Classici contemporanei

Palomar e la contemplazione delle stelle

Dopo l’invito di Leopardi a rapportarci all’Infinito come meta a cui tendere per una vita di “senso”, l’articolo che segue è il primo di una serie di riflessioni che portano poeti e scrittori a confrontarsi con l’infinito cosmico. La contemplazione della luna, delle stelle, degli spazi celesti è stata avvertita da molti come “un’immersione” in uno sconfinato mondo di Superiore Bellezza, capace, perciò, di compensare la negatività di un presente sempre più disincantato e prosaicamente infelice.

“Quando c’è una bella notte stellata, il signor Palomar dice: “Devo andare a guardare le stelle . Dice proprio “devo”…… come se l’impegno dovesse essere solo della mente e solo frutto di una volontà razionale.”(Da “Palomar” di I. Calvino)

Palomar è un omino abbastanza comune, con una moglie, una figlia, un cane, un gatto e una casa con giardino, non ha qualità particolari ma la grande ambizione di raggiungere la saggezza. Per trovarla è portato ad alzare lo sguardo verso il cielo stellato.

Palomar e la contemplazione delle stelle

Nello spettacolo del firmamento dove lo sguardo si perde senza alcuna percezione di distanza ma dove tutto appare perfettamente studiato secondo un impeccabile ordine organizzato, egli pensa di trovare le risposte alle infinite inquietudini dell’uomo del suo tempo.

Ma l’osservazione del cielo stellato comporta una serie di problemi: la scelta del luogo che deve essere il più possibile privo di illuminazione artificiale, il fatto che ci sia bisogno di una mappa celeste che vada, tra l’altro, opportunamente orientata col rischio di sbagliare il giusto orientamento, la necessità di accendere e spegnere una torcia per leggere la mappa stessa e tale operazione non può non affaticare la vista per continui adattamenti luce/buio, buio/luce, la fastidiosa operazione di togliere e mettere gli occhiali a causa della sua miopia ma soprattutto la percezione del continuo mutare dei punti di riferimento.

Questa osservazione, pertanto, che sembrava un’operazione così banale diventa qualcosa di estremamente complesso e Palomar si smarrisce irrimediabilmente  tra le vie del cielo, tra le costellazioni, i pianeti e gli innumerevoli sciami di stelle, in quel cielo che l’occhio moderno ha reso sempre più ampio ma non per questo meno misterioso nonostante i numerosi rapporti scientifici e astronomici.

E allora che fare?

La soluzione del nostro eroe è semplice: “Per riconoscere una costellazione la prova decisiva è vedere come risponde quando la si chiama.” (op. cit)

L’uomo, si comprende, ha bisogno di uno sguardo più puro e autentico, capace non solo di indagare ma di dare senso alle sue indagini. Gli ostacoli sono tanti: la  luce industriale, gli occhiali, le mappe astronomiche, riproduzioni meccaniche di parti di infinito, strumenti tutti di cui ci si serve per studiare la realtà ma non certo per conoscerla in profondità.

Quello che occorrerebbe è, invece, una conciliazione tra razionale e irrazionale, tra logos e pathos, tra sapere dell’anima e sapere della mente al di fuori di ogni pregiudizio perchè l’errore più grave consiste proprio in una scorretta direzione dello sguardo. Solo quando l’uomo incomincerà a pensare in funzione del Bene e non in modo utilitaristico ed egoistico, solo quando saprà abbandonarsi anche al piacere della contemplazione, solo allora sarà in grado di pervenire al valore autentico della vita.

Per tutto questo occorre una rivoluzione interiore, un animo e uno sguardo puro per i quali il cielo è anche un luogo di ispirazione poetica e l’uomo il fine di ogni intendimento. Solo così la battaglia di Greta che è anche quella di tutti noi potrà essere vinta.

Non resta, pertanto, che scegliere tra due possibilità: una vita organizzata da schemi standardizzati che automatizza e corrode un universo  già pericolante, contorto e senza requie o una vita che, attraverso una fuga verso un mondo ingenuo ma genuino, recuperi una necessaria partecipazione alla realtà, alla sua durezza, alla sua asperità, alla storia insomma.

La scienza, difatti, liberata dalle finalità estreme e dalle responsabilità profonde che le competono può essere solo un gioco avvincente ma estremamente pericoloso.

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Antonella Botti

Sono nata a Salerno il 3 Marzo del 1959 ma vivo da sempre a Sessa Cilento, un piccolo paese di circa 1300 anime del Parco Nazionale del Cilento. Ho studiato al Liceo classico “Parmenide” di Vallo della Lucania ed ho conseguito la laurea in Lettere moderne. Sono entrata nella scuola come vincitrice di concorso nel 1987, attualmente insegno Letteratura Italiana e Latino al Liceo Scientifico di Vallo della Lucania. Ho pubblicato due testi di storia locale: "La lapidazione di Santi Stefano" e "Viaggio del tempo nel sogno della memoria". Da qualche mese gestisco un blog, una sorta di necessità interiore che mi porta a reagire al pessimismo della ragione con l’ottimismo della volontà. I tempi sono difficili: non sono possibili "fughe immobili".

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