Partiamo da tre considerazioni:
Da alcuni anni abbiamo posto allo studio l’introduzione di un segnale che valga ad informare il consumatore delle peculiari caratteristiche del cibo prodotto dalle imprese artigiane. Il punto di partenza è stata la valenza attribuita alla locuzione “artigianale”, che viene nella comune percezione immediatamente ricondotta ad un ad un processo produttivo non seriale in cui è marcata la presenza dell’artigiano che controlla in ogni momento quel processo intervenendo ogni volta che sia necessario per ottenere il miglior risultato. Siamo consapevoli di dover percorrere una strada non facile in quanto l’inevitabile punto di arrivo è l’offerta al consumatore di un cibo – quello artigianale – fino ad oggi privo di qualunque segno distintivo rispetto a quello ottenuto al termine di un processo standardizzato come avviene per i prodotti dell’industria.
Il cibo artigianale costituisce la vera novità nel settore agroalimentare, non solo in quanto rende più chiare e motivate le scelte del consumatore, ma anche in quanto può contribuire al consumo ed alla esportazione del cibo italiano con vantaggi sia per le imprese che lo producono che per gli agricoltori e gli allevatori.
Una attenta verifica della normativa nazionale e comunitaria vigente hanno portato a concludere che la locuzione “cibo artigianale” e la sua utilizzazione per qualificare il prodotto dell’artigiano del cibo non trova un contrasto con nessuna disposizione vigente. Sia la decisione dell’Autorità per la concorrenza, che la giurisprudenza forniscono precise indicazioni a proposito delle caratteristiche che un prodotto deve avere per poter essere qualificato artigianale.
Alla fine del 2016 la recessione economica che ha investito il nostro Paese ha compiuto otto anni: è stata la crisi più radicale, più strutturale, più antropologica cui abbiamo mai assistito. Resa ancora più grave dal diffondersi di un sentimento negativo sul nostro futuro che ci priva di ogni speranza, come se fossimo spettatori dell’alba di un tempo senza promesse e di un tramonto della “leggenda italiana”. Artigiani e piccole imprese sono quelle che meglio di altri sono riuscite a fronteggiare la crisi scommettendo sulla forza del made in ltaly. Dobbiamo tutelare e valorizzare questo patrimonio, ma soprattutto sono necessarie norme utili a garantire una corretta informazione al consumatore e a diffondere una cultura gastronomica che riconosca il valore del cibo made in ltaly e, in questo contesto, la funzione essenziale degli artigiani del cibo per offrire al consumatore un prodotto sano, di origine certa, al giusto prezzo, ottenuto attraverso un processo di produzione trasparente.
È necessario guardare al futuro. Siamo convinti che sia il tempo del cambiamento, dell’innovazione. Dobbiamo rivendicare il valore del cibo, ma ci vuole una riforma radicale del mercato. Ma per cambiare dobbiamo voltare pagina: abbandonare antiche c ertezze, vecchie sigle, pratiche logorate dal tempo. Nei ristoranti, nei negozi, sugli scaffali dei supermercati il cittadino deve con facilità conoscere e riconoscere il prodotto degli artigiani del cibo. E gli artigiani del cibo devono mettersi al lavoro per costruire una nuova, originale associazione, capace di coniugare i diritti del consumatore con gli interessi dell’impresa.
Ma l’identità dell’impresa artigiana del cibo, che già oggi costituisce il tessuto produttivo dell’agroalimentare made in ltaly, oltre ad avere un suo mercato di riferimento, deve essere riconosciuta dalla legislazione nazionale e comunitaria. In definitiva oltre alla qualità e all’origine del prodotto ci vuole, per le imprese artigiane, una legge e un mercato.
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