Roma capitale, fallimento annunciato, ma di chi sono le responsabilità e, soprattutto, esistono soluzioni praticabili? (per leggere la parte 1 del post, clicca qui).
Responsabilità dicevamo, sono tante. Ma insistere su di esse può avere solo un valore storico: giunti a questo punto, che è forse uno dei più bassi nella storia della Roma post risorgimentale, occorre riprendere il discorso, se ne siamo capaci, dove lo abbiamo interrotto 30 anni fa: non sarà facile. Anche la norma costituzionale del 2001 su Roma capitale è stata abilmente svuotata di contenuto da una burocrazia che teme di perdere, con le funzioni, i piccoli privilegi di cui continua a godere.
L’esperienza di questi anni ci dice che la questione non è di quattrini, è anche e soprattutto e ancora una volta questione di volontà politica.
Vi voglio raccontare come andarono le cose trent’anni fa. Ero seduto in commissione bilancio per l’esame della finanziaria, in sostituzione di un collega che si era ammalato. Premesso che da quando ero stato eletto deputato mi ero occupato della questione Roma, presi la parola per illustrare un emendamento che avevo depositato e che prevedeva una spesa straordinaria di 450 miliardi per il finanziamento di opere necessarie per la funzione di capitale. Si aprì una discussione piuttosto animata, il governo per bocca del ministro del bilancio Goria non trovò di meglio che porsi la domanda di quale giustificazione poteva dare ai suoi concittadini di Asti per uno stanziamento così rilevante per la città di Roma. Grazie ad un provvidenziale intervento del presidente della commissione Paolo Cirino Pomicino il dibattito si concluse con l’approvazione dell’emendamento seppure con una cifra di 200 miliardi. Ovviamente si pose subito la questione di come spenderli. Con i miei compagni del gruppo parlamentare socialista presentammo una proposta di legge.
Insomma il 1986 fu un momento d’oro per Roma capitale, forse si fecero anche troppe chiacchiere, certo è che di Roma si parlò molto. Si era partiti con il piede giusto: si sentiva l’esigenza, una volta stanziati i fondi, di capire come spenderli e per quale capitale. I progetti che erano sul tavolo sembrarono divenuti obsoleti: grandi opere, infrastrutture, informatizzare attrezzare, telematizzare Roma non erano sufficienti a disegnare un suo volto moderno, forse mancava un’idea unitaria e per questo furono chiamati a raccolta operatori della cultura, management dell’impresa pubblica e privata, forze imprenditoriali e finanziarie, esponenti politici di tutti i partiti, che con grande lucidità e passione discussero di Roma. Poi la crisi politica mandò tutto in soffitta.
Sono trascorsi trent’anni e ovviamente la città è cambiata al di là dei suoi governanti. Roma un tempo luogo di scambi, di mercato, di abitare poi città del lavoro, oggi non sappiamo cos’è e qual è il suo domani. Tocca a noi, a noi cittadini del 2000, stratificazione di storia e di cultura essere capaci di coniugare bellezza e progresso, innovazione e memoria per riprendere il difficile cammino per dare a questa nostra città l’identità a cui ha diritto, quella di Capitale d’Italia.
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