, alto tradimento) Luigi Di Maio ha sembrato preferire la prima mentre Fratelli d’Italia ha fatto riferimento ad un comportamento favorevole per l’Europa ai danni dell’Italia e a loro avviso avrebbe configurato un tradimento del nostro paese.
L’accusa in entrambi i casi è stata dimenticata nel giro di 48 ore: nessuno ha voluto ricordarla nei giorni successivi per non infierire forse su chi aveva commesso l’errore macroscopico di ignorare che in base all’articolo 92 della Costituzione la nomina del Presidente del Consiglio e dei Ministeri è tra i poteri esclusivi del Capo dello Stato, come è sempre avvenuto in questi settant’anni di vita della Repubblica.
È stata un’accusa dettata dalla confusione del momento o originata dalla convinzione che “lo Stato siamo noi”, come ha affermato qualche giorno dopo il capo politico del movimento cinque stelle? Ha commentato Sabino Cassese che in tal modo Di Maio è sembrato ignorare che lo Stato è cosa molto più complessa del governo, che ne è solo un frammento. L’espressione fu usata per la prima volta due secoli fa da Luigi XIV Re di Francia: Cassese suggerisce di non dirlo a Di Maio perché potrebbe montarsi la testa: non aggiunge l’augurio che il giovane leader non faccia la fine del re ghigliottinato.
GIAMPAOLO SODANO – Ma dal cocktail fanculisti/trumpiani che ti vuoi aspettare! Caro professore qualche anno fa, nel passaggio dal secolo XX a quello in cui viviamo, mi capitò di leggere un interessante testo premonitore in cui l’autore (uno scienziato di cui non ricordo il nome) sosteneva che gli anni Duemila sarebbero stati caratterizzati da una rinascita dei virus, come noto esseri viventi rimasti congelati per secoli nei ghiacciai del polonord. Effettivamente mai come in questi prima anni del nuovo tempo si parla e purtroppo sperimentiamo sulla nostra pelle l’invasione di nuovi sconosciuti virus. Dobbiamo essere molto attenti, alcuni di questi attaccano le cellule celebrali determinando forme di euforia. Ma non deve essere questo il caso di Di Maio, come qualcuno ha scritto. Più semplicemente il giovane capo degli stellati parla e agisce secondo quanto deciso da Davide Casaleggio. Chiedere e poi non chiedere più l’ “inpeachment” del Presidente della Repubblica, piuttosto che vestire per un momento le sembianze del re di Francia o convocare e sconvocare una manifestazione il 2 giugno contro la presidenza della Repubblica fa parte di quella sceneggiata scritta da mani sapienti per screditare e indebolire quelle istituzioni e quelle regole che costituiscono ancora uno ostacolo alla piena presa del potere.
MARIO PACELLI – “Se populismo è ascoltare il popolo allora noi siamo populisti” ha affermato il neo Presidente del Consiglio Conte nel suo discorso programmatico al Senato. Non ha spiegato però (né a dire il vero lo hanno fatto i molti commentatori del suo discorso) che cos’altro potesse significare quella strana parola: chi l’avesse fatto si sarebbe trovato certamente in difficoltà: “populista” è infatti definito un movimento nato nella Russia zarista un secolo e mezzo fa per contrastare il processo di industrializzazione e la burocrazia zarista e per difendere le comunità rurali con tendenze di stampo socialista.
Nel secolo scorso a queste idee hanno fatto riferimento alcuni regimi totalitari in Sudamerica, ad iniziare da quello argentino di Peron: il largo ricorso ai referendum e ai plebisciti veniva motivato con l’intento di dare voce al popolo sui problemi più importanti superando il modello tradizionale della democrazia parlamentare. In Italia Grillo e Casaleggio e prima di loro Antonio di Pietro hanno inteso “populismo” in quest’ultimo senso: sulla stessa linea sembra attestarsi ora Conte, quasi a voler dissipare ogni possibile riferimento al dittatore argentino. Forse era necessario per dissipare equivoci: certo è che al Senato deve essere corso tra i presenti un brivido che non era di freddo.
GIAMPAOLO SODANO – Infatti credo che dipendesse dall’aria condizionata un po’ troppo bassa! Ma ti pare, professore, che l’opposizione al governo abbia capito qualcosa di quello che sta succedendo? Da anni Lega e 5 Stelle hanno percorso traiettorie convergenti che ora si sono incrociate dando vita al “contratto populista”. Sotto gli occhi di tutti ma tutti hanno fatto finta di non vedere. Un annuncio di sventura partito dalle piazze del vaffanculo che risuonava nelle stanze di Via Bellerio nel bel mezzo di un’opera nuova che Matteo Salvini stava scrivendo per trasformare la Lega di Bossi in un Partito che potesse collocarsi legittimamente all’interno di quel movimento politico che è emerso vincente con la elezione di Donald Trump. Hai letto anche tu di quella conferenza che in piena crisi ha tenuto a Roma Steve Bannon, l’ideologo della campagna elettorale del presidente americano, in cui ha definito un evento storico l’alleanza di governo lega-5 stelle contro l’establishment, additando al pubblico ludibrio le centrali contro il popolo che tramano a Bruxelles e alla City di Londra. Più che populismo a me sembra sfascismo.
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