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Perchè ci si rifiuta di affrontare il problema dei rifiuti

La vicenda dei rifiuti a Roma è emblematica dell’incapacità dell’approccio populista di affrontare i problemi complessi. Secondo l’approccio populista esistono sempre soluzioni che sono “migliori” da tutti i punti di vista e per tutti, solo la disonestà e la corruzione dei “politici” impediscono di adottarle; sostituiti i “politici corrotti” con i “cittadini onesti” tutto andrà per il meglio. Nel caso dei rifiuti l’approccio populista (che non è prerogativa esclusiva dei cinquestelle) fa leva su una narrazione estremizzata di concetti non privi di validità, come quello di “economia circolare”. Questa viene trasformato da utile ancorché parziale indicazione di prospettiva in formula magica che -inserita nei discorsi e nei documenti- trasforma i rifiuti in “materiale post consumo” risolvendo così, magicamente, il problema del loro smaltimento.

Le conseguenze concrete della applicazione di questo approccio sono state lo smantellamento del termovalorizzatore pubblico di Colleferro, il degrado degli impianti di trattamento di Roma, l’incapacità di individuare i siti per le discariche di servizio. Avendo impiegato le ingenti risorse versate dai cittadini con la TARI non per sviluppare un efficace sistema di raccolta differenziata e un efficiente sistema impiantistico di trattamento ma per sostenere le spese di trasporto e smaltimento altrove dei rifiuti si è fatto si che l’intero sistema fosse portato ai suoi limiti di tenuta in cui un qualunque malfunzionamento in qualunque punto del processo per provocare il suo inceppamento e conseguenze devastanti: cumuli di rifiuti per strada e impianti di trattamento trasformati in discariche.

La scelta (condivisa da Regione Lazio e Roma Capitale e da quasi tutte le forze politiche) di rinunciare al revamping  (ristrutturazione secondo le più moderne e sicure tecnologie) dell’impianto pubblico di Colleferro  procedendo, invece, al suo smantellamento è l’emblema dell’approccio populista (e delle sue conseguenze). Secondo dati certificati e valutati da persone competenti i moderni termovalorizzatori (impianti in cui i rifiuti vengono bruciati per produrre calore o energia) non determinano danni alla salute ed hanno un impatto ambientale paragonabile a quello di un qualunque impianto industriale a norma la cui realizzazione è diffusamente accettata. In particolare l’adozione di avanzati sistemi di controllo dei fumi consente un abbattimento dei fattori inquinanti molto al di sotto dei limiti di legge e il loro costante monitoraggio. Se poi si considera l’effetto “sistemico” il saldo ambientale della corretta ubicazione e realizzazione di un moderno termovalorizzatore risulta addirittura positivo perché riduce la percorrenza (e quindi le emissioni) dei mezzi di trasporto che spostano i rifiuti, perché sostituisce impianti più inquinanti per la produzione di energia e perché, attraverso l’impiego per il teleriscaldamento, diminuisce l’inquinamento provocato dalle caldaie individuali o condominiali alimentate a combustibili fossili. In Svezia e Danimarca, che tendenzialmente non sono considerati paesi barbari dove si disprezza la salute dei cittadini, gli impianti di termovalorizzazione trattando poco meno di 600 kg di rifiuti per cittadino, mentre in Italia non andiamo molto oltre i 100 kg (Per approfondimenti si rimanda all’articolo de IlSole24Ore “Rifiuti: la Germania al top per riciclo, Nord-Europa leader negli inceneritori“).

Roma tra i rifiuti

E’ certamente corretto, come d’altra parte ha fatto l’Unione Europea, indicare le prospettive strategiche della riduzione della produzione di rifiuti e dell’incremento della raccolta differenziata finalizzata al riciclaggio. Ma anche i dati delle esperienze più avanzate ci dicono che circa un terzo dei rifiuti prodotti devono (e tendenzialmente dovranno) essere comunque destinati allo smaltimento; cioè o alle discariche o agli impianti di valorizzazione.

In più i dati dei confronti internazionali e anche infranazionali ci dicono che, al contrario di ciò che sostiene la retorica della contrapposizione tra raccolta differenziata e termovalorizzatori, paradossalmente sono proprio le realtà dove sono più diffusi gli impianti di valorizzazione energetica quelle dove la raccolta differenziata e il riciclo hanno raggiunto i livelli più elevati. Contrariamente al modello delle discariche (che costano) o all’ipocrita soluzione dell’”esportazione” (che costa ancora di più) l’utilizzo dei termovalizzatori è economicamente redditizio e mette quindi a disposizione risorse utilizzabili per incrementare la raccolta differenziata e il riciclo. Secondo il rapporto ISPRA sono attivi in Italia 38 impianti di incenerimento/valorizzazione concentrati prevalentemente in Lombardia (13 per una quota del 34,9%) ed  Emilia Romagna (8 per una quota del 17,8%); ma la Lombardia (con il 69,6%) e l’Emilia Romagna  (con il 63,8%) sono anche tra le regioni italiane con il più alto tasso di copertura della raccolta differenziata.

Non si può, purtroppo, collocare in questo gruppo virtuoso la regione Lazio. Con le eccezioni dei tentativi fatti dalla seconda giunta Rutelli al comune di Roma e dalla giunta Marrazzo in Regione Lazio la gestione politica delle diverse amministrazioni comunali e regionali che si sono succedute (e non solo di quelle attuali) è stata finalizzata più ad eludere il problema che ad affrontarlo.  Per un certo periodo la presenza di un grande operatore privato in grado di assorbire gran parte della raccolta a Roma ha funzionato sia da parafulmine dove concentrare le polemiche sia da tappeto sotto il quale nascondere la polvere delle decisioni non prese. Venuta meno questa possibilità la questione è riesplosa ed è stata gestita con scelte “antalgiche” (tese ad evitare il dolore o i problemi) da parte di amministrazioni deboli o comunque non disposte ad assumersi la responsabilità di scelte chiare,  che hanno preferito perciò la facile strada della “esportazione” dei rifiuti caricandone i costi sulla collettività. Dei 4 impianti presenti nel 2012 oggi nel Lazio risulta attivo solo l’impianto di San Vittore (nel sud della provincia di Frosinone) che tratta circa 350.000 tonnellate con una percentuale del 12% rispetto ai rifiuti prodotti nella regione molto inferiore alla media nazionale del 18% ed alle punte del 40% in Lombardia e del 34% in Emilia Romagna. Ma la percentuale di raccolta differenziata (45,5%) rimane una delle più basse d’Italia e allo stesso tempo le tariffe sono tra le più alte: secondo le stime di Cittadinanza attiva, il costo per famiglia nel Lazio è di 332 euro anno contro i 278 euro dell’Emilia Romagna e i 236 euro della Lombardia.

Tuttavia è giusto riconoscere che, anche se non comporta rischi sanitari, e ha un saldo ambientale ed economico positivo la realizzazione dei termovalorizzatori produce, di per sé, effetti anche negativi sul territorio circostante sia dal punto di vista della vivibilità (e più piacevole abitare davanti a un parco che a un impianto industriale) sia da quello economico (la presenza di un impianto del genere riduce, a torto o  a ragione, il valore immobiliare di case ed edifici nelle vicinanze) sia da quello ambientale, in particolare per le conseguenze dell’afflusso di mezzi di trasporto. Ma un approccio non populista  al governo della cosa pubblica consiste, essenzialmente, nel ricercare, sulla base di informazioni attendibili valutate da persone competenti, le scelte che perseguono l’interesse generale cercando di ridurre, o eventualmente compensare, i legittimi interessi particolari che ne possono eventualmente risultare lesi.

Nel caso specifico, poiché la corretta ubicazione e realizzazione di un termovalorizzatore produce enormi risparmi economici (minori costi di trasporto e di smaltimento), è del tutto ragionevole che parte dalle risorse recuperate siano destinate a renderne minimi gli impatti ambientali (investimenti nell’abbattimento dei fumi e nelle infrastrutture di collegamento) e a compensare coloro che subiscono comunque una qualche forma di danno: per esempio attraverso l’eliminazione o riduzione delle tariffe per lo smaltimento rifiuti o per lo stesso impiego del calore prodotto a fini di riscaldamento nonché attraverso la realizzazione di interventi territoriali (parchi, impianti sportivi, luoghi di aggregazione e socializzazione) che compensino sia dal punto di vista economico sia da quello “esistenziale” il parziale danno territoriale provocato dall’impianto. E’ diventato emblematico il caso del termovalorizzatore di Copenhill a Copenaghen (400.000 tonnellate di rifiuti trattati l’anno in un impianto che dista 10 minuti dal centro della città) divenuto addirittura un’attrazione turistica con l’apertura lo scorso ottobre  sopra di esso di una pista da sci!.

E’ presumibile, comunque, che, anche adottando un approccio equilibrato non mancheranno mai le contestazioni a questo tipo di scelte: in parte dettate da comprensibili anche se spesso improprie preoccupazioni e in parte da strumentalizzazioni politico ideologiche che in Italia tendono a mischiarsi con particolare facilità. Un approccio non populista prevede, d’altra parte, la piena disponibilità all’ascolto di ragioni e osservazioni formulate dai cittadini più direttamente interessati (ed il recepimento delle ragionevoli indicazioni sugli eventuali interventi compensativi) ma anche il coraggio di non farsi imporre le decisioni dalle minoranze, per quanto mediaticamente sostenute queste possano essere. Ci deve essere, invece, la chiara e trasparente assunzione di responsabilità da parte del decisore politico soggetto al complessivo giudizio periodico dell’insieme degli elettori cui deve rispondere.

Non mi pare, però, che le attuali amministrazioni di Roma Capitale e Regione Lazio mostrino né la capacità né la volontà di affrontare in modo lungimirante la questione rifiuti;  alternando invece momenti in cui si rimbalzano le responsabilità a momenti in cui fanno mostra di accordarsi su soluzioni che si rivelano sistematicamente inconsistenti.

Ci vorrebbe un coraggioso approccio non populista, ma mi sembra che in nessuno degli schieramenti politici principali tiri un’aria diversa dal tirare a campare.

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Daniele Fichera

Daniele Fichera. Ricercatore socioeconomico indipendente. Nato a Roma nel 1961 e laureato in Scienze Statistiche ed Economiche alla Sapienza dove è stato allievo di Paolo Sylos Labini, ha lavorato al centro studi dell’Eni, è stato a lungo direttore di ricerca al Censis di Giuseppe De Rita e dirigente d’azienda e business development manager presso grandi aziende di produzione e logistica italiane e internazionali. E’ stato inoltre assessore al Comune di Roma dal 1989 al 1993 e Consigliere regionale del Lazio dal 2005 al 2010 (assessore dal 2008 al 2010) e dal 2015 al 2018. Attualmente consulente per l’analisi dei dati e l’urban innovation per diverse società e centri di ricerca.

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