Di Giuseppe Carro
Non ho mai amato il periodo pasquale. Non sono una persona religiosa, o meglio non posso dire di essere cattolico, per cui non sono mai riuscito a percepire a pieno questa festività, che a differenza del natale, ricco invece di elementi e tradizioni laiche o pagane, si concentra attorno ad una serie di “eventi” e rituali cattolici.
Non posso di conseguenza dire di provare nostalgia di una chiesa o di una preghiera, non mi manca l’immagine di una colomba bianca e non mi manca un qualche salmo o canto religioso.
Mi mancano invece i momenti condivisi, le tradizioni, le ricette antiche, cariche di arcani segreti, di quelle che si tramandano da generazione a generazione, mi mancano profumi e suoni, l’allegria.
La Pasqua intesa in senso cattolico tuttavia assume in questo particolare momento un significato diverso, può diventare per tutti, cristiani e non, un racconto dal quale trarre una scintilla di speranza, un’ancora di salvezza: Gesù è morto e risorto!
Potremo dunque seppellirci nella fossa che siamo noi stessi, soffrire in una casa vuota, ma i legami non possono essere rotti, la distanza può solo consumare un filo che se resistente non potrà mai romperlo, così come la noia della reclusione e la malinconica nostalgia non riusciranno mai a distruggere la vita di un’umanità, che seppure lacerata, sono sicuro sorgerà di nuovo. Come una fenice dalle sue ceneri, come Gesù, risorgeremo.
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