di Lazzaro Piscione
Rinchiusi tra le 4 rassicuranti mura domestiche a ripetere le solite domande: Quando finirà tutto questo? Quando potremo tornare ai nostri ritmi quotidiani? Quando potremo tornare a vivere nella tranquillità?
Tutte domande alle quali nessuno sa darci una risposta, e così ci ritroviamo a vivere abbracciati alla paura, nella speranza che tutto questo finisca al più presto. Strano a dirsi, prima cercavamo solo questo, “il dolce far nulla”, e invece ora che siamo obbligati a restarcene a casa, appunto a non far nulla, non riusciamo ad accettarlo, ci sentiamo imprigionati, privati della nostra libertà.
L’unica luce in tutta quest’oscurità è la speranza che il tutto finisca al più presto, e quindi ci atteniamo alle disposizioni a noi date dal governo per contribuire a risolvere questo problema che sta affliggendo la nostra nazione.
Intorno a me tutto tace, le strade sono vuote, gli scaffali dei supermercati iniziano a svuotarsi, e quest’aria di solitudine inizia ad essere soffocante. Inizialmente da adolescente “medio” ho affrontato la situazione con un po’ di menefreghismo, ma dopo aver analizzato le circostanze ho capito di dover responsabilizzarmi, perché posso diventare un pericolo sia per me stesso che per la mia famiglia e per gli amici e per tutte le persone che mi circondano.
Fra compagni ormai le discussioni riguardano tutte questo problema e con un forte senso di responsabilità (nuovo a rifletterci, sarà il lato positivo del virus) abbiamo deciso di non starcene in giro a far festa per la chiusura della scuola, ma di rintanarci a casa con la nostra famiglia senza correre nessun rischio.
Mi ritrovo in uno stato di attesa nella speranza che ciascuno faccia la sua parte perché solo insieme come popolo e come Nazione riusciremo a sconfiggere questa minaccia che ci ha condotto vicini alla “fossa”. Ne usciremo e più forti di prima, sono sicuro.
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