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Quando inventammo il tv-movie (e salvammo la Rai)

Ottobre ’92. Con ”Intuizioni mortali” andato in onda sabato 10 ottobre alle 20.30 e’ ripresa la programmazione di film in prima visione tv che Raidue propone nel ciclo ”Nel segno del giallo”. Tutti all’insegna del brivido e della suspense.

”Le nuove proposte per la stagione ’92-’93 – spiega Antonio Ferraro, che ha selezionato i film dei ciclo – comprendono titoli di grande interesse: Raidue ha operato scelte molto accorte per garantire la migliore qualità possibile. Da segnalare, fra le numerose proposte: ”Intimita’ mortale”, con Deborah Harris, la cantante dei Blondie, e ”Scissors”, un serrato thriller interpretato dalla bellissima Sharon Stone prima che diventasse famosa in tutto il mondo con ”Basic instinct”. Tra i divi presenti agli appuntamenti del sabato: Rod Steiger, strepitoso interprete del curioso ”Verdetto: colpevole” presentato con successo all’ultimo festival ”in noir” di Viareggio; Tony Curtis, ”cameo” di gran classe ne ”Il centro della ragnatela”; Brigitte Nielsen cattiva di lusso in ”Missione di giustizia” terzo capitolo della serie ”Codice marziale”.

”Questo nuovo scorcio di programmazione, infine – dice ancora Ferraro – sembra aver coniugato la buona qualità delle proposte e il gradimento del pubblico: per la prima, vale la pena di ricordare come il ”festival di noir” di Viareggio abbia dedicato una particolare attenzione a molti titoli della serie ”Nel segno del giallo” consigliandone autorevolmente la visione agli appassionati del genere; per quanto riguarda gli ascolti invece, già il primo film della nuova serie: ‘Intuizioni mortali”, ha solidamente retto la concorrenza di altri programmi di grande successo”.

Durante una ricerca sul web, mi è apparso questo comunicato stampa che annunciava la nuova stagione di thriller della serie che chiamammo “Nel segno del giallo”. Con qualche remora di modestia e molta nostalgia per tempi forse più liberi e creativi, cerco di far ordine nei ricordi, per raccontare di come, nella Rai2 di Giampaolo Sodano, usammo – primi in Italia e in Europa – il tv-movie d’oltreoceano (film nato per essere programmato solo nei canali televisivi) come punto di forza della programmazione della rete. Erano i primi anni ’90 e la Rai, abituata ad un comodo monopolio, subiva i colpi della concorrente Mediaset che – vivendo di pubblicità – metteva in palinsesto programmi da studio sfarzosi e disinvolti (anche nell’abbigliamento delle soubrette), serie di successo internazionale come Dallas e Dinasty e film di grande appeal. In particolare contro questi ultimi la Rai si trovava con le armi spuntate: il cinema era stato per la Rai fino a quel momento un prodotto di scarso interesse, quasi un riempitivo o, semmai, un’occasione di approfondimento culturale.

I magazzini pullulavano di titoli storici, spesso interessanti ma non in grado di reggere la concorrenza dei titoloni del concorrente. Se questo era un problema per Rai1 (che però in qualità di “rete ammiraglia” poteva almeno contare sul massimo degli sforzi anche economici di tutta l’azienda) per noi di Rai2 era d’obbligo trovare una soluzione compatibile con un budget limitato (la Rai3 di allora era meno interessata all’argomento perché il direttore Guglielmi non amava l’uso dei film nella sua programmazione).

Inoltre l’intuizione di Sodano di caratterizzare la rete con una programmazione di fiction e informazione era giusta e molto avanti nei tempi ma – mentre per l’informazione si poteva contare sulla potenza di fuoco e sul prestigio di Giovanni Minoli e delle sue declinazioni di Mixer – la messa a fuoco di una fiction adeguata ai tempi richiedeva un non breve periodo di organizzazione. E allora decidemmo di esplorare il settore pochissimo frequentato in Italia ed in Europa ma fiorentissimo negli USA (e molto esportato nei paesi orientali) dei film televisivi. Andai in avanscoperta e scoprii un mondo: c’erano migliaia di titoli tra i quali spaziare: molta robaccia, molte modeste imitazioni di film di successo ma anche degli ottimi prodotti artigianali di genere, tra i quali spiccavano rare commedie giovanili, buoni drammi di ispirazione sociale (su cui con il mio collega ed amico Carlo Macchitella costruimmo il ciclo del mercoledì I difficili mondi delle donne) e, soprattutto, alcuni ottimi polizieschi.

Decidemmo che questi ultimi erano perfetti come contro-programmazione, quantomeno di nicchia, contro le corazzate dei ricchissimi varietà con cui Rai1 e Canale 5 si fronteggiavano il sabato sera. Non andò proprio così: la nicchia si rivelò amplissima e sempre più spesso il nostro film del sabato – con ascolti, oggi impensabili, del 25- 30% – vinceva, o quasi, la serata.

A questo punto divenne giocoforza approfondire la conoscenza di quelle produzioni e dei loro meccanismi. Anche con la mediazione di distributori italiani (tra i primi la Eagle dei fratelli Dammicco, già fondatori dei Daniel Santacruz Ensemble, reduci dal successo di Soleado) venni così in contatto con produttori/distributori americani e canadesi, che – come è tipico di quei paesi – davano talvolta il proprio tocco personale ai loro titoli. C’era la canadese Image, forse qualitativamente la migliore di allora, che aveva un filone (Gemelle, La moglie perfetta ne erano due esempi) di thriller basati sugli squilibri di un personaggio che, per bisogno possessivo d’affetto, uccideva chiunque potesse frapporsi fra lui e chi amava o, come ne Il banchiere – grande successo di audience – ammazzava con una balestra le donne dalle quali si riteneva a priori respinto. I titoli della statunitense Cinetel erano invece spesso più dark: valga l’esempio di Senza limiti – titolo di tale appeal da meritarsi un sequel – basato su di un poliziotto con uno speciale istinto per i serial killer (che, poi, sarà l’idea di base della serie di successo Criminal minds). La Overseas del simpatico e gentile gentleman inglese Robbie “Little” Scott (ex-bassista dei Motowns, quelli di Prendi la chitarra e vai) alternava thriller ben confezionati a film di spessore cinematografico. Nei mercati era d’obbligo una visita a Mark Damon, ex attore che – dopo essere stato scoperto da Roger Corman (I vivi e i morti) – aveva avuto una buona stagione in Italia come protagonista di musicarelli (Dio come ti amo!), horror (I tre volti della paura) e spaghetti western (Johnny Oro, Johnny Yuma) e, ritiratosi aveva fondato la Vision: i suoi prodotti erano talora interessanti ma soprattutto era affascinante la sua capacità di magnificare – da bravo “cinematografaro” di scuola italiana – qualunque suo titolo come imperdibile. Dalla sua factory era uscito il tenero Etchie Stroh che aveva impostato la sua piccola distributrice, la Moonstone, sulla falsariga della linea editoriale della Vision: tra varie piccole produzioni per mercati minori, ad ogni stagione tirava fuori un buon prodotto (ricordo ad es. il buon poliziesco Delitti a New Orleans). Abbiamo citato Corman: tutti lo consideriamo un genio del cinema e non va dimenticato che – come produttore e regista – aveva fatto di un proprio difetto, la tendenza a spendere il meno possibile, uno dei pregi della sua produzione (soprattutto nelle sue celebrate riduzioni dei racconti di Poe aveva messo in atto tecniche sparagnine ma anche avveniristiche: ad esempio, l’uso dei filtri colorati per trasmettere le emozioni dei personaggi anticipò di anni Deserto rosso di Antonioni).

Però le sue produzioni degli anni ‘90 – esibite dalla sua Concorde-New Horizons – erano talmente poco costose e tirate via da risultare inutilizzabili (certamente è una forzatura ma ricordo il suo giovane venditore magro e sparuto come se patisse la fame!); naturalmente vendeva anche i suoi titoli migliori ma questi apparivano nel catalogo dell’altra sua società, la New World Si stava in quegli anni facendo largo la Trans – Atlantic, poi confluita nella potente Lakeshore che, oltre ai tradizionali gialli, selezionava buone commedie (mi piacque subito – e l’audience mi diede ragione – il garbato Non voglio più baci). Una voce a parte merita il mitico Menahem Golan, il grande produttore di origine israeliana, fondatore della Cannon Group (la compagnia, ad esempio, che lanciò Stallone) dopo il cui fallimento, con varie sigle, si specializzò in ginnici action di serie B. C’erano infine compagnie, la più nota era la Curb,che offrivano film pieni di ex-star in declino ma che spesso – dovendo dare ad ogni divo uno spazio adeguato – erano carenti ed appesantiti nel racconto.

Naturalmente il sistema aveva i suoi divi: alcuni, Michael Dudikoff, Michael Parè, Judd Nelson, Leo Rossi, erano pressoché in esclusiva nei tv-movie (con qualche piccolo ruolo in film da sala), altri alternavano ruoli da protagonista nei film televisivi a ruoli importanti, spesso da villain, in importanti produzioni, come Michael Ironside (Atto di forza-Total Recall, Highlander II, La tempesta perfetta) o Gary Busey (Un mercoledì da leoni, Point Break, Arma letale); c’erano poi i cattivi specializzati: Robert Davi (il principale nemico di Bond in 007- Vendetta privata), Lance Henriksen (perfido anche in Vigilato speciale e Arma letale) o Robert Z’Dar (piccolo ruolo in Tango e Cash ma feroce poliziotto-zombie nei vari Maniac cop).

Era molto ricco, inoltre, il filone degli esperti di arti marziali: con protagonisti come Jeff Wincott, che in alcuni film (ad esempio la serie Martial law – Codice marziale) era in coppia con la tosta Cynthia Rothrock, Brian Bosworth (muscoloso biker nei 2 Forza d’urto); ogni tanto vi si cimentava (più spesso nel ruolo di antagonista) il bravo David Carradine (era anche protagonista della serie Kung Fu); dopo Rocky IV, si affermò Dolph Lundgen (“Ti spiezzo in due”). Uno dei più amati era Lorenzo Lamas (dopo poco divenuto celebre con la serie Renegade), per tacere di peculiarissimi personaggi ai limiti del freak come la massiccia Magnificent Mimi che, per mostrarsi simpatica, a Los Angeles quasi mi spezzò la schiena con un promozionale abbraccio. Questo filone lo sfruttammo per una apposita programmazione del giovedì e ricordo che una volta Santoro, che nello stesso orario presentava la politicizzatissima Samarcanda, una sera, per neutralizzare un’eventuale concorrenza, mise un grande schermo nella piazza da cui trasmetteva per mostrare una scena clou del nostro action, esprimendo il suo dissenso da quelle disimpegnate immagini (Rai3 impegnata e pensosa contro la “commerciale” Rai2) ma, in realtà, nel tentativo di accaparrarsi un po’ del nostro pubblico, come la sua rete riconobbe ridendo, quando telefonai il giorno dopo per protestare.

A proposito di action, mi piace ricordare che fui il primo a “sdoganare” televisivamente Steven Seagal (il suo primo film Nico, che io volli a tutti i costi, dopo trent’anni ancora miete ascolti) e Jean-Claude Van Damme. Anche su questo ricordo un aneddoto che la dice lunga sulla Rai di quei tempi: il potente vice-direttore generale Giovanni Salvi (un vero gigante dei programmi televisivi) quando vide programmato un film con Van Damme mandò al direttore di rete una preoccupata lettera per chiedere di cambiare il titolo; d’accordo con Sodano (tra i due c’era un’enorme stima reciproca) ci andai a parlare e gli spiegai le ragioni di concorrenza con il privato che avevano consigliato quella scelta, lui mi disse: “Mi hai convinto ma siccome io sono Giovanni Salvi, voi rinviate di una settimana la programmazione del film”. Una vera prova di cosa dovrebbe essere un dirigente d’azienda: conscio della propria autorevolezza e competenza ma pronto a far proprie le innovazioni.

Naturalmente, tutta quella “disinvolta” programmazione aveva i suoi detrattori. Così Ciak, bella rivista di cinema molto vicina alla Mediaset ogni tanto ostentava sdegno moralistico per la sgradita scelta di film di successo da parte di Rai2 e i “Professori” (il cda Rai eletto all’inizio della cosiddetta seconda repubblica) chiesero di togliere il giallo del sabato (ricordo il commento di Angelo Guglielmi, direttore di Rai3: “Stanno levando una delle poche proposte culturali dell’azienda”); per fortuna Giovanni Minoli, succeduto nella direzione della rete, da grande conoscitore della televisione, mantenne molte delle proposte del palinsesto di Sodano e pretese il ripristino di Nel segno del giallo.

Questa modalità televisiva fu presto ripresa da vari network europei, a partire dall’Italia1 di Carlo Freccero (che, con prodotti meno selezionati, ebbe discreti ascolti ma non certo paragonabili ai nostri).

Poco dopo fui trasferito come direttore generale alla Sacis, la società che commercializzava nel mondo i prodotti Rai, soprattutto film. Ci ritrovammo – di nuovo con Sodano (che della Sacis, in qualità del suo ruolo di Responsabile Cinema e Fiction della Rai, era presidente) – a risollevare un’azienda in crisi con un magazzino di film anche di qualità ma di scarsissimo richiamo commerciale. Pensai allora – e Sodano mi seguì in quello che poteva essere un azzardo – di acquisire i tv-movies migliori non solo per l’utilizzo in Rai ma per tutta Europa. Avevamo così dei titoli che in gergo si definiscono “locomotive”; cioè abbastanza attraenti da convincere gli acquirenti, pur di averli, a prendere anche film meno robusti commercialmente. Le vendite si impennarono e, come era successo per la programmazione, le più importanti aziende europee seguirono l’esempio e mi fece un gran piacere che il direttore commerciale della robusta ZDF tedesca – quando un cambio politico nella gestione Rai mi destinò ad altro ruolo – mi disse: “Come! Te ne vai proprio adesso che tutti stiamo seguendo la tua strada?”

Quella produzione di lì a poco perse di appeal, in particolare per un cambio di gusti del ricchissimo mercato orientale. Così ora quei tv-movie gli americani e i canadesi li producono quasi solo per i propri mercati interni e quando approdano sui nostri teleschermi appaiono, come sono, dei banali filmetti di routine (il loro posto lo hanno preso i ricchissimi seriali (dall’ottimo C.S.I. in poi) che costituiscono l’ossatura dell’offerta dei nuovi network globali.

Fino a qualche anno fa mi capitava di incontrare vecchi dirigenti Rai – di quelli che prima di essere un loro collega mi sembravano (e in parte erano) divinità irraggiungibili – che mi dicevano: “Grazie a te e a quella Rai2 che ha contrato l’offerta Mediaset, ho potuto salvare il mio stipendio!”.

Certo, ne ero soddisfatto (non mi rimane molto altro che quei grati ricordi) ma c’era (e c’è sempre di più) il rimpianto per un’azienda pubblica inevitabilmente politicizzata ma – da Bernabei ad Agnes (ma anche con i Professori, superate le prime diffidenza, e, da subito, con l’appassionata Moratti) – gelosa delle proprie professionalità e pronta a sfidare il politically incorrect (e tutto quello di cui ho parlato, per i tempi, lo era parecchio) per il bene dell’azienda.

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Very uncorrect, Jeeves!

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Antonio Ferraro

Giornalista pubblicista,manager televisivo e cinematografico, produttore, autore è stato più volte nella Commissione Finanziamento Film – Opere Prime e Seconde e Cortometraggi. E’ stato membro del Consiglio Nazionale dello Spettacolo e, nell’ambito della Biennale di Venezia, responsabile – e per tre anni Presidente di giuria - del Premio Film Cooperativo E’ stato Capo-Struttura Programmazione e Acquisto film di Rai Due. Nel febbraio 1995 è Direttore Generale della Sacis, consociata RAI. Successivamente, è responsabile acquisto film per RAI. Nel 1997 assume l’incarico di Coordinatore palinsesti e redazioni cinema di RTI MEDIASET. Nel 1999 è Amministratore Unico di AGER 3, producendo, tra l’altro, la miniserie “Resurrezione” dei fratelli Taviani e vari film. Nel 2000 STREAM lo chiama quale coordinatore per l’acquisto e la programmazione di cinema e fiction. Contemporaneamente è Docente in vari master dell’Università La Sapienza di Roma e della Regione Lazio. Nel 2014 è uscito il suo libro:.. Ma il cinema risolve.

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