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Perchè Moondo si fa Local

L’ennesimo sito web o giornale online per raccontare ai lettori l’ultimo fatto di cronaca? E’ proprio necessario parlare di Viterbo e della sua provincia? La domanda nasce spontanea, diceva un noto personaggio televisivo del secolo scorso. Certamente non c’è alcun bisogno di aggiungere news a news su una realtà territoriale di modeste dimensioni come la Tuscia viterbese. Forse potrebbe risultare utile proporre qualche riflessione e fare qualche approfondimento su problemi che sono peculiari di questo pezzo d’Italia, ma anche di questioni che hanno un comun denominatore con altre città del bel Paese, per questo nasce Moondo Local – Viterbo.

Nelle città della Tuscia, come in gran parte degli 8000 comuni d’Italia, ogni trasformazione ha depositato un nuovo strato che si è miscelato con le preesistenze storiche, contaminandosi. La crescente omologazione ai modelli della contemporaneità ed il consumo, a volte dissennato del territorio, hanno generato un forte disequilibrio tra le parti della sedimentazione storica e quelle legate alle espansioni, come la periferia di Viterbo o l’accesso ai borghi della provincia.
Le città, i borghi sono l’epicentro di un territorio ricco di bellezze naturali come la faggeta del lago di Vico o i calanchi di Civita di Bagnoregio; di attività produttive come le tantissime aziende agricole che sono una importante realtà economica come i noccioleti, gli oliveti, i castagneti, le distese di verdura; di attività salutari e ricreative come le Terme di Viterbo e di Orte; di attività culturali importanti come il Parco di Veio, il parco di Bomarzo o il parco archeologico di Tarquinia. E poi le dimore storiche come il palazzo Farnese di Caprarola o Villa Lante a Bagnaia con il suo meraviglioso parco. E poi la collina delle peonie e il mare.

E’ un dovere di tutti noi che abitiamo e viviamo la Tuscia preservare, difendere e incentivare questo patrimonio fatto di natura e di pietre, di prodotti e di uomini, di sviluppo e di crescita umana, culturale e sociale. Ci è stato regalato dalla natura, dai nonni e bisnonni e dobbiamo difenderlo, farlo conoscere, farne godere quanti lo amano e potrebbero amarlo.

Un tempo le città avevano le “porte” che ne delimitavano il perimetro dal territorio circostante e l’accesso. La porta di una città ha lo stesso significato della porta di casa: da un esterno si entra in un interno, in un mondo “privato” in cui vi sono regole di convivenza e di comportamenti. Un luogo definito, un luogo di appartenenza.

Oggi le città sono “aperte”, senza porte, spesso senza regole, luoghi senza identità e senza bellezza. Non a caso quando si dice “viene dalla periferia” si vuole intendere che si viene da luoghi-nonluoghi in cui brutte sono le case, squallidi gli spazi pubblici, sporche le strade. E’ la continuità con la città che si slabbra, dove la collettività si sfilaccia, perde il suo connotato di unità civile e sociale. Non a caso la grande questione di oggi è la riqualificazione delle periferie perché senza inclusione, senza dignità, senza bellezza non c’è civiltà e non c’è uguaglianza.

Kevin Lynch nel saggio “L’immagine della città” scrive che le città del XX secolo sui modelli dei maestri dell’architettura hanno creato dei non-luoghi che portano necessariamente all’alienazione. Tuttavia, come osserva Marc Augé, nella contemporanea società dei consumi, luoghi e nonluoghi si compenetrano reciprocamente, per cui la possibilità del nonluogo non è mai assente da un qualsiasi luogo. In questo modo, se il luogo è uno spazio relazionale, identitario, storico, in cui gli utenti si riconoscono, il non luogo ha caratteristiche opposte. Esso, infatti, rappresenta uno spazio di transito, di attraversamento, progettato per una umanità generica costretta a vivere in luoghi senza identità. Una riflessione che rimanda alle scelte dissennate fatte da celebrati archistar come Gregotti e lo zen di Palermo o le vele di Scampia o Corviale a Roma oppure ai piani di fabbricazione o i piani regolatori di decine e decine di comuni della Tuscia Viterbese.

Secondo Aristotele le città devono assicurare sicurezza e serenità e Camillo Sitte scriveva nell’Ottocento che costruire una città non è una questione meramente tecnica ma anche un problema d’arte nel senso dell’equilibrio di forme e di spazi che creano bellezza.
L’imperatore Adriano diceva che architetti e ingegneri non bastano a fare una città, ci vuole un pizzico di creatività in più, ci vuole un’etica, ci vuole rispetto per quanti ci vivranno. In definitiva la città, quella dentro le mura, quella in cui ci sentiamo a casa nostra, in cui abbiamo le nostre radici ci offre il suo habitat come luogo sicuro, un porto in cui riparare quando il mare è in tempesta, quella città è l’epicentro di un sistema che va oltre le mura fatto di accoglienza e condivisione, di lavoro e creatività.

E oggi, che abbiamo imparato anche a viverla diversamente perché la pandemia ci ha cambiato valori e abitudini, è più che mai necessario recuperare il senso profondo del genius loci come insieme delle caratteristiche socioculturali, architettoniche, di linguaggio, che caratterizzano un luogo, un territorio, una città. E questo vale sia per grandi città come Roma o Milano, sia per Viterbo che per i borghi antichi della Tuscia. L’unica differenza è la dimensione e il disegno: lì grandi architetti, nei borghi il geometra comunale. Ma il risultato è stato lo stesso, la negazione del genius loci e quindi della identità della città o del borgo.

C’è bisogno di riacquistare l’essenza significativa della cultura in quanto espressione di una collettività che si è formata nel tempo e che nel borgo ritrova la sua identità. Quindi bisogna rivalutare il senso comune dell’appartenenza che genera partecipazione e responsabilità.  La riscoperta del proprio luogo e della propria storia è la condizione per cui ogni donna e ogni uomo si fa cittadino, soggetto sociale di diritti e doveri.

L’indifferenza o la critica ideologica non producono nulla, se non sfiducia nell’esistente. Con la riscoperta della partecipazione e della responsabilità la città può riprendere il suo cammino di civiltà e di cultura, in un percorso condiviso di scelte, di decisioni improntate alla legalità e alla giustizia sociale. E questo è alla base del nostro lavoro giornalistico, è lo scopo per cui nasce Moondo Local, per informare i cittadini e concorrere alla formazione di una opinione pubblica consapevole.

“Coloro che sono abbastanza folli da pensare di poter cambiare il mondo di solito lo fanno” diceva Steve Jobs, ma è necessario trovare compagni di strada per fare un cammino in cui si crede. Sulla nostra via francigena abbiamo avuto la fortuna d’incontrare Veronica Ruggiero con un gruppo di “avventurosi” pellegrini, abbiamo fatto sosta a Viterbo ed è nato Viterbo Moondo Local, poi altre tappe ci attendono.

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Giampaolo Sodano

Artigiano, mastro oleario, giornalista e dirigente d’azienda, Giampaolo Sodano è nato a Roma. Prima di vincere nel 1966 un concorso ed entrare in Rai come funzionario programmi svolge una intensa attività pubblicistica come critico letterario e cinematografico. Nel 1971 è giornalista professionista. Nel 1979 è dirigente d’azienda della RAI. Nel 1983 è eletto deputato al Parlamento. Nel 1987 torna all’attività professionale in RAI ed è nominato vice-presidente e amministratore delegato di Sipra e successivamente direttore di Raidue. Nel 1994 è direttore generale di Sacis e l’anno successivo direttore di APC, direzione acquisti, produzioni e coproduzioni della Rai. Nel 1997 si dimette dalla RAI e diventa direttore di Canale5. Una breve esperienza dopo della quale da vita ad una società di consulenza “Comconsulting” con la quale nel 1999 collabora con il fondo B&S Electra per l’acquisizione della società Eagle Pictures spa di cui diventa presidente. Nel 2001 è eletto vicepresidente di ANICA e Presidente dell’Unidim (Unione Distributori). Dal 2008 al 2014 è vicepresidente di “Sitcom Televisione spa”. E’ stato Presidente di IAA. Sezione italiana (International Advertising Association), Presidente di Cartoons on the bay (Festival internazionale dei cartoni animati) e Presidente degli Incontri Internazionali di Cinema di Sorrento. Ha scritto e pubblicato “Le cose possibili” (Sugarco 1982), “Le coccarde verdemare” (Marsilio 1987), “Nascita di Venere” (Liguori editore 1995). Cambia vita e professione, diventa artigiano dell’olio e nel 1999 acquista un vecchio frantoio a Vetralla. Come mastro oleario si impegna nell’attività associativa assumendo l’incarico prima di vicepresidente e poi direttore dell’Associazione Italiana Frantoiani Oleari (AIFO). Con sua moglie Fabrizia ha pubblicato “Pane e olio. guida ai frantoi artigiani” e “Fuga dalla città”.

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